Le tre persone che non si conoscevano

La psicologa, la docente d’inglese, il data scientist.

Andrea Mattioli
Learning Diaries
10 min readOct 30, 2018

--

Metti tre persone che non si conoscono, che fanno lavori diversi, che incontri a corto raggio di tempo, ci parli e poi ti resta dentro qualcosa che ti va di scrivere.

Siamo diversi, ma simili

Questo non è un racconto che va nelle viscere dei problemi, non si fa gli affari degli altri, non vuole risolvere nulla della vita altrui; queste sono parole di persone, che nel mese di Ottobre del 2018, per caso, hanno parlato di fatti, degli spazi, di saluti e di occhi di chi, a volte senza saperlo, si vuole anche un po’ di bene.

Mi piace incontrare le persone, fa parte del mio lavoro, fa parte dei miei sogni, fa parte della ricchezza che negli ultimi anni ho cercato, come chi cerca l’oro.

Sono un Hr manager di una azienda IT; persone, innovazione, tecnologia e dati sono gli ingredienti delle mie giornate; in quelle zuppe ogni giorno diverse trovo il calore che a volte solo un vecchio camino può dare.

Di fronte a loro vedo i volti parlanti, i loro indumenti descrivono i colori o il desiderio di grigio, il loro tono della voce varia in base all'ultimo pasto consumato, le loro storie a volte ti abbracciano mentre altre raschiano, bevi ricordi e fragilità insieme, come un cocktail estivo; i gesti delle mani catturano la mia attenzione come la frusta del domatore fa con i grandi felini, ma senza la paura di stare fermo.

Vi racconto di loro perché credo possa essere un patrimonio per vivere questo tempo complesso pieno di rapporti umani.

La psicologa

Capita che una mattina ti trovi con una psicologa, amica da anni, attorno ad un tavolo bianco, senza un vero scopo, ma con il desiderio di capire o ascoltare.

Inizi con domande generiche, per vedere se qualcuno ha voglia di prendere un filone; parli di ragazzi che a volte sono figli e a volte sono quelli che proietti come tuoi figli, parli di te tramite loro; dentro la nostra immaginazione, mischiata alla vita di ogni giorno, ti infili nei dubbi che da sempre qualcuno ha cercato di venderti come certezze e ti accorgi che il mondo è pieno di esperti di incertezze.

Ad un certo punto chiedo: ma tu, in questi anni di professione, cosa trovi di diverso nelle persone che incontri?

La risposta è abbastanza chiara e quasi rapida: “non trovo alcuna differenza nelle persone; le persone si muovono sempre per le stesse cose; ci sono sovrastrutture che ci fanno sembrare diversi ma in realtà, le persone, si comportano sempre allo stesso modo”.

La guardo, come a volte guardo i lampioni delle strade dritte; il concetto mi sfiora spesso le mani e fa sembrare Seneca un mio compagno di giochi, anche se in realtà non l’ho mai conosciuto. Nelle sue lettere, che ho letto qualche anno fa, ho trovato pezzi incredibili di noi stessi, di noi degli anni 2000, di noi forse degli anni del 2075.

Poi abbiamo parlato di tante altre cose, che un giorno vi racconterò, ma ci siamo detti che l’essere umano è più primitivo di quanto sembri. Le persone litigano sempre per gli stessi motivi, la paura non è passata e forse oggi ne abbiamo anche per l’ignoto; teniamo sul comodino più smartphone e meno sogni, la felicità non esiste se non nella sua “à” finale, che fa rima con libertà; parliamo di tutta la formazione che tutti fanno per trovare sé stessi quando, mettendo le mani in tasca, troveremmo molte più cose di noi; a volte cerchiamo noi negli armadi di altri ma troviamo vestiti stretti o larghi.

I nostri figli che università faranno? Non lo sappiamo. Li ascoltiamo e nel loro nuovo linguaggio cerchiamo di indovinare cosa è utile capire a 18 anni; partiamo dal punto fisso che ascoltare e parlare siano due cose che non invecchiano, forse maturano.

Ci salutiamo e ci abbracciamo, sappiamo che ci incontreremo di nuovo e parleremo di noi e di altre cose; ci sentiamo come quei campi di fiori che vedi passarti di fianco durante un viaggio in campagna e che a volte saluti con la parte di te che non sta guidando, tanto poi li rivedrai.

La docente d’inglese

Lei arriva in bici e io a piedi, la vedo guardare verso una direzione che fa parte della sua aspettativa di vedere arrivare qualcuno; io arrivo dall'altro lato della strada, la chiamo per nome e lei mi dice “ma hai su la camicia, non ti avevo mai visto cosi”; io le sorrido e le dico che l’ho messa per quel sole che a Ottobre ci fa fare molta ombra e crea forse disastri; in realtà la camicia la metto altre volte, ma lei non lo sa.

