Si gioca per vincere.

Chiunque guardi questa immagine, diciamoci la verità, desidera vedere i suoi piedi poggiati sul gradino più alto. Il primo posto. Il top. Ma è davvero questo quello che fa di un giocatore un vincitore?

Alessandra Maggi
Learning Diaries
8 min readJul 31, 2018

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Non importa che tu sia adulto o piccino, il desiderio resta quello. Il primo posto.

Bene. Per arrivare a poggiare i piedi su quel gradino devi GIOCARE. Quando si pensa al gioco, vengono subito in mente i bambini, perchè, da che mondo è mondo, chi gioca più di tutti sono i bambini.

GIOCO: nome comune di… persona.

Scatti quotidiani di vita vèra (photo by me)

Sì, i bambini. I bambini sono così, vogliono giocare e non vogliono diventare grandi.

Chissà poi perchè non vogliono diventare grandi. Forse perchè vedono che i grandi non giocano più? O forse perchè i grandi che giocano, non lo fanno mai divertendosi davvero fino in fondo? Effettivamente, gli adulti, se giocano, lo fanno nel tempo libero, perchè quando giocano nel tempo della quotidianità, significa che quello è un lavoro; basti pensare ai calciatori di professione o ai cestiti o ai rugbisti, per citarne qualcuno.

Ma i bambini no, loro non giocano nel tempo libero e il loro giocare non è un lavoro. Loro giocano nel tempo. Giocano sempre. Durante il tempo della scuola mi incanto a guardarli negli intervalli o nei tempi di passaggio tra un’attività e l’altra e resto lì a gustarmi quel modo così naturale di scivolare dentro la fantasia che hanno solo loro. Non si chiedono mai se hanno voglia di giocare, ma sempre e solo a che cosa giocare. Nessun piccino ha bisogno che qualcuno gli dica “Gioca!”, perchè lo fa da sè; giocare è l’essenza della sua quotidianità.

I bambini giocano con tutto, ma non con tutti.

“Ci si sceglie perchè ci si corrisponde.”

Crediamo sempre che ai piccini non faccia differenza con chi stanno giocando e che l’importante è che giochino. Addirittura, a volte, ci stupiamo se i nostri figli non riescono a farsi piacere i figli dei nostri amici come compagni di gioco. Ma la possibilità di scegliersi non vale solo quando si è grandi e ci si mette a scegliere con chi condividere progetti di lavoro o di vita che siano. A volte riteniamo che “preferire” sia una cosa da adulti, come se l’azione della preferenza si “flaggasse” allo scattare dell’età adulta, insieme alla possibilità di fare la patente o al diritto di voto. Ma la verità è un’altra. La verità è che i bambini preferiscono e vogliono essere preferiti.

I piccini sono molto selettivi; fuori dal gioco di finzione non fingono mai. Non hanno paura di dire che non vogliono giocare con un bambino o con un altro, non hanno paura di spintonarsi o di escludersi. Ma non hanno neanche paura di riscegliersi. Non hanno bisogno di giustificarsi, ne di fare lunghi discorsi per ridefinirsi nei ruoli. A loro basta guardarsi, chiedersi scusa con quel tono genuino di chi sa che sta dicendo la verità e poi ricominciare.

Ricominciare a giocare, seduti a un tavolo o scatenati in un campo, indaffarati tra colori e tessuti, silenziosi, ma operosi; sudati e rotolanti tra l’erbaVoglio e l’isolaCheNonC’è. Scattanti e saltellanti tra risate sonore e colori che si incidono negli occhi di chi li guarda.

Scatti quotidiani di vita vèra (photo by me)

GIOCO: voce del verbo vincere.

Vincere il tempo buono con gli amici. Vincere quella gioia del “facciamo finta che”, quando si fanno le prove della vita vèra. Quando si può sognare il principe azzurro e la risposta a “Chi è la più bella del reame?” è “IO!”.

“La principessa del reame!” Scatti quotidiani di vita vèra (photo by me)

Quando ci si può sperimentare dentro le cose da grandi, senza bisogno di pensare a ciò che accadrà, ma gustandosi fino in fondo quel che è. Fortunatamente i piccini non conoscono tutte le fatiche dell’essere grandi, non sanno che la bibliotecaria poi deve rimettere a posto tutti i libri in ordine alfabetico, non sanno che la maestra deve anche preparare le lezioni e correggere i quaderni, non sanno che la mamma quando ha messo a nanna i suoi piccini ha anche tutte le faccende domestiche da fare, non sanno che le principesse non posso fare sempre tutto ciò che vogliono. I piccini sanno solo che la bibliotecaria può sfogliare tutti i libri che vogliono, che la maestra può sgridare i suoi alunni senza che nessuno sgridi lei, che la mamma spinge il passeggino e culla i suoi piccini sempre silenziosi e che le principesse si innamorano e indossano vestiti meravigliosi. Ecco sì, loro sanno guardare il bello della vita dei grandi. E forse dovremmo imparare a farlo anche noi, che grandi lo siamo per davvero.

