Sveglia sotto il cielo stellato

Episodio 2

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
7 min readJun 5, 2019

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Due stagisti. L’esperienza del primo lavoro. I desideri, le paure, l’inadeguatezza e la necessità di diventare grandi, in fretta. Il lavoro in Italia può essere raccontato in tanti modi. Qui lo si vuole fare nel modo meno scientifico possibile, attraverso gli occhi di Lucia e di Gianni.

Lucia quella mattina si svegliò sapendo che non sarebbe stata una giornata qualunque. Riconobbe distrattamente il suono familiare dei primi tram del mattino e le stelle luminescenti che aveva attaccato, la sua prima sera a Milano, al soffitto del loft. Erano già cinque anni che si svegliava con quell’immagine e quei suoni, ormai così familiari.

La posizione di casa sua era strategica. Ci aveva messo mesi a trovarla. Ultimo piano, soppalcato. Un terrazzino con due sedie e un