“Noi andiamo in profondità, loro invece fanno surfing”

Dialogo per una via umanistica all’educazione e all’informazione digitale

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
6 min readAug 2, 2018

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Prima domanda. Chi è Gianfranco Marini?

Partirei dicendoti che sono un “copione”. Quando ho iniziato il mestiere di insegnante ho cominciato a usare il web per il mio lavoro: la didattica. Dato che era territorio quasi del tutto inesplorato mi sono lasciato guidare da quello che vedevo fare da altri colleghi, anglosassoni perlopiù. Al contempo mi sono fatto (e mi faccio) guidare dagli studenti. Per cui quando mi accorgo che sfruttano uno strumento utile e che facilita il lavoro, lo recupero e lo faccio mio. Si tratta di un aspetto molto importante che sfugge al Ministero, che invece mette in atto politiche di aggiornamento calate dall’alto, che spesso non rispondono alle esigenze concrete dei ragazzi e degli insegnanti.

La seconda domanda è: da dove viene Gianfranco Marini?

Insegno storia e filosofia presso il Liceo Scientifico “G. Brotzu” di Quartu Sant’Elena. Sono un blogger, ho un canale Youtube e sono laureato in filosofia, anche se poi ho preso una seconda laurea in Tecnologia della Comunicazione multimediale presso l’Università di Ferrara. L’ho fatto perchè, riprendendo ciò che ti ho detto nella risposta alla prima domanda, sentivo il bisogno di studiare e approfondire gli strumenti da un punto di vista teorico e non solo pratico. L’ho fatto perchè stava nascendo “la fronteria”, non si sapeva come sarebbe andata al web, cosa se ne sarebbe potuto fare e volevo una formazione più formale, non solo da autodidatta.

Che idea ti sei fatto di questi strumenti digitali?

Ho visto che amplificavano l’efficacia della mia attività e, contemporaneamente, le potenzialità d’apprendimento degli studenti. In ogni caso sono convinto che il futuro di questi strumenti e della potenzialità digitale non stia né nelle tenebre degli apocalittici, ma neanche nel radioso avvenire a volte dipinto dagli entusiasti delle tecnologie. Il futuro sta nelle nostre capacità di utilizzare questi strumenti senza fare feticismo e senza fare catastrofismo.

Mi pare tu abbia un approccio particolarmente curioso. In mancanza di maestri te li sei andati a cercare fin negli Stati Uniti, “copiandoli”. Questa curiosità è presente nella scuola italiana?

Farei una piccola premessa: io ho un atteggiamento a volte critico ma a volte giustificazionista nei confronti dei docenti italiani impauriti dai nuovi strumenti. Infatti c’è da dire che siamo il paese con la classe docente fra le più anziane del mondo. Io ho 59 anni e ho imparato il linguaggio digitale, ma la maggioranza dei miei colleghi, anche quelli che hanno la tua età, escono dall’Università formati in un certo modo e hanno un modo di pensare che definirei “Gutenberghiano”. Il problema è che a questi docenti il ministero ha spesso proposto nel modo sbagliato le tecnologie, con un atteggiamento talvolta sprezzante da parte di alcuni “esperti”. La reazione, inevitabile, è stata quella della paura, che è comprensibile, anche se sbagliata.

Il punto è che la soluzione ai problemi della nostra scuola non è calare dall’alto strumenti e pratiche. Deve piuttosto essere una politica dei piccoli passi. Io ad esempio seguo 6–7 persone per aggiornarmi, come Robin Good, Maestro Roberto e il sito di Richard Byrnes “Free technology for Teachers”.

Le informazioni che abbiamo a disposizione come docenti sono aumentate esponenzialmente negli ultimi anni, eppure dai racconti di molti insegnanti sembra sempre prevalere negli studenti un approccio orizzontale, se non addirittura superficiale, allo studio e alla didattica.

Nel web l’informazione non è strutturata ed è perlopiù non governata. Nessun singolo individuo o ente può governare un’informazione massiva del genere. Prova a immaginare un demonietto dell’entropia che entra nella Biblioteca del Congresso (la più grande del mondo) e strappa tutte le pagine di tutti i libri e poi li mette alla rinfusa. Si tratta di una struttura aperta, decentrata, dove tutto quello che viene prodotto non necessariamente è certificato. Per cui che fare? Noi come docenti così come gli studenti?

