Generazioni diverse, diversi bisogni

Se dietro al gap generazionale si nascondono motivazioni profonde

Biancamaria Cavallini
Learning Diaries
5 min readJul 25, 2018

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Partiamo dal principio

I bisogni nascono quando esperiamo la mancanza.
Sono necessità che si manifestano nel momento in cui qualcosa viene a mancare. I bisogni, in tal senso, coincidono con la volontà di riempire il vuoto generato dalla mancanza, che sia del cibo in caso di fame o una relazione in caso di solitudine. In qualche modo, dunque, i bisogni ci spingono ad agire, sono — potremmo dire — il motore delle nostre azioni. Se faccio esperienza di un bisogno (e dunque di una mancanza), mi attiverò per ovviare ad esso.

Questo, è stato perfettamente capito da Abraham Maslow, psicologo statunitense che negli anni ’50 formulò un modello dei bisogni valido ancora oggi e diffusamente conosciuto.
Il modello prende il nome di Piramide dei Bisogni e si articola come segue: il primo gradino della piramide è costituito dai bisogni fisiologici (fame, sete, sonno, sesso), bisogni senza i quali l’essere umano non può sopravvivere. Successivamente, salendo verso la cima, si incontrano — in sequenza — i bisogni di sicurezza (famigliare, lavorativa, ecc.), il bisogno di appartenenza (e dunque di relazione), il bisogno di stima (ossia la necessità di essere riconosciuti) e, infine, i bisogni di autorganizzazione (ossia il bisogno di riconoscersi).

Senza tuttavia inoltrarci nella teoria di Maslow, possiamo facilmente capire come questa giochi un ruolo fondamentale nell’esistenza del gap generazionale in azienda. Iniziate a intuire qualcosa?

Il ruolo del digitale

Le imprese vedono presenti al loro interno una serie di generazioni che lavorano, si relazionano, comunicano e si comportano in modo spesso profondamente diverso. Oggi, queste differenze si fanno ancora più accentuate alla luce della digital transformation e delle relative competenze digitali, tendenzialmente possedute maggiormente dalle nuove generazioni, cresciute — se non nate — alla luce delle tecnologia.

Queste differenze (e il relativo gap generazionale che ne deriva) sono tuttavia riconducibili a una motivazione profonda, che può essere trovata proprio nel modello di Maslow.
La questione è paradossalmente semplicissima: persone appartenenti a generazione — e quindi età — diverse, hanno bisogni diversi.

I giovani

In particolare, persone tra i 20/25 anni e i 40, sono generalmente posizionate sul quarto gradino della piramide, ossia a livello dei bisogni di stima. In questa fascia d’età, infatti, si sente la necessità di veder riconosciuto il proprio percorso di studi, prima, e la propria intraprendenza e crescita professionale e personale, poi. Questo aspetto, si lega indissolubilmente con il bisogno di feedback che le persone giovani hanno (e che troppo spesso non viene assecondato). È la fase di vita professionale in cui mi trovo anch’io, che influenza inevitabilmente le mie scelte (sì, anche quella di scrivere qui su Euristika!) e che plasma il modo in cui mi relazione con il mio lavoro. Potremmo chiamarla la fase di costruzione.

I meno giovani

Lavoratori sopra i 40 anni, invece, si trovano sul quinto gradino della piramide, ossia al livello dei bisogni di auto-realizzazione. Sono persone che hanno già affrontato un certo percorso personale e professionale e che non sentono più la necessità di essere riconosciuti dagli altri, quanto, piuttosto, il bisogno di riconoscersi in quello che fanno e nel lavoro che portano avanti. È il caso, ad esempio, di alcuni colleghi che si dedicano con passione alle loro attività, cercando, parallelamente, la realizzazione di se stessi nello scambio e nel trasferimento di conoscenze ed esperienze a noi giovani.
In questo caso, siamo di fronte a una sorta di bisogno di ereditarietà.

Quando sorge il problema

Se, tuttavia, questa auto-realizzazione non si sposa con un bisogno di trasferire le conoscenze acquisite negli anni, formare persone più giovani, mettersi in gioco con le nuove tecnologie e così via, ci si ritroverà di fronte a lavoratori che cercheranno l’auto-realizzazione nei risultati del loro lavoro, non aprendosi all’altro e rendendo più difficile la collaborazione inter-generazionale.

Parallelamente, se i giovani, fermamente saldi sul gradino dei bisogni di stima, finiscono per ripiegarsi su se stessi cercando tale stima solamente tra i coetanei (o perchè non la ricevono da chi ha più anzianità o perchè proprio da essi non la desiderano), finirà che anche questi non saranno disposti ad aprirsi alla collaborazione inter-generazionale, andando ad ampliare il gap generazionale. Ricercando stima solo dai coetanei, si finisce, infatti, per polarizzare le caratteristiche della propria generazione, allontanandosi ancora di più dalle altre e limitando le occasioni di confronto.

Alla luce di quanto detto, emerge come il problema del gap generazionale non abbia solamente risvolti a livello visibile (modo di lavorare, relazionarsi, ecc.), ma affondi le sue radici nella profondità dell’agire umano. I bisogni, per come sono intesi da Maslow, rappresentano, infatti, il primo stimolo ad agire. Se, pertanto, non c’è allineamento — o compatibilità — a questo livello, difficilmente potrà esserci quando si lavora con persone appartenennti a generazioni diverse dalla propria.

Come fare dunque per promuovere un’efficace collaborazione inter-generazionale, che superi questi limiti?

Lavorando a livello relazionale tra persone di diverse generazioni, per assicurarsi che i giovani abbiamo la stima di cui hanno bisogno, e che i meno giovani, possano auto-realizzarsi nell’incontro con chi, nonostante abbia meno esperienza di loro, ha moltissimo da offrire.

Scritto, con cura, da Biancamaria Cavallini nella sezione Bridges
di
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Biancamaria Cavallini
Learning Diaries

Psicologa del lavoro e formatrice, (quasi) nativa digitale, appassionata di scrittura e ricercatrice di consapevolezza.