L’amarognolo buon senso o il dolciastro sapore della visibilità?

LinkedIn e il teatro delle visibilità: le buone (?) intenzioni di chi offre aiuto

Roberto Gattinoni
Learning Diaries
7 min readJan 17, 2019

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Benvenuti, mettetevi pure comodi.

Non so esattamente, non avendo certezze, in quanti sarete a leggere, ma spero di non annoiarvi subito dopo le prime battute. Lasciate che mi presenti. Sono Roberto, ho 37 anni e di questi ne ho finora dedicati circa 12 per operare nel settore delle Risorse Umane, sottosezione delle agenzie per il lavoro. Un sottobosco, come amabilmente lo definisco di solito, irto e appuntito. Un campo pieno di difficoltà e contraddizioni che possono dare adito a polemiche e controversie ben più di qualsiasi altro, dove spesso è necessario sporcarsi le mani, perdersi in corridoi angusti per ritrovare una via d'uscita da varie problematiche, far collimare esigenze disparate per un equilibrio mai troppo solido. Ma non è questo tema che voglio esporvi.

Le due bussole

Prima di iniziare però, permettete che riporti due righe dal mio profilo Linkedin. "Sono un nessuno, che a volte aspira a essere qualcuno, che ha picchi straordinari e flessioni mediocri, che mischia contraddizioni e vizi per non passare inosservato, che adora ascoltare più che parlare, imparando a scrivere per esprimersi (e lasciare un segno). È quanto di più vicino all'autenticità che posso permettermi." Queste parole le ho scritte dopo circa un anno di frequentazione di quello stesso social e sono frutto di ispirazione rispetto ad alcuni contenuti che più o meno quotidianamente leggo, recepisco e poi assorbo. Contenuti di professionisti che hanno più esperienza, più sagacia, più skills o semplicemente più accorti di me.Ho ritenuto giusto, per me stesso e per chiunque esplori la mia pagina, evidenziare una sorta di autenticità, senza rifugiarmi in frasi o titoli o elenchi di ruoli ad effetto. Dunque a me piace soprattutto osservare, oltre che leggere tra le righe. Sono sempre stato più attento ad ascoltare, a impregnare la mia mente e la mia conoscenza verso ciò che possa emergere oltre la superficie. Inoltre penso di aver sviluppato due leve distinte (potrebbero essere anche complementari) che cercano talvolta di indirizzare le mie reazioni o i miei comportamenti. Una di queste si chiama buon senso ed è quella che nominerò all'appello sovente in questo intervento (l'altra sarebbe la disciplina). Io non ho portato qui con me delle statistiche o dei dati tangibili, non ho in borsa delle dimostrazioni né testimonianze, inoltre ho lasciato a casa i manuali e le slides. Però cercherò di illuminare di buon senso il mio punto di vista, perlopiù basato semplicemente sull'esperienza diretta, sperando che possa servire da stimolo di riflessione altrui o anche incoraggiare una condivisione per muovere verso un cambiamento.

Un po’ di metafore…

L'esperienza diretta a cui mi riferisco l'ho maturata su Linkedin, pressocchè durante l’uso quotidiano. Ma ben prima di utilizzare un qualsiasi strumento, mi pare sensato capire bene le caratteristiche dello strumento, oltre che la finalità per cui esiste. Questo assunto non fa eccezione nemmeno per Linkedin stesso. Personalmente, piuttosto che regolare la mia opinione in base alle indicazioni di altri utenti, ho cercato di delineare il social con una metafora elementare (spesso lo definisco uno scatolone virtuale) per poi, attraverso vari step, giungere a una mia conclusione. A mio parere Linkedin è paragonabile a una spugna che si imbeve dell'acqua in cui la immergi; più approfonditamente è un luogo virtuale "senza sbarre nè odore" (vi regalo una piccola citazione cinematografica, nel caso vi siate assopiti), che potrebbe essere regolato dagli assiomi del buon senso e della disciplina. Buon senso nei contributi che offri (pensieri propri, materiale informativo, post di varia cultura o di approfondimento, commenti appropriati a mò di corredo/prolungamento di altrui contributi), disciplina nelle modalità in cui usi lo strumento. E circa la finalità, l'obiettivo principale di questo strumento… quale sarebbe? Qualche giorno fa ho letto questa frase (di una persona che stimo a distanza) che può spiegarlo in modo chiaro: "non si entra su Linkedin per affermarsi su Linkedin; si entra su Linkedin per costruire relazioni che possano essere vantaggiose reciprocamente."

Le buone condotte

Le relazioni, di quelle con la r maiuscola. Si tratta perlopiù di costruirle, prima di ogni altro obiettivo. Proviamo a restare saldi su questo assunto. Il buon senso (eccolo che ritorna a sussurrarmi all’orecchio) suggerirebbe che, per ogni social network o per qualsiasi spazio virtuale di condivisioni varie, bisogna comportarsi seguendo condotte appropriate. Ergo: ci sono alcune condotte evidenti che “stonano” con la finalità originaria del salotto digitale che ci ospita. Vi chiedo a tal proposito: secondo voi sarebbe appropriato comportarsi in una biblioteca pubblica come se fossimo in una discoteca?

