“Non sei tu che parli, ma sono loro che ti aiutano a fare la lezione”

Intervista a Gianfranco Siciliano

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
7 min readNov 6, 2018

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Chi è Gianfranco Siciliano

Sono Assistant professor all’Università Bocconi, da ormai sei anni. Insegno Financial Statement Analysis al master, ma più in generale, in triennale, mi occupo di Accounting, cioè di bilancio. Oltre a questo, faccio per un altro 60-70% del mio tempo ricerca, sempre su questo tema.

Ma da dove viene Gianfranco Siciliano?

Ti direi che vengo da molto lontano. Laureato all'Università di Parma in Economia aziendale, poi un progetto comunitario di un anno in Olanda presso la Philips, infine un dottorato a Parma in Comunicazione del valore delle imprese.

Finito il dottorato, mi sono chiesto che cosa volessi fare veramente a quel punto della mia vita, cioè iniziare una professione o proseguire la strada della ricerca. Decisi per la seconda opzione e feci un secondo dottorato alla Duke University negli USA proprio in Accounting, per poi arrivare alla Bocconi.

Come cerchi di valorizzare il tuo approccio didattico?

Ad esempio, chiedo agli studenti di studiare su dei veri paper, ovviamente non troppo complessi. Il punto è mostrargli veri problemi, magari una volta ogni 3-4 lezioni, che siano contestualizzati con quello che stanno facendo. Oppure, faccio riferimento a notizie economiche del momento. Ad esempio, parlando di tasso di irrecuperabilità del credito, mi ricollego al tema dello spread alto in Italia in questi giorni e delle ripercussioni sulle operazioni delle banche, delle famiglie e quindi delle imprese. Voglio che gli studenti arrivino a dire: “Ah, ma quello che sto studiando in questo capitolo è rilevante!”.

Quali metodi metti in atto per raggiungere meglio i tuoi studenti?

Devi dimostrarti sempre disponibile e aperto a qualsiasi tipo di domanda. Ma, soprattutto, devi cercare di instaurare un rapporto. Tutta la partita (la battaglia) si gioca in classe, perché è qui che facciamo domande, rispondiamo ai dubbi, risolviamo problemi ma, soprattutto, sbagliamo. Tutti insieme, senza alcun pregiudizio.

Cosa intendi quando dici “ sbagliamo”?

Li sfido continuamente. Per loro il corso sarà una serie di cadute e “ri-alzate”. Perché solo così riusciranno a vincere, non soltanto la sfida finale del corso, ma anche la sfida nella vita. E questo avviene in un contesto in cui, anche se non insegno da 200 anni ma da soli 6, c’è sempre più questa tendenza a rifiutare lo sbaglio, vergognandosene. Ma penso sia più un problema culturale prettamente italiano, più che generazionale perché, ad esempio, noto che i miei studenti americani sono quasi estranei a questo tipo di problemi.

Ma quindi come stanno cambiando i tuoi studenti?

In linea generale, la vogliono avere più facile. In questo sono già dei perfetti economisti, dato che vogliono ottenere il massimo beneficio con il minimo costo. Ma, purtroppo, nella vita non ottieni dei benefici se non te lo sudi, il risultato.

Inoltre, immagino ti dovrai confrontare con il problema dell’attenzione. Una ricerca di Microsoft ha mostrato il trend di decrescita della nostra capacità media d’attenzione, scesa a 8 secondi (un pesce rosso ne ha 9).

Basandomi sulla mia esperienza statunitense, infatti, io cerco in tutti i modi l’interazione con gli studenti. Me la vado proprio a “cacciare”. Ad esempio, cerco di imparare il nome di tutti i miei studenti.

Il solo fatto di sentire il tuo nome, in una classe di 100 persone, ti fa esistere. Di solito, uno studente universitario pensa: “il mio professore non si ricorderà nemmeno del fatto che io esista”. Ciò lo capisco nel momento in cui mi scrivono le mail e dopo 2 o 3 mesi dalla fine del corso si ripresentano con nome e cognome. Sorrido e penso: “Ma certo che ti ricordo!”.

Mentre se ti indirizzi a loro, chiamandoli con il loro nome, stimoli la loro attenzione e crei un ambiente “ad elevata comunicazione”. Di fatto, poi, si generano delle dinamiche per cui non sei più tu che parli, ma sono loro che ti aiutano a fare la lezione.

