“Lavoro quello che amo”

La via romagnola ad un modello imprenditoriale dove si “impara, insegnando”

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
8 min readJul 4, 2018

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Potrei sfruttare questa nota introduttiva per descrivere le tante attività di Gianluca Metalli, vulcanico imprenditore romagnolo con cui ho preso un costosissimo spritz (da non tornarci mai più) a due passi dal Naviglio Grande di Milano. Ma quelle le potete trovare su LinkedIn. Mi preme molto di più, per coloro che non hanno ancora avuto il privilegio di conoscerlo, dire che è una specie di bomba di vita che tutto restituisce e niente sottrae. L’ho incontrato per una sola ora, ma sono rimasto veramente colpito dalla sua umile passione, insieme alla sua voglia esplosiva di fare grandi cose e fare grandi le persone. Se c’è una cosa che ho capito di lui è che il suo scopo principale, nel fare impresa, non è semplicemente guadagnare (cosa peraltro già difficile), ma è fare in modo che ci guadagnino davvero tutti: dall’impresa, ai collaboratori alla società civile. E a quanto pare ci prova, ci riesce… e se non ci riesce ci riprova!

Qual’è la filosofia imprenditoriale di Gianluca Metalli?

Da vent’anni cerco di costruire una relazione con le persone, ascoltandole. Prendendola al contrario, partirei dicendoti che sono una persona che è in grado di dire no quando è necessario. Per esempio quando un cliente mi chiede un servizio e non sono sicuro di poter dare un vero valore aggiunto, non dico di sì solo per portare a casa maggiore fatturato. A me interessa altro. Cerco cioè di costruire, in senso imprenditoriale, delle relazioni che siano sempre win/win. E devo dirti che questo approccio sta pagando, perché il rispetto che mi sono costruito, insieme al fatto che non cerco clienti, ma piuttosto persone con cui crescere assieme, funziona davvero.

Questo tuo modo di approcciare il lavoro non mi sembra particolarmente frequente. Da dove trae origine?

Questa è in realtà una domanda profonda. In primis direi la mia famiglia. Poi c’è mia moglie, che svolge il compito fondamentale di tenermi in equilibrio. Perché io sono sempre stato uno con il piede schiacciato a tavoletta sull’acceleratore. In particolare quando ero più giovane andavo avanti come un treno, pensando di essere invincibile. Questo mi ha portato a sbattere diverse volte i denti e a imparare che quando costruiamo qualcosa, bisogna costruire fondamenta solide, altrimenti rischiamo dei contraccolpi prima di tutto economici, e in secondo luogo personali. Ma sono proprio questi contraccolpi che hanno anche fatto sì che io abbia sviluppato questo particolare approccio all’imprenditorialità.

Cioè? Come lo approcci, il lavoro?

Mi faccio sempre tantissime domande, per esempio: come posso migliorare il lavoro anche se le cose vanno bene? Poi voglio da tutti una critica, basta che sia costruttiva. Se uno mi dice: “guarda che questa cosa è venuta male”, io accetto il consiglio, perché è la prima opportunità per fare ancora meglio. Memore dei racconti dei miei genitori, ti direi anche che “la casa perfetta si costruisce la terza volta”. Perché con la prima sbaglierai tanto, mettendoci peraltro molto tempo. Ma non è una cosa negativa. I dieci anni che mi hanno portato dall’essere trentenne all’essere quarantenne, sono un grande zaino pieno d’esperienza che mi porto dietro e che mi fa capire quand’è il momento di spingere sull’acceleratore e quando invece bisogna fermarsi a mettere “un’altra gettata di cemento”. Ho capito che, nell’attività d’impresa, non è un problema metterci più tempo, ma piuttosto costruire bene le fondamenta, perché poi il grattacielo viene su davvero in fretta.

Appunto. Poniamo che io sia un giovane trentenne, senza esperienza e cosciente dei propri limiti. Se io volessi avviare una mia attività imprenditoriale, quali consigli mi daresti?

