“La vera innovazione la fa chi mette a terra le fabbriche”

Lavoro, incontro, storie, comunità e… fabbriche. Alla ricerca delle parole vere

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
9 min readSep 8, 2018

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Intervistare Osvaldo Danzi non è facile. Non lo è per niente. La definirei una questione di sguardo. Capisci al volo di essere di fronte a una persona che vive una profonda urgenza di vivere. Penso che uno se la possa cavare con lui solo disarmato, cioè essendo se stesso. Io, nel mio piccolo, me la sono scampata con un solo inciampo. E ho avuto modo di incontrare una delle persone più originali e profondamente aderenti a se stesse mai intervistate dalla fondazione di Euristika.

Chi è Osvaldo Danzi?

Sono un Head Hunter. Il mio lavoro è cercare persone e metterle al posto giusto. Mi piace incontrarle, accompagnandole fisicamente in azienda.

A questa prima domanda, di solito rispondono tutti dal punto di vista lavorativo. Però passo alla seconda: da dove viene Osvaldo Danzi?

Hai centrato il punto! Avrai notato anche tu che siamo troppo abituati a dire che cosa facciamo e mai chi siamo. Per me le cose coincidono abbastanza. Questa passione per l’incontro ce l’ho da quando facevo animazione. Sono sempre stato in mezzo alla gente, nonostante abbia deciso di vivere in un posto piuttosto isolato, tra Firenze e Arezzo. Le pause e i silenzi sono fondamentali. Però mi piace sentire le storie e ho la fortuna di vivere accanto a una persona che è una grande “attrattrice” di storie. In qualsiasi posto ci troviamo, in viaggio, per lavoro o “in esplorazione”, non so come sia possibile che ogni volta si avvicini qualche personaggio con una storia strana da raccontare. O forse, semplicemente, ognuno di noi ha delle storie da raccontare, ma non siamo più capaci di farlo. Posso dire che la storia delle storie mi affascina, mi appassiona ed è anche il mio lavoro.

Parliamo sempre più di innovation, community, soft skill, hard skill. Eppure a volte ho l’impressione che la prima dote da acquisire sia quella dell’“avere fame”.

Secondo me tra tutte le parole che hai detto… non ce n’è una vera. Nessuna di queste parole appartiene agli uomini. Sono tutte etichette, ce le siamo inventate. Per esempio, essere una persona empatica è una soft skill o è una cosa che hai sotto pelle? Non è necessario che qualcuno ti dia quell'etichetta, che poi peraltro diventa automaticamente strumento del giudizio di qualcuno. Non pensare che sia una cosa di poco conto; noi non riusciamo più a vedere le persone per quello che sono, ma solo per quello che fanno.

Al contrario, quando un cliente mi chiede: “Qual è la differenza tra te e gli altri recruiter?”, gli rispondo: “Oltre a portarti dei curriculum sulla carta… io conosco queste persone, perché le ho viste, ci ho cenato, le ho viste parlare, le ho viste insegnare, le ho viste incazzarsi, le ho viste quando stanno insieme agli altri e fare squadra”. Il che è tutta un’altra cosa rispetto a quanto scrivono sul curriculum. Concediamo troppo poco tempo a noi e agli altri per capire come siamo fatti davvero. Di conseguenza, nella selezione, il tempo è diventato un valore da abbattere: leggo costantemente di app per facilitare i processi di selezione “in tempi brevi e con maggiore efficacia”, ma credo che le due cose siano in totale contraddizione. Non puoi essere efficace se non passi un po’ di tempo con i tuoi candidati. Nelle aziende, anche la selezione è diventata una somma di processi. Processiamo le persone, anziché conoscerle. Il risultato poi si riverbera dentro, dove i colleghi non sanno più niente gli uni degli altri. Finiamo per alimentare conflitti e incomprensioni, salvo poi “processare” qualche bel corso di coaching per risolvere i conflitti!

Perché FiordiRisorse? Che cos’è?

Non facciamo una marchetta. Passa sopra.

Piccola parentesi. Qui ho farfugliato diverse cose, sicuramente senza alcun vero fondamento, nel tentativo di giustificare la mia domanda. Effettivamente mi aveva sgamato. Ci ho messo dei giorni ad accettare il fatto che gli avessi (più o meno consciamente) dato il destro per marchettare le sue attività. Dopo i miei farfugliamenti ha comunque - con uno sguardo misto tra il “puoi fare molto meglio di così” e il “benevolo” -deciso di rispondere alla mia domanda.

