Che si mangia?

Episodio 4

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
8 min readJun 25, 2019

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Due stagisti. L’esperienza del primo lavoro. I desideri, le paure, l’inadeguatezza e la necessità di diventare grandi, in fretta. Il lavoro in Italia può essere raccontato in tanti modi. Qui lo si vuole fare nel modo meno scientifico possibile, attraverso gli occhi di Lucia e di Gianni.

Lucia stava parlando con Livia, la responsabile HR, quando un ragazzo entrò improvvisamente dalla porta. Aveva la faccia a metà strada tra lo spaventato e lo sprovveduto. Le sembrava di averlo già visto, ma non ricordava dove. Ma non aveva importanza. Non poteva accorgersi che c’era già lei? Ma evidentemente non capiva bene dove si trovava. Si era già chiuso la porta alle spalle…

Lo squadrò un attimo prima di rigirarsi verso la dirigente. Lasciavano davvero vestire i consulenti così? Non aveva mai lavorato in una società di consulenza, ma Angelo le aveva fatto una testa quadra sull'importanza del vestito. La cintura era imbarazzante. Le scarpe, marroni su cintura grigia, erano totalmente fuori posto. La cravatta era quasi bella, ma nel complesso veniva sopraffatta da tanto disastro. Il ragazzo doveva essere un pivellino.

E, Dio santo, qualcuno poteva insegnargli a stirare le camice?

Il ragazzo si presentò e pure il nome era fuori dalla realtà: Gianni. Ma chi chiamerebbe una persona Gianni, al giorno d’oggi? I genitori dovevano essere dell’Ottocento per forza, o degli scemi. In ogni caso erano dei criminali. “Fatti crescere i baffi e potrai dire: L’ottimismo è il profumo della vita” , pensò Lucia, fra sé e sé, senza riuscire a nascondere un mezzo sorriso sornione.

Livia, dopo i convenevoli, riattaccò il discorso e chiese: “Voi avete partecipato ai colloqui di selezione in sede distaccata, se non ricordo male”. I due annuirono.

Entrò subito nel merito, tagliando corto: “Bene. Sappiate che ho voluto fare una scommessa su di voi. Una scommessa personale”. “Per delle ragioni che non sto qui a spiegare c’è bisogno in questa società di far entrare ragazzi affamati, curiosi, desiderosi di fare grandi cose”. Entrambi i ragazzi pensarono che non fosse tanto normale iniziare un discorso del genere in quel contesto. Doveva per forza trattarsi di una tipa fuori dalle righe.

“Tant'è che ho voluto partecipare direttamente ad alcuni colloqui di selezione, tra cui il vostro. Ovviamente il processo è stato strutturato come al solito. Ma con voi ho voluto fare un’eccezione e ho guardato un po’ meno il curriculum. Ho notato qualcosa di strano, mente discutevo con voi. Qualcosa di diverso dal solito ragazzo ambizioso che pensa che la consulenza sia un modo veloce per diventare importante, fare carriera e fare soldi. E non necessariamente in quest’ordine”.

Fece una pausa.

“E quindi ho voluto fare un esperimento”. “Voglio vedere se riuscite a portare un modo diverso di guardare la realtà qui dentro. Voglio che portiate dentro il vostro entusiasmo, la vostra curiosità e la vostra voglia di fare. Voglio che cresca una generazione che sani quella che — diciamo — è una contraddizione della nostra azienda. Da pochi anni abbiamo deciso di espanderci, e di creare una nuova sezione, meno standard, che si occupi di innovazione digitale. Abbiamo ampliato pure l’edificio con una nuova struttura. Le cose stanno andando particolarmente bene, per carità. Solo che — diciamo così ­- la realtà del “Vecchio” e della “Nuova”, così ormai tutti chiamano i due edifici, faticano a entrare in contatto e far partire delle sinergie. Mi piacerebbe che giovani volti come voi possano creare dei ponti fra queste due realtà. Cosa ne pensate?”.

Gianni e Lucia, colti alla sprovvista e senza alcun punto di riferimento, provarono ad abbozzare qualche risposta, poco convincente. Per fortuna Lucia li salvò con un: “magari potremmo parlarne con chi è già presente da prima di noi per capire il contesto”. Tale risposta non soddisfò pienamente Livia, ma si vedeva che non aveva a disposizione molto tempo. Infatti gli indicò abbastanza sbrigativamente dove potevano recuperare i materiali, i PC, firmare le carte e tutto il resto. Dopo mezz'ora neanche erano fuori dall'ufficio. Abbastanza frastornati.