Oggi è più facile rispondere a questa domanda. Quando ho avviato la mia prima impresa, che era di fatto una start-up, anche se il concetto non esisteva nemmeno, mi sono guardato intorno e ho fatto tante domande a chi era più esperto di me. Risultato? Oltre alle grandi porte in faccia, soprattutto all’inizio, non ho ricevuto molti aiuti e questa ritengo sia anche stata una grande scuola. Perché ho dovuto imparare a presentare davvero bene i servizi e prodotti che proponevo. Ho continuato a crederci e ho cominciato piano piano a incontrare delle persone che condividevano i miei valori e che hanno cominciato a percorrere insieme a me un pezzo di strada: penso in particolare ai tanti amici e agli attuali soci che ho all’interno delle diverse società.

Oggi invece per i giovani è diverso. Sono giustamente più accompagnati. Ad esempio ho sposato un progetto che si chiama: “Crei-amo l’impresa”, che ha l’obiettivo di portare la cultura d’impresa nelle classi quarte delle scuole superiori. L’idea è di educare alla difficoltà, alla bellezza, alla particolarità e alla complessità dell’avventura imprenditoriale. Peraltro abbiamo vinto anche dei premi e oltre ad essere stati premiati come miglior progetto della Regione Emilia Romagna, abbiamo avuto anche il privilegio di averlo presentato alle tante persone che durante Expo 2015 erano presenti a Palazzo Italia. Avresti dovuto vedere quanto erano soddisfatti i ragazzi, insieme alle persone che applaudivano.

Pensa. Uno di quei ragazzi mi ha chiamato tempo dopo e mi ha detto: “sai Gianluca, quando mi sono iscritto alle superiori pensavo di fare il programmatore. Invece, grazie a questa esperienza, ho capito che la mia vocazione era rivolta all’economia. Così mi sono iscritto in un importante università londinese”. Quel giorno ho capito che l’obiettivo del progetto che ci eravamo posti era stato centrato, perché portando consapevolezza, abbiamo aiutato i ragazzi a fare una scelta più oculata per il futuro.

Quando un ragazzo viene da me e mi dice che vuole avviare qualcosa di suo, ascolto molto bene la domanda. Poi, oltre ad ascoltare bene la domanda, cerco di capire chi ho davanti, perché la differenza la fa anche l’approccio che ha quella persona nella realtà. Cerco inoltre di stressare la sua idea, mettendola sotto torchio, ma a fin di bene. Infine cerco di fargli passare la filosofia del fare impresa che ho reso mia: parti veloce, impara dagli errori sapendo che fanno parte del percorso. Perché è impossibile che la tua start-up, come la grande azienda, possa vincere subito il mercato senza nessun intoppo. Penso che la cultura dell’errore sia il vero valore aggiunto di un successo. Sbagliando s’impara, me l’hanno ripetuto fin da piccolo. Ritengo sia la miglior scuola di formazione che io abbia fatto. Infine, quando colgo un’idea veramente bella, o che si riferisce al settore che più m’appartiene, valuto di mettermi a fianco. Perché in questi casi, quando so di portare effettivamente un valore aggiunto, mi piace aiutare. Mi nutre. Imparo, insegnando.

Quindi, nel contesto della rivoluzione digitale che stiamo attraversando, per te è fondamentale puntare sulle nuove generazioni.

Molti parlano di Rivoluzione digitale. Io stesso lavoro nel digitale. Ma secondo me la Rivoluzione è innanzitutto culturale. Perché mette in discussione l’approccio di vita delle aziende. In questo contesto le nuove generazioni possono essere protagoniste. Perché i giovani ragionano fuori dalle righe, vivono la realtà in modo completamente diverso. E il mondo gira come girano loro. Gli imprenditori, pur legati alla loro idea originaria, che in origine magari si è rivelata essere vincente, devono ascoltare di più ciò che sta arrivando dal basso, se vogliono proporre modelli di business che continuino ad essere vincenti.