Bisogna imparare a sviluppare un forte pensiero critico e imparare a vagliare le fonti. Bisogna imparare a confrontarle, a verificarne l’attendibilità così come la qualità. È un lavoro che si impara a fare collaborando. Tenendo conto che i nostri studenti, nativi digitali, sono in grado di navigare sulla superficie di queste informazioni, ma spesso non sono assolutamente in grado di rielaborarle, almeno non da soli.

Ma questa superficialità non rischia di renderci schiavi degli algoritmi? Mi spiego. Spesso ci fermiamo alla prima pagina che ci propone Google, che è uno strumento algoritmico. Tutto il resto è come se non esistesse perchè semplicemente non lo vediamo. Non rischiamo un paradossale impoverimento d’informazione in un contesto di sovrabbondanza d’informazione?

Sì, in parte è così. Non si è mai avuta così tanta informazione ma non si è mai corso così tanto il rischio di omologazione. Pensa ai Big Data, secondo Robin Good è uno dei problemi da mettere nella top ten! Non necessariamente il materiale che ci viene proposto è il materiale di cui abbiamo bisogno. Sono d’accordo con lui, ad esempio, quando contrappone al data mining una via umanistica basata sull’attività umana. Io per esempio, più che il coding, sto cercando di insegnare ai miei studenti l’importanza della cura dei contenuti. In altre parole, il filtraggio, le rielaborazione e la riproposizione delle informazioni da parte di esperti.

A volte penso a quante volte i docenti replichino la produzione dei materiali a scuola, nelle varie materie. La produzione collaborativa online dei materiali non farebbe risparmiare tempo, aumentando al contempo la qualità dei materiali didattici?

Noi siamo atomi e non riusciamo a diventare molecole. Il punto però è che non si tratta solo di rimanere aderenti alle discipline e di riproporre quello che fa il libro in un’altra modalità. Bisogna andare oltre a vedere quali sono le potenzialità che la collaborazione digitale può dare. Perché la presentazione, preparata in modo condiviso, oltre che avere una valenza formativa in sé sia per gli studenti che per i docenti, ci permette di attivare gradualmente nuove modalità di fare didattica (sempre seguendo la politica dei piccoli passi).

Mi raccontavi prima del gap generazionale fra studenti e docenti sempre più anziani. Alcuni studenti cominciano a essere tecnicamente più bravi dei propri docenti Cosa ne pensi?

Noi non dobbiamo competere con i nostri studenti dal punto di vista tecnico. Noi dobbiamo fornire il giusto background per affrontare correttamente la realtà digitale. Loro, ad esempio, faticano ad accorgersi che il web è reale quanto la realtà fisica. Anzi è per molti versi più definitivo. Quello che fai sul web rimarrà per sempre. Così mentre loro curano il proprio aspetto e stanno attenti a come si vestono tra i loro pari, non sono così attenti nel loro agire “social”. Non lo sanno fare! Noi li possiamo aiutare nell’applicare quello in cui siamo bravi: un uso critico del web, in cui cercare con intelligenza di confrontare e paragonare quello che troviamo e produciamo digitalmente.

A proposito di video editing e fotografia. Si parla sempre più di competenze, in modo quasi assillante. Mi chiedo, a che pro fornire tantissime competenze agli studenti senza però dare al contempo il giusto peso allo sviluppo delle conoscenze e della personalità?

A loro, in particolare nei licei, dobbiamo insegnare l’elasticità e la capacità di adattarsi alle situazioni che evolvono continuamente (quelle del mondo di oggi). Il punto è apprendere ad apprendere. Poi c’è una didattica per competenze seria che non è un semplice “passiamo dal sapere al fare”. La competenza è in realtà un qualcosa di complicato ed è strettamente intrecciata al sapere.

Che cos’hanno, nel bene e nel male, le nuove generazioni di diverso rispetto a quelle precedenti?

È un discorso interminabile. Dalla loro hanno il multitasking. Poi hanno la capacità di avere un approccio molto più diretto è immediato verso il “nuovo”, che non li mette automaticamente in crisi come a volte succede a noi. Sono abituati a nuotare nel fiume digitale senza affogare, molto meglio di noi. Invece non hanno l’attenzione, la capacità di focalizzarsi. Perchè chiaramente la cultura Gutenberghiana che noi generazioni più anziane ci portiamo dietro è in realtà molto potente.

Noi (in termini generali) andiamo in profondità, loro invece fanno surfing.

Scritto, con cura, da Alessandro Giovanazzi su Euristika!

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