Non vorrei che questa intervista sembrasse qualcosa che invece non è. Ad ogni modo, FiordiRisorse l’ho fatta perché serviva a me. Quando l’ho ideata era un gruppo Linkedin, pensato per bypassare le segretarie dei direttori del personale. Il mio ruolo di recruiter prevedeva naturalmente un’attività da commerciale nella ricerca di nuovi clienti o di proposizione attiva di candidati. “Il dottore è in riunione” è una frase che mi faceva imbestialire.

La cosa in ogni caso non funzionò. Però FiordiRisorse nel frattempo si trasformava, grazie a tutte le persone che iniziavano ad aderire, non più circoscritto solo alle Risorse Umane, ma abbracciando tutte le aree manageriali. Abbiamo capito che non si può rimanere sempre uguali, così ogni anno ci ritroviamo di persona, smontiamo FiordiRisorse e la rimontiamo. Lo scopo è di creare un luogo dove chi in azienda non trova spazi per le proprie idee o chi un’azienda non ce l’ha più possa trovare altre persone con cui confrontarsi, crescere, mettere a frutto quelle idee e farle diventare veri e propri progetti. Un luogo dove non ci sono vincoli di organigramma né la necessità di emergere “sugli” altri. Ogni anno creiamo un luogo dove imparare cose nuove, conoscere personaggi inarrivabili con cui parlare o anche molto semplicemente inventare dei format culturali. Un incubatore prima degli incubatori, senza rubare alcun Fondo Europeo.

Nel contesto in cui viviamo, sociale ed economico, sembra essersi sciolta la dimensione comunitaria del lavoro. Spesso la persona è sola. Come ricostruire comunità di lavoro anche dal basso?

Lo facciamo con un po’ di responsabilità sociale condivisa. Questi sono tempi molto duri, in cui riusciamo anche a pontificare sul fatto che una nave piena di bambini debba attraccare o meno. Tempi in cui stiamo a pontificare se quei bambini morti in spiaggia siano un fake. La nostra è una società ricca. È una società molto appariscente. Ma bisogna anche guardarsi intorno. Tutte queste aziende senza prodotto, queste startup basate solo sulle idee, insieme alla necessità incontenibile d’avere la pizza subito, in qualsiasi momento e in qualsiasi posto. Questo ha un prezzo altissimo di cui non ci rendiamo conto. E il vero problema sono anche quei ragazzi che portano il cibo, che non si chiedono quale sia il loro contratto, quali siano i loro diritti, se il loro contratto sia valido e li tuteli davvero.

Probabilmente se si facesse più rete…

Sembra una riunione tra comunisti… ma è esattamente così. Però, se ci fai caso, siamo tendenzialmente sempre più portati a isolarci e nel contempo avere migliaia di amici sui social. Quanti sono quelli che abbiamo incontrato davvero, di persona? Qualcuno ci sta dicendo che è più importante avere “un pubblico” anziché un gruppo di amici.

E secondo te in questo i social ci aiutano o non ci aiutano?

Dipende da come li usi. Come li stiamo usando io e te, in questo momento, ci aiutano. Ma è diventato troppo facile mandarsi a f****** in 30 secondi, senza neanche essersi mai guardati in faccia. Io per primo mi rendo conto che a volte, per un post rischio di mandare per aria un’amicizia ventennale con persone che prima incontravo fisicamente. Adesso mi ci scontro virtualmente. È lo stesso problema per cui sono nati i corsi di comunicazione nelle aziende, il giorno in cui sono arrivate le mail. I colleghi hanno smesso di telefonarsi e hanno iniziato a scriversi e a fraintendersi, generando conflitti in cui venivano messe in copia conoscenza duecento persone. A un certo punto c’è stata la necessità dei corsi di comunicazione in azienda in cui ti dicevano: “Dopo la terza mail prendete in mano il telefono”. La gente non riusciva più a comunicare da questa stanza a quella stanza lì!

Rimettere al centro la persona. Ce lo sentiamo ripetere in tutte le salse, come un mantra. Eppure cosa vuol dire mettere al centro la persona? Per esempio, Gianluca Metalli, imprenditore riminese, mi ha detto che per farlo si decentra per mettere al centro i propri collaboratori. Cosa ne pensi?

