Sugli stormi e i sistemi operativi. Tra purpose e potenziale organizzativo

Valentina De Matteo
Leapfrog team
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3 min readDec 20, 2019

“Mantieni la formazione a cuneo dei kawau. Niente teste di cazzo. Segui il cuneo”. Capitolo 6, pagina 81.

Nel suo libro “Niente teste di cazzo” James Kerr ci accompagna alla scoperta dell’ornitologia neozelandese. A Taranaki, uno stormo di uccelli kawau orchestra una dinamica organizzativa trainata da efficacia, armonia e senso in cui a turno un uccello guida, poi un altro lo sostituisce, poi un altro ancora assume il comando in un sistema di “supporto sincronizzato e senza soluzione di continuità”. Volare in questa modalità, assicurano gli ornitologi, è più efficiente del 70% che volare da soli.

Efficacia, armonia, senso. Parametri di un ideale diagnostico organizzativo che oggi regge sempre più a fatica le spinte della trasformazione digitale, la coesistenza da tre a cinque generazioni nella stessa azienda, la miopia dei manager inchiodati dalla trimestrale e l’astigmatismo dei leader che a furia di guardare verso un lontano non ben definito perdono il contatto (e le redini) dell’organizzazione vivente.

Nei cieli di Taranaki, se un uccello rompe la formazione, avverte la resistenza del vento e si riunisce allo stormo. Nei corridoi delle organizzazioni, essere fuori dal coro a tutti i costi e in tutti i contesti è un valore. È un valore certo se nella diversità c’è consapevolezza e comprensione della strategia e dello scopo comune. È un pericolo altrettanto certo quando l’”ego-nizzazione” prende progressivamente il posto dell’organizzazione.

Nei cieli di Taranaki, se uno rimane indietro, gli altri aspettano finché non riesce a raggiungerli di nuovo. Nei corridoi delle organizzazioni, la distanza tra la testa, il vertice, e il cuore pulsante che vive e agisce al suo interno diventa progressivamente invalicabile. E tuttavia portare a bordo l’intera organizzazione può sembrare agli occhi dei più un dispendio di tempo che le aziende di oggi non possono permettersi di affrontare. È impensabile procedere alla velocità del più lento, si dice. Eppure, quel lento è il più delle volte lento perché non capisce — o non si riconosce — nello scopo comune. Si chiama “purpose” o “shared consciousness”, coscienza organizzativa condivisa, espressione quest’ultima utilizzata per la prima volta da Stanley McChrystal, generale dell’esercito americano che ha rivoluzionato la gerarchia militare introducendo il concetto e la pratica di “Team of Teams”, una squadra fatta di squadre. All’interno dei piccoli gruppi l’informazione passa in modo quasi automatico, la fiducia nasce dal sapere tutti come tutti gli altri si comportano, l’interazione tra le persone è immediata e costante. Purpose, trasparenza e un “sistema operativo” in grado di far fronte in maniera dinamica alle organizzazioni che evolvono come organismi e le cui criticità sono generate in media al 94% da problemi afferenti al “sistema” (system-driven) e solo al 6% da problemi afferenti a “persone” (people-driven). Liberare il potenziale organizzativo significa prendersi cura e sottoporre a continuo test questo sistema operativo, a partire dalle variabili individuate nell’”OS canvas” degli strumenti che utilizziamo per effettuare una prima diagnosi volta ad orientare l’identità organizzativa verso il raggiungimento della sua “shared consciousness”. Identità (purpose, autorità, struttura), strategia (indirizzo, risorse e innovazione), regole (modalità di lavoro, riunioni, scambio di informazioni), relazioni (membership, sviluppo competenze e politiche di compensation, non necessariamente economiche) sono gli elementi che, in fondo, sono validi sia nei cieli di Taranaki che nei corridoi delle organizzazioni. “Niente teste di cazzo, segui il cuneo”. Che sia questa per le organizzazioni la vera natura del purpose evolutivo?

Valentina De Matteo

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Valentina De Matteo
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Curiosa per indole, multipotenziale per vocazione. Mi occupo di innovazione, change management e trasformazione organizzativa