Invece noi ci stupiamo quando li vediamo dentro camerette diventate sale giochi immense, fatte di giocattoli all’avanguardia, più o meno tecnologici, acquistati o regalati da parte di tutto l’albero genealogico o da amici che “Ho preso un pensierino per il bambino, so che vanno di moda questi pupazzetti!”. Ci stupiamo perchè tra le milionate di cose, loro giocano con il rotolo finito della carta igienica o con il cucchiaio di legno che è la spada più bella mai venduta neanche on-line.

Eppure è così.

Perchè i bambini sanno ancora immaginare, non hanno bisogno che le cose abbiano la forma che si aspettano per poterle utilizzare, loro sanno far finta che siano come le desiderano e alla fine vivono tutta la magia che il gioco si porta dietro. Fa sorridere pensare a come noi adulti siamo impacciati quando un bambino ci chiede di salire in groppa al suo cavallo e noi vediamo solo il manico di una scopa. O quando la figlia del tuo collega arriva in ufficio e trasforma la tua sedia con le ruote in una carrozza trainata da cavalli bianchi e con le penne che hai sulla scrivania si fa una corona che farebbe invidia anche alla regina Elisabetta.

Scatti quotidiani di vita vèra (photo by me)

O quando la lavagna diventa il tablet più ambito da tutti. E anche se avevi detto mille volte che la lavagna non andava toccata perchè qualcuno non aveva ancora finito di copiare il lavoro, loro si mettono a giocare all’impiccato (chi ha il coraggio di dire loro che non si chiama IL LIPICATO e che basket si scrive con la K e non basCHet?!?!).

Scatti quotidiani di vita vèra (photo by me)

Dire, Fare…Giocare!

E poi tu li inviti a casa per fare una merenda e per giocare e loro: “Facciamo un lavoretto?”

Scatti quotidiani di vita vèra (photo by me)

Perchè per loro giocare significa anche costruire, paciugare, fare senza disfare. E quando fanno qualcosa poi mi chiedono sempre: «Posso portarlo a casa? Lo voglio regalare alla mamma.»

Portare a casa quello che si è fatto. Non lo facciamo forse anche noi grandi di portare a casa qualcosa che abbiamo fatto durante la giornata? Certo, solitamente noi portiamo a casa fatiche o stanchezze della giornata, lamenti o problemi, prima ancora che soluzioni. E invece dovremmo imparare dai piccini a portare a casa il frutto del nostro lavoro, perchè dentro quel pezzo c’è tutto, tutta la fatica, tutto l’impegno, tutto il nostro io.

Ma quando il gioco si fa duro…

Eh già. Perchè spesso il gioco diventa l’evidenza dei nostri limiti. Penso ai giochi di squadra, quelli dove occorre avere dei talenti veri più che fantasia. Penso alle partite di calcio improvvisate ovunque, tra cartelle buttate sotto i banchi o tra le sedie del salotto e i cuscini del divano; quelle che “ho un pallone nel baule” e si ingaggiano partitelle anche quando si è grandi. Penso a chi è diventato grande con la certezza di non essere tagliato per il calcio e comunemente si sarà dato agli scacchi. O alle gare a chi arriva prima al cancello e tu sei già caduto e ti sei già sbucciato le ginocchia al sol pensiero. Ecco, quando si è piccini, giocare significa anche provare a oltrepassare i propri limiti. Perchè a volte il gioco diventa il veicolo con cui diventi parte della società, assumi un ruolo: sei quello bravo a parare, quella brava a rubare il fazzoletto, quello che quando si nasconde non lo si trova mai, quella che sono più i suoi salti alla corda di quanti siano i secondi di durata dell’intervallo.

E anche quando si tratta di un gioco, superare i propri limiti non è semplice. Sapere che ci sono delle regole da rispettare e che io magari sono meno bravo del mio amico, non è facile. Soprattutto quando il mio amico arriva sempre primo ed è sempre il più bravo in tutto. Soprattutto quando questo mio amico fa sempre di tutto per farmelo notare, che io non so giocare bene, che corro piano e che quando mi lanciano la palla la faccio sempre cadere. Succede così anche a noi grandi, con quel collega lì -che mannaggia a lui- riesce sempre a fare la cosa giusta al momento giusto; che io ce l’avevo proprio lì la soluzione, ma lui è stato più veloce, come sempre. Sì, è quel come sempre che in qualche modo ci frega: continuiamo a fare le stesse cose aspettandoci risultati diversi, senza accorgerci che forse vale la pena fare come prima, come quando eravamo piccini e non ci si scoraggiava. Quando non valeva il “ritenta sarai più fortunato”, ma si giocava al grido di “voglio vincere!” e ci si lasciava guardare dai grandi che ci volevano bene e che avrebbero fatto di tutto per vederci felici.

Scatti quotidiani di vita vèra (photo by me)

Ecco, forse dovremmo imparare a fidarci ancora degli altri e a lasciarci guardare e aiutare a scoprire che vincere significa affrontare il proprio pezzettino e fare di tutto per raggiungerlo. Per superare quel traguardo che tanto ci ha fatto faticare, ma altrettanto ci ha fatto crescere. E che non occorre essere i primi in tutto, ma essere i migliori per sè.

E allora sì.

Si gioca per vincere.

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Alessandra Maggi
Learning Diaries

Maestra per scelta. Appassionata di custodi di bellezza. Mi affascina l’altezza dei piccini, quella giusta per stare in piedi davanti alla vita Vèra.