Io credo che questo sia, usando un termine contabile, l’intangible asset delle mie lezioni. Perché porta il ragazzo a dire: “io non sono solo un numero che paga una retta universitaria”. Quando invece vede che c’è qualcuno che si prende cura di lui e che lo porta a raggiungere il suo obiettivo. Che poi è il mio: preparare studenti che non solo passino esami, ma siano capaci di pensare in modo critico al mondo che li circonda e liberamente.

Di fatto, una pratica dove lo studente non è più spettatore invisibile

A mio parere, infatti, è fondamentale che ci sia un contatto diretto tra studente e docente. Il rischio, altrimenti, è di creare un’orchestra senza maestro.

Ma perché proprio Bilancio? Apparentemente non sembra la più allettante fra le materie economiche.

Guarda, nella mia prima lezione non comincio mai subito a spiegare come sarà strutturato il corso. Né a spiegare come e cosa si valuterà, né quanto peseranno i vari argomenti durante l’esame. No. Cerco di spiegargli perché è importante Bilancio. Questo perché, se tu non lo fai, essi vivranno quel periodo di tre mesi come una costrizione. Invece, cerco di mostrargli come in tutte le epoche e in tutte le civiltà (inca, mesopotamica, cinese, romana, etc..) sia a un certo punto insorta la necessità di misurare e contabilizzare gli eventi economici intorno a noi. Ed è a questo punto che loro cominciano a comprendere la concretezza di quello che stanno per iniziare a studiare. Cerco di dargli una prospettiva, dalle origini della storia fino alle moderne imprese multinazionali, perché oggi, in questo mondo veloce, senza tempo e privo di coscienza delle nostre origini, è importante sapere da dove veniamo.

Quindi tu stai dicendo che per te studiare bilancio ha a che fare con la vita?

Per me l’insegnamento della mia materia deve essere anche un insegnamento di vita. Devi imparare a pianificare, organizzarti, risolvere problemi complessi e, appunto, sbagliare. Gli spiego che a lezione devono imparare a sbagliare. Il punto non è stare semplicemente lì, ma interagire e tentare.

Ma quindi mi sembra di capire che tu, oltre che passargli delle informazioni, stia cercando di farli crescere come decision maker e come persone.

Certo! Non riesco ad immaginare un corso insegnato unicamente per trasmettere informazioni/nozioni. Spesso gli dico che se avessero voluto un corso così, avrebbero potuto risparmiare tempo e denari, semplicemente connettendosi ad un motore di ricerca online per imparare. Non riesco poi a immaginare un corso che non ti faccia sorridere, che non ti faccia sbagliare, che non ti faccia provare e sentire delle emozioni. Ad esempio, ogni tanto c’è davvero bisogno della battuta, perché sennò lo studente si annoia, specialmente quando durante la lezione è posto di fronte al proprio fallimento.

Perché la persona ha bisogno di essere accompagnata e deve capire dalla propria esperienza cosa fare per non sbagliare più. In fondo, errare è umano, perseverare è diabolico! Infine, c’è bisogno di competizione, quella sana però, non quella basata sul disonore, sull'invidia e la gelosia. Una competizione dove si lavora insieme, si studia e si sbaglia. E se io studente, vedo che il mio vicino di banco non sbaglia più, allora in me si alimenta un incentivo interiore (a chi più, a chi meno) e scatta inevitabilmente il bisogno di riuscire a risolvere quel problema con le mie forze.

Ma il punto è che bisogna “fare fatica”. Siamo troppo abituati ad aprire il cellulare e a fare immediatamente una ricerca. Ma così rischiamo di voler capire senza soffrire. Quando è invece con e dal sacrificio che si impara e si metabolizza una nozione.

Anche perché, immagino, che il bilancio non si pieghi tanto facilmente alle semplificazioni

Oggi insegnare a fare bilancio è diverso. Sicuramente, molto più difficile che in passato. La crescente complessità delle transazioni economiche richiede regole più complesse. Ciò che cerco di spiegare ai miei studenti è che l’Accounting (il bilancio) è un linguaggio. Come la musica, che permette alle persone di comunicare e di condividere esperienze in ogni parte del mondo. Una volta capita la logica sottostante a questo linguaggio, non importa quanto il mondo e l’economia possano diventare complessi, loro intanto avranno interiorizzato la chiave giusta per poterli leggere.

Scritto, con cura, da Alessandro Giovanazzi su Euristika!

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Alessandro Giovanazzi
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