Ormai si era fatta ora di pranzo. Lucia non aveva alcuna voglia di pranzare con il ragazzo, ma non voleva nemmeno apparire troppo scortese. Piuttosto voleva riuscire a incontrare i suoi colleghi e riuscire a farsi invitare per pranzo. Gianni al contrario aveva una voglia matta di chiederle di pranzare assieme, per non trovarsi da solo, anche se aveva fatto la stronza alla reception. Ma non trovava il coraggio di chiederglielo.

Si guardarono per tre secondi buoni senza dire nulla. Finché fu lei a risolversi dicendo: “beh, piacere di averti conosciuto”. “Piacere mio” rispose lui.

“Allora io vado. A più tardi magari” disse lei, sfoderando un sorriso di circostanza.

“Okay” disse lui. Mentre lei già si allontanava sul lungo corridoio che, in realtà, lui stesso doveva percorrere.

Gianni provò ad alzare la mano e chiederle per il pranzo per ben due volte. E per due volte gli si smorzò tutto in gola. Dannato coraggio. Dopodiché si incamminò pure lui per tornare nella “Nuova”.

Andando più avanti vide il corridoio laterale che aveva imboccato Lucia. La vide per mezzo secondo, mentre parlava con un’altra persona nel corridoio. Intuì che stavano parlando del pranzo e si rimproverò per non avere avuto il coraggio di fermarla.

Che diavolo doveva fare adesso? Finalmente terminò il corridoio e sbucò nella “Nuova”, venendo investito da luce, rumore e da Francesca, che non appena lo vide, si alzò da un divano e cominciò a venirgli incontro. “Finalmente! Era una vita che ti stavamo aspettando. Vieni a mangiare con noi?”.

“Volentieri?!” rispose lui.

“Andiamo da Teresa!”.

“E chi è?” chiese lui con uno sguardo interrogativo. “Vedrai”. Vengono anche il Fattanza, Movida e la Dimi, così cominci a conoscere qualcuno del piano. Avvicinandosi all'ascensore vide altri tre ragazzi alzarsi dai divani per raggiungerli. Evidentemente avevano aspettato. Saranno tutti e tre stati sulla trentina, chi più, chi meno. Un ragazzo e due ragazze.

Francesca gli disse sottovoce: “non dire alla Dimi che la chiamo così però”. Ma ormai si erano incontrati e una delle due ragazze, mora, con i capelli corti e un vestito particolarmente elegante, soprattutto dato il contesto informale generalizzato, disse: “guarda che ti ho sentita!”. Poi si girò verso Gianni e gli disse: “non stare ad ascoltare questa qua. Ti ha già preso tra le sue grinfie, la Chioccia, vero?”. Gianni vide le due lanciarsi uno sguardo misto fra la sfida e l’intesa. Capì subito che in realtà erano molto amiche, ma tutto lasciava presagire che litigassero un po’ su tutto, anche in modo graffiante. Le presentazioni si fecero piuttosto velocemente. Erano tutti evidentemente affamati e dopo qualche minuto stavano già prendendo l’ascensore.

Mentre percorrevano l’atrio principale la Chioccia (a quanto pare nessuno chiamava Francesca col suo nome di battesimo) salutò con un gran sorriso i ragazzi e le ragazze della portineria. Una volta usciti si girò verso Gianni e gli disse: “tratta la portineria meglio che se fosse tua madre. Mi raccomando. Quelli hanno potere di vita e di morte su tutti, qui”. Gli altri si misero a ridere di gusto, mettendo inconsciamente la mano davanti alla bocca, come per nascondere qualcosa che in realtà non avevano detto. “Non scherzo!”, rincarò.

Gianni, saltando dal marciapiede sul pavè della stradina si arrischiò a chiedere un: “perché?”.

“Vedrai, vedrai” disse il fattanza.

“Altro che il KGB” quelli sanno tutto, vedono tutto, ascoltano tutto. Avete visto come hanno squadrato il nostro Giannone mentre passavamo?” rincarò quella che, per esclusione, doveva essere Movida. “Però tranquillo”, proseguì lei, “con noi dell’area digitale sono tutto sommato sereni”. Fece una pausa. “È con quelli delle Relazioni internazionali che è guerra aperta”. La Dimi si inserì dicendo: “e non hanno tutti i torti”.