Quando viene presentata una nuova idea imprenditoriale, molti rispondono: ma sei sicuro? Lavorerai di sera. Non avrai più una vita tua. Come se il lavoro fosse una parentesi rispetto alla vita vera.

Io non posso fare altro che spingere nella direzione opposta. Il mio motto è: “Lavoro quello che amo”. Quando fai quello che ti piace, il tempo letteralmente vola. Quando vado in ufficio, mi diverto. Mi diverto a costruire. Mi diverto a risolvere problemi. E poi mi piace aiutare. Come ad esempio il lavoro di coordinamento che faccio con i team delle mie società. Mi piace che riescano a lavorare in autonomia, con un forte senso di responsabilità, lasciando che io intervenga solo in casi specifici e per risolvere le loro problematiche.

Ma questo vuol dire che, in un certo senso, tu preferisci “decentrarti”. Cioè fai in modo che gli altri imparino sempre di più a camminare con le proprie gambe.

A me interessa che la squadra vinca il campionato. Non mi interessa che venga fuori che ero io l’allenatore. Amo mettere l’esperienza che ho fatto a disposizione dei miei team. E in questo modo loro lavorano meglio, fanno le cose per sé stessi, vengono a lavorare con piacere, tant’è che in nessuna delle aziende in cui partecipo ci sono i cartellini all’ingresso.

Di fatto tu pratichi lo smart working

Si. E quando non ci sono problemi da risolvere mi concentro il più possibile sulla ricerca e lo sviluppo. Cerco di capire come migliorare le cose, anche quando funzionano. Se scopro qualcosa di interessante, cerco di applicarla nelle realtà più piccoline. Se la cosa funziona, porto la buona pratica anche nelle realtà più grandi. Perché ciò che funziona nel piccolo, in alcuni casi può essere adattabile anche nel grande. Cerco cioè di attivare tutte le sinergie possibili.

È una cosa difficile in Italia creare delle sinergie?

Si, ed è un altro problema culturale. Ma non sono parole di resa.

È da 3 anni che lavoro a un progetto che, quando è partito, era considerato una pazzia. Man mano che conoscevo le persone, durante il mio percorso professionale, gli raccontavo il mio sogno: io sono un’azienda che fa digitale, tu video, l’altra digitalizzazione degli spazi; ma perché non ci mettiamo assieme creando un unico spazio? Ho voluto portare avanti questo progetto con professionisti che abbiano la stessa cultura della persona. Creare uno spazio condiviso con realtà diverse fra loro, ma mettendo a fattor comune un obiettivo e una visione comune.

Sarà un’iniziativa in grado di coniugare imprenditoria e sociale, partendo dal valore umano e dal territorio riminese.

Per esempio, tra le tante cose, sono previsti eventi e spazi di incontro dove poter insegnare il valore e la cultura d’impresa, insieme all’importanza della socialità vera, non quella dei social network. E poi voglio che i giovani possano essere ascoltati nel presentare le loro idee imprenditoriali. Mi sono reso disponibile a guidare l’iniziativa, dopo aver riscontrato la fiducia delle tante persone che ne fanno parte. Questo spazio condiviso, voglio tutelarlo e accompagnarlo, ma guidarlo solo all’inizio. L’obiettivo è che a portarlo avanti siano i giovani, con sempre maggiore autonomia.

Ma sei un imprenditore o un educatore?

Guarda. Proprio pochi giorni fa mi ha chiamato la professoressa con cui avevamo vinto il concorso regionale “Crei-amo l’impresa”. Mi ha detto di voler partecipare ad un bando PON per portare i suoi studenti a incontrare il mondo delle aziende innovative, chiedendomi di essere il riferimento di questa iniziativa. La cosa mi ha riempito di gioia!

Le ho risposto: “guarda, ho un’agenda davvero piena, ma questa diventa la mia priorità, e troverò sicuramente lo spazio”. Quando ci sono queste energie non possiamo lasciarle lì abbandonate sul tavolo.

Scritto, con cura, da Alessandro Giovanazzi su Euristika!

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Alessandro Giovanazzi
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