Il primo slogan di FiordiRisorse era: “la persona al centro”. Poi l’ho visto su alcuni cartelloni elettorali, nello studio di un dentista e alla riunione di un’associazione di categoria non troppo sana. Dopo un po’ ho capito che era solo uno slogan. Paradossalmente, per mettere le persone al centro, bisogna che qualcuno si sposti di lato e lasci che altri ci arrivino da soli, al centro. Ma per fare questo devi avere voglia di ascoltarle, devi avere voglia di perderci del tempo, devi avere voglia di capire chi sono quelle persone, sapere quali sono le loro ambizioni e tutto il resto. Fare lo slogan “la persona al centro” e poi essere irreperibile quando ti cercano non è coerente. Magari loro sono anche al centro, ma bisogna capire tu nel frattempo dove sei andato a finire, rispetto a quel centro.

Oggi nel mondo del lavoro c’è una grande bisogno di maestri, eppure questo ruolo sembra mancare nell'esperienza professionale di molti.

Viviamo un momento storico in cui generazioni completamente diverse convivono l’una a fianco all'altra nei luoghi di lavoro. “Analogici” che conoscono perfettamente il mestiere della vendita, della comunicazione, del marketing, del controllo, che possono insegnare tutte queste cose ai ragazzi. A loro volta, ragazzi che possono spiegare come snellire, digitalizzare, progettare in maniera diversa. Ma invece di creare questo dialogo virtuoso, abbiamo allontanato i “più anziani” dalle aziende, pensando di risparmiare. Abbiamo poi assunto ragazzi giovani a cui abbiamo affidato obiettivi irraggiungibili. Li abbiamo fatti schiantare, lasciando andare perso un tesoro di competenze irrecuperabile. Di conseguenza, i ragazzi perdono completamente l’amore per l’azienda, dato che nessuno gliel’ha insegnato. Così si fanno abbindolare dallo storytelling startapparo e si rischiantano per la seconda volta.

Solo oggi le aziende stanno ricominciando a capire l’importanza di portarsi a casa qualcuno con qualche annetto in più. Hanno capito quanto ci sia bisogno di uno sherpa che ti spiani la strada. I giovani che sanno raccogliere quelle esperienze, dopo un anno, hanno una marcia in più rispetto ai loro colleghi.

A volte ho l’impressione che negli ultimi anni in Italia si sia formata una nicchia innovativa che viaggia a mille all'ora, lasciandosi alle spalle il resto del paese. Sei d’accordo con questa impressione?

Non sono molto d’accordo. Parliamo di innovazione e di Industria 4.0 da tre-quattro anni, ma non abbiamo visto mettere a terra praticamente nulla. Al contrario, stiamo vedendo delle aziende che hanno già cominciato ben prima questa Industria 4.0, prima ancora che si chiamasse così! Dobbiamo puntare verso ciò in cui siamo forti: la meccanica, l’automotive, l’alimentare e il turismo. Il digitale deve essere al servizio di quei campi di eccellenza per cui siamo famosi in tutto il mondo, ma arretrati tecnologicamente.

E poi c’è un altro tipo di “innovazione”. Non reale. Penso a tutte queste centrali dell’innovazione (coworking, incubatori, acceleratori, innovation school) che adesso si spacciano come centri d’innovazione, ma sono puri raccoglitori di fondi e di simpatie politiche, che peraltro chiudono sistematicamente dopo pochi anni. È la triste storia di tutti gli incubatori italiani, mentre i sopravvissuti si sono convertiti in scuole di formazione per sbarcare il lunario.

La vera innovazione a mio parere, la fa ancora chi mette a terra le fabbriche, assume delle persone, si assume la responsabilità d’impresa e la sostenibilità dei propri territori. Chi pensa che le fabbriche siano quelle dei nostri nonni, pensa così perché in fabbrica non ci è mai entrato e ha la presunzione di insegnare ad altri quali siano i possibili futuri, allontanandoli da questo patrimonio straordinario che ha il nostro Paese. Dobbiamo sforzarci di fare più cultura del lavoro, più cultura in generale e coltivare relazioni di valore.

È l’unica speranza che abbiamo per il nostro futuro, se non vogliamo trasformare le nostre città in deserti social(i).

Scritto, con cura, da Alessandro Giovanazzi su Euristika!

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Alessandro Giovanazzi
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