Gianni si aspettava di fare una passeggiata fino al locale, ma si rese conto che questo era praticamente a cinquanta metri dall'ingresso principale, sulla destra, continuando sulla stradina. Proprio in quel punto la viuzza si allargava, andando a creare una piccola piazza, esclusivamente pedonale. Da una parte c’era una chiesetta antica, probabilmente non più in uso da anni dato l’intonaco tutto sgretolato, dall'altra il locale, gremito di persone, sia dentro che fuori. Alcuni erano addirittura in attesa, segno che i nuovi venuti avrebbero dovuto aspettare fuori. E non per poco. Quindi il gioco doveva valere per forza la candela.

Il gruppetto, nell'attesa, si mise a guardare il menù esposto all'esterno. Gianni fece la sua scelta in un decimo di secondo: il panino col prosciutto e formaggio. Costava una fucilata, ma era comunque molto più economico di tutto il resto. I nuovi colleghi invece entrarono in crisi, indecisi se prendere il primo, il secondo, un’insalata, un menù o il piatto unico del giorno. La mente di Gianni andò al fatto che non aveva visto nessun altro locale durante il tragitto. Ripensò al centone che aveva nel portafoglio e fece un rapido calcolo. Prendendo anche l’acqua e il caffè in due settimane appena si sarebbe trovato in mutande. Nessuna alternativa apparente e costi esorbitanti. Bella situazione.

Mentre questi discutevano Gianni ebbe modo di osservare più attentamente i dintorni. Oltre alla chiesetta sull'altro lato, notò soprattutto ciò che stava in mezzo alla piazzetta. Al centro si trovavano quelli che dovevano essere stati i resti di un muro molto antico, in mattoni rossi, non troppo alto, in quel momento usato da schiere di persone a mò di panca su cui mangiare la propria schiscietta. Il tutto era ricoperto da una specie di piccolo porticato a volta, sorretto da quattro colonne, anch'esso antico, certamente costruito per proteggere quelle mura tutte consumate dalle intemperie. Dell’edera ricopriva una parte importante del porticato, rendendolo semplicemente uno spettacolo per gli occhi. Al solo vederlo veniva voglia di sedercisi sotto per riposare o chiacchierare. Non sapeva nemmeno esistesse un posto del genere a Milano.

Ma nel frattempo si era liberato un unico tavolo grande, però già occupato da un’altra persona. Sola. Una cameriera giovanissima e con le braccia completamente ricoperte di tatuaggi, disse al gruppo che se volevano, potevano condividere il tavolo e mangiare subito, altrimenti avrebbero dovuto aspettare ulteriormente. Ovviamente vinse il fronte della condivisione, anche se con qualche mugugno della Dimi.

Movida, mentre si dirigevano, disse a Gianni: “scommetto che non sei mai stato qui a pranzo”. Lui rispose: “in realtà non ci sono mai stato in generale”. Lei lo guardò con sguardo tra il disappunto e l’intenerito: “non sei mai stato da Teresa di sera?”. “Be a dire il vero a Milano ci sono nato. Vivo però a …”. Ma lei si era già girata verso gli altri, senza più ascoltarlo, dichiarando ad altra voce: “ma questo cucciolo lo dobbiamo proprio svezzare!”.

Sedendosi Gianni non fece troppo caso alla ragazza già seduta, anche se con la testa pensò a quanto fosse triste mangiare da soli per pranzo. Tirò su la testa e…

Di nuovo lei!

Lucia, la ragazza in rosso. Non era possibile. Era la terza volta che se la trovava in mezzo. Pure lei sembrava sorpresa. Si salutarono imbarazzatissimi. La chioccia notò al volo la cosa e chiese, sfrontatamente: “ma vi conoscete?”. “No, cioè, si. Ci siamo incontrati poco fa nell'ufficio della Responsabile HR”. “Davvero?” disse Movida con una malizia sconfinata negli occhi.

Ma non ebbero tempo di proseguire perché si presentò una ragazza col taccuino. Era l’unica cameriera non tatuata. In effetti non c’era un solo uomo che servisse, a guardare bene. Ma non perse un solo secondo e, scrivendo qualcosa sull'angolo in alto del foglio, chiese:

“Quindi? Vedo che avete assunto nuovi pivellini. Che si mangia oggi?”.

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Alessandro Giovanazzi
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