Ci sediamo a mangiare un panino; lei prende un Firenze e io un Washington, comunque siamo a Milano e siamo seduti su sedie rigide e abbiamo la percezione che staremo fermi per un po’.

Ci siamo conosciuti quando una persona mi ha chiesto se ero interessato a valutare corsi di inglese per la società per la quale lavoro; la mia risposta è stata “perché no?”. Ci siamo incontrati una volta e poi abbiamo organizzato i corsi per tante persone e siamo contenti di averlo fatto; poi ci siamo risentiti e rivisti perché entrambi pensiamo di poter parlare di argomenti interessanti, almeno sembra.

Mi dice che fa la volontaria per ragazzi immigrati e che la cosa pazzesca è come ogni cultura viva i sentimenti in modo diverso; qualcuno si arrabbia per una frase che per altri è nulla; altri si vergognano nel non saper scrivere; altri ridono del non saper scrivere; lei ride e i suoi occhi trasmettono qualcosa che non appartiene al lavoro, alle riunioni, ai messaggi delle app e a tutto quello che ci mettiamo addosso ogni giorno per essere sempre più produttivi.

Giocare con le emozioni, riceverle, saper stare con gli altri.

Penso alla diversity e penso a tutti quelli che non sanno nulla di quel termine e che nelle aziende siamo tutti diversi e ci incazziamo anche con quelli uguali a noi; non ho mai capito perché certe dinamiche avvengano sempre nonostante l’intelligenza artificiale. A volte, vorrei dire a Google Assistant di assistermi, per non far incazzare le persone inutilmente e di non perdere tempo a voler cambiare gli altri prima di cambiare noi stessi. Ho l’impressione che a Google queste cose non interessino per ora, non so se fanno fare soldi.

Le dico della mia forte volontà di impegnarmi per gli studenti e che, nonostante la stanchezza di alcuni giorni, i miei occhi non si chiudono subito perché la testa forse non si addormenta mai prima degli occhi. Voglio portare innovazione nelle scuole, metodi attuali, co-creazione, fare gruppo, essere persone prima di testo in un libro; vedere scorrere emozione tra i banchi, coglierla nella partecipazione ad un progetto che è più tuo che non delle istituzioni, questo mi piace pensare.

Proviamo ad immaginare come avvicinare ancora di più i ragazzi all'inglese e mi dice che sta organizzando 3 eventi gratuiti di un paio d’ore per imparare a fare colloqui in inglese; mi dice che vuole venire a fare qualcosa anche a Cremona, mi dice che ha affittato una stanza della sua casa e ha conosciuto una persona interessante che pochi secondi prima esisteva, ma non per lei; mi dice che ha una persona molto cara che sta molto male; mi dice che lei a questi episodi ci pensa e ha voglia di fare nuove cose; poi a volte si perde; poi torna a sorridere.

E’ ora di lasciarci; prima di sederci a tavola mi ha portato a vedere una chiesa con due navate; ero passato da quel punto diverse volte, ma non ero mai entrato e questa volta ho visto una cosa diversa; ho sempre visto quelle a una o a tre navate e non mi ero mai domandato: perché nessuno le fa a due? Mi aveva detto che era un regalo di un uomo alla sua sposa; io vorrei regalare a tutti una cena con una persona interessante (io sarei li con voi, ovvio).

So che ci sentiremo e che pranzeremo ancora insieme; Benedetta ha un volto che ha fotografato belle storie di vita e il suo sorriso, con la chiusura dei suoi occhi marroni, a volte mi dice che anche al buio si può sorridere; io vado verso la metro con passo spedito, perché qualcuno forse mi deve chiamare e se non lo fa io vado comunque in metro.

Il data scientist

Il venerdi e il sabato, a Milano, frequento un master dal titolo “Data analytics”. Mia madre storce la bocca quando glielo dico, altri non capiscono cosa ci azzecchi con il mio lavoro; a volte rispondo che dentro il loro smartphone ci sono più dati di quelli che la loro mente possa a ricordare dopo 30 anni di vita.

Il nome non è bellissimo, lo ammetto; la parola “Data” può far pensare al 10 di Ottobre o a quando si è sposato qualcuno; “analytic” a volte può essere scritto su un cartello del laboratorio di fisica nucleare.

A quel corso si parla di informazioni, di strumenti per capirle, di metodi per elaborare qualcosa che attribuisce, per noi, una sorta di senso a numeri e lettere.

Intorno a noi ci sono persone che ci attraversano

Dopo cena entra in scena Federico, una faccia simpatica, parla veloce, si muove come un dj a una festa Rap, conosce il fatto suo e parla di cosa sta facendo. Parla principalmente di come stia cercando di utilizzare i dati per capire i comportamenti delle persone che vanno a fare la spesa e di come chi vende possa adottare politiche di prezzo “intelligenti” sulla base di chi compra, di che ore sono, di che tempo c’è, di quanta merce c’è in magazzino e se tua moglie forse è passata prima di te a comprare qualcosa che non ti serviva per nulla.