I “bug” delle intenzioni

Di condotte inappropriate da segnalare ce ne potrebbero essere diverse ma io vorrei soffermarmi su una in particolare, che genera a sua volta altri due fenomeni curiosi e piuttosto singolari. Questa tendenza ha attirato il mio radar più volte così da sollecitarne lo spirito di osservazione: ecco il motivo per il quale sono qui a raccontarvi alcune mie riflessioni (sempre sperando di non annoiarvi). E’ un fenomeno, a mio parere, mutuato dalla piattaforma per eccellenza del voyeurismo digitale ossia Instagram: accade, con frequenza ormai ciclica, che moltitudini di esperti nostrani del mondo Hr (con profili ad alto “voltaggio” di followers), pur con l’intenzione formale di supportare in modo disinteressato gli altrui profili di persone disoccupate o per qualche ragione escluse dal mercato del lavoro, raccomandano deliberatamente di “usare” un proprio post in particolare, chiedendo dunque ai disoccupati dei commenti e like in calce al post stesso. Con questa tecnica (apparentemente utilizzata in massa anche all’estero) si promette un incremento di probabilità di essere scoperti da presunti datori di lavoro a caccia di risorse (o da head hunters).
Ciò che si verifica, a conti fatti, è più che altro un incremento ulteriore di visibilità dei soliti noti; inoltre un’alta percentuale di chi è disoccupato resta tale e senza ulteriori possibilità di effettuare perlomeno altri colloqui di lavoro che non avevano ottenuto tramite canali tradizionali.
Dunque è un metodo che, ammesso che conduca fino in fondo, non incide in modo eloquente secondo l’obiettivo sbandierato a priori.
Si assiste spesso nel proprio feed a una fuorviante rincorsa nel grande teatro delle visibilità, dove i protagonisti chiamati all’appello sono ben distinti: da una parte vi sono i cosiddetti esperti di settore che divengono sempre più “sciamani” della piattaforma, dall’altra i disoccupati che sono sistematicamente illusi con tattiche pseudo-solidali e distratti da frasi motivazionali “pret-a-porter” (alcuni di loro poi diventano potenziali clienti di newsletter, proposte didattiche e magari qualche corso formativo ad hoc).
Ecco, il redivivo buon senso mi prega di dirvi che, a un certo punto, c’è davvero bisogno di aiutare con concretezza piuttosto che vendere qualcosa a qualcun altro.

Il punto è concretizzare/autenticare

Si ritorna al significato delle relazioni. Se mi riservate ancora qualche minuto di attenzione, vi illustro anche qualche pillola di proposte per delle vie alternative che mi sembrano davvero più efficaci. Per conquistare la fiducia e instaurare una relazione che propizia un vantaggio reciproco, bisogna guardare alla persona che ha un problema, non al problema stesso: ad esempio capire le sue reali motivazioni, non riempirlo di metodi. Tutti coloro che sono esperti del settore e che mostrano dati di alta visibilità digitale potrebbero convogliare una minima parte del loro tempo e della loro attenzione a offrire consigli extra e accorgimenti da dietro le quinte nonché input su come vengono condotti alcuni colloqui di lavoro in certe fasi della selezione, sulla ricerca mirata di determinati annunci o di canali utili in base al profilo professionale di riferimento; si potrebbe persino effettuare una proattivazione del cv in particolare (sfruttando così il bacino di clienti a disposizione) o una segnalazione del profilo a qualche collega valido del settore per allargare il ventaglio di possibilità del disoccupato. Tutto ciò si può sintetizzare nel mettere a disposizione sia la personale esperienza sul campo che i contatti della propria sfera professionale.
In questo modo non si rischia di veicolare un messaggio fuorviante ai disoccupati (che sinistramente assomiglia a supportare la loro frustrazione per la condizione vissuta in quella fase cruciale del percorso) ma semplicemente dare un aiuto concreto e autentico.
L’esperienza personale nel mio specifico ruolo oggi mi conferma che i lavoratori migliori per disponibilità e affidabilità che ho conosciuto negli anni sono proprio quelli con cui si è costruita una relazione (di vantaggio appunto reciproco) con risvolti di umanità: vuol dire che non sono stati trattati, misurati e gestiti come approvvigionamento di numeri e dati. Durante il mio percorso professionale ho sempre mirato ad aiutare nel concreto e nelle possibilità che avevo a disposizione: a volte basta un colloquio puramente conoscitivo (al di là di una singola ricerca attiva specifica) oppure una segnalazione ad altri colleghi che in quel momento stanno ricercando profili simili. La differenza viene marcata con una briciola di sostanza piuttosto che una torta intera di facili illusioni.

Pillola conclusiva

Prima di ringraziarvi e augurarmi che vogliate leggermi una seconda volta, voglio lasciarvi come saluto una pillola (stavolta non è mia, ma di un capace autore che guida spesso le mie riflessioni su varie tematiche, ovvero Sebastiano Zanolli). All’incirca fa così: “Per guarire e tornare a volare, un uccellino con l’ala spezzata non ha bisogno di lezioni su come non schiantarsi contro i vetri delle finestre; ha piuttosto bisogno di cura e riposo, quindi di un aiuto concreto”.

Scritto, con cura, da Roberto Gattinoni su Euristika!

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