L’astronauta

Storia di un Viaggio

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
Published in
3 min readJun 12, 2023

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Ci mise poco a mettere il piede di fronte a sé. Attorno a sé il paesaggio era tutto al contempo sereno e sconquassato. Lente nuvole di fumo s’innalzavano in un cielo rossastro e scuro. Luci vivide si diffondevano dal terreno lavico, mentre in alcuni punti nel cielo la coltre di fumo si squarciava per lasciare spazio a praterie di stelle.

Bard si guardò attorno. Il suolo era deformato dal calore. Il pianeta intero era un vulcano. Camminare non era normale. Spesso bastava un passo, affinché delle morbide crepe provocate dagli stivali della tuta si aprissero; e si vedesse sotto la roccia fusa e incandescente cercare di trovare la sua strada verso il cielo.

Bard era sicura che attorno a sé, almeno per cento chilometri, non ci fosse anima viva. La stazione d’ascolto più vicina le veniva mostrata lontana sulla mappa, quasi sul bordo del navigatore digitale da polso. Ci avrebbe messo almeno cinque giorni per arrivarci. L’acqua non le mancava. Avrebbe sofferto la fame. Questo sì. Ma non era un cammino impossibile.

Solo lo doveva iniziare. Aveva disattivato il robot da compagnia e il navigatore. Non ne aveva voglia. Sapeva la direzione. Bastava seguire la stella Arrasset, posta di fronte a sé. Puntava sempre a Nord. E in quel pianeta dove non esisteva né alba né tramonto, era quasi impossibile perdere la direzione.

Fece un altro passo.

Forse andare verso l’altra postazione di ascolto? Oppure dirigersi vero la miniera di Knesset? Era più distante, ma probabilmente a valle avrebbe trovato una strada costruita dai robo-minatori. Oppure era meglio andare a est? Non sapendo cosa decidere cominciò a guardarsi intorno.

Dove voleva andare?

Ognuno degli obiettivi era potenziale porto sicuro. Ognuna strada era giusta. Nessuna portava con sé pericoli tali da non poter essere scelta. E quindi dove andare? Alzò lo sguardo e vide un altro squarcio nelle nubi nel cielo. E vide ancora quello spettacolo di stelle. E si commosse. Perché tutta quella bellezza? Cui portentose tristezza e gioia s’accompagnavano?

Guardò la sua tuta e i parametri sul computer da polso. Tutto regolare. Solo qualche palpitazione e un ritmo cardiaco lievemente accelerato. Non c’era nulla che ne fosse la causa. Se non quello che l’attraversava nel pensiero e nel cuore.

Intanto vide getti di lava eruttare improvvisamente a qualche chilometro da sé. Saranno stati alti centinaia di metri. E squarciarono il cielo con una luce calda e violenta.

In quella landa arida solo lei riusciva a coglierne l’intima bellezza?

Si cinse il petto con le braccia e arrivò a toccarsi le spalle con i palmi delle mani. Come in un improvvisato abbraccio. E pensò a quanto fosse fortunata nel vedere le cose. Nel sentire le cose. Sentì il suo respiro. Guardò la sua mano. La mosse e la vide muoversi. E se ne stupì come se fosse un intimo miracolo. Non era scontato.

Nel frattempo le direzioni erano tante. Gli obiettivi innumerevoli. Le scelte infinite. Quale quella giusta?

Fece un altro passo.

In ogni stazione c’era qualcuno che l’aspettava. O che quantomeno le avrebbe dato il benvenuto, come un intimo sollievo, nell’incontro con una persona veramente umana.

Fece un altro passo.

Si sistemò la tuta e cominciò a camminare. Aveva preso la sua decisione. Decise di non puntare a nord. Ma di usare la stella del nord come riferimento per definire un’altra strada. Decise di fare la strada più lunga. La meno agevole. Ma che le avrebbe permesso di arrivare a un incrocio da cui poter finalmente dirigersi verso la destinazione che, finalmente, avrebbe scelto.

Riguardò le fratture nella roccia attorno a sé. Caldo avvampava dalle ferite nella roccia. L’aria era calda, e poteva percepirne le vampate, seppur protetta dalla tuta.

Fece un altro passo.

Chissà di cosa aveva bisogno. Di cosa aveva bisogno?

“In marcia. Intanto cominciamo a camminare”.

Dedicato a Beda

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Alessandro Giovanazzi
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