Mi vedo al supermercato del futuro, con una mega borsa senza ruote, che vola al mio fianco, con degli scaffali altissimi, pieni di prodotti che hanno gli occhi, che mi guardano e mi chiamano per essere acquistati; io sono li, come un cliente da una prostituta, che aspetta che il prezzo sia basso per pensare che il sesso possa anche avere un prezzo di mercato con lo sconto.

Abbandono il desolante pensiero e cerco di capire meglio; lui è simpatico nel modo di parlare e racconta le cose come un ballerino raccoglie gli applausi alla fine della danza.

A pelle mi piace, le cose che fa accendono la mia curiosità che, come un albero di Natale, a volte aspetta solo che qualcuno inserisca la spina delle luminarie.

Mi chiedo se le cose che facciamo siano volute da noi o generate da qualcuno che ci conosce meglio di noi; sanno cosa mi piace, sanno cosa mangio, sanno i miei orari, sanno dove abito, hanno la mia email, sanno che pago con carta di credito, sanno l’orario a cui vado a comprare, sanno che per certi prodotti non ne possono fare a meno; non sanno forse se ho mutande blu e calze colorate ma se me lo chiedessero forse glielo direi, in cambio di una tortina al cioccolato. La domanda alla fine è: chi sono quelli che sanno? Sinceramente non lo so.

Gli mando una richiesta di collegamento su Linkedin e lui mi risponde: “Ciao Andrea, grazie del contatto. Non conoscevo il tuo background e ti confesso, mi piacerebbe fare due chiacchiere a riguardo. La vera verità è che mi interessano molto più le questioni umane che non i numeri…”

Gli dico che dobbiamo sentirci e quindi dopo due giorni ci chiamiamo e ci diciamo che ci dobbiamo vedere per raccontarci qualcosa delle persone, dei dati, del “dato” che conosciuto dalla persona la rende più persona, dal come si potrebbe pensare a misurare l’energia che ci vuole per fare un progetto, di come le persone, attraverso la loro consapevolezza, potrebbero smettere di sopravvalutarsi per poi sprofondare stando seduti al pc (mi viene in mente una cosa che mi ha detto la psicologa; lo sai che le persone a volte piangono durante i colloqui con me? Io rispondo: lo sai che mi capita. Entrambi diciamo che a volte non ci teniamo più il tempo per piangere e quando capita ci scusiamo).

Ma se spegnessimo tutti i social network oggi, come cambierebbe la nostra percezione del mondo? A cosa dedicheremmo tutto il tempo che utilizziamo mangiando lo schermo? Mia madre sarebbe diversa? Avrei mai fatto così tante foto inutili come negli ultimi anni? Avrei conosciuto chi non conoscevo?

Sono solo pensieri e poi utilizzo i social.

Incontrerò Federico presto ma ne ho una voglia immensa e poi l’ho incontrato di persona, è pazzeschissimo; la pasta con patate e cozze è stata accompagnata da pane e filosofia, etica e dati, mescolata con un forte senso di capire come far star meglio le persone, anche quelle che credono di star bene.

Abbiamo parlato di dov'è la nostra coscienza e di come farla vivere meglio. Persone e dati e noi che cerchiamo di stare bene piuttosto che stare peggio dentro un mondo bello, ma che si auto-divora, a volte.

Ascolto Static Orphans dei The Barr Brothers che non sapevo chi fossero se non me lo avesse detto Spotify.

Sono stato a Verona a incontrare persone che parlano di scuola e di educazione al futuro; che figata, a breve mi ci butto a capo fitto; progetti per portare nuovi metodi di apprendimento nelle scuole secondarie e universitarie, ci trovo un grandissimo senso.

Ogni persona di questa pagina ha preso del mio tempo e me lo ha restituito diverso; a loro vorrei dire “passate una bella notte e sentiamoci presto perché abbiamo tante cose da raccontarci”. A me dico che il caso porta vento nuovo, che le persone sono determinanti nella nostra vita, che ogni volta che ascolto una nuova storia è come se iniziassi a vivere qualcosa che ho dentro ma semplicemente non sapevo di avere.

Scritto, con cura, da Andrea Mattioli su Euristika!

Ricorda che Euristika non è un blog, ma una Comunità di pratica composta da educatori, HR e professionisti del mondo del lavoro. Ci piace mettere a fattor comune le nostre esperienze sul tema dell’innovazione, attraverso articoli, riflessioni e interviste di qualità.

Se l’articolo ti è piaciuto clicca sul tasto 👏 e condividilo. Inoltre, se non vuoi perderti i prossimi pezzi, iscriviti al canale di Euristika su Telegram cliccando qui! È semplice, veloce e senza impegno! Se invece vuoi semplicemente dirci la tua, contattaci cliccando qui!

--

--

Andrea Mattioli
Learning Diaries

I'd like to catch something from adults world and give it to students and I like to catch something from students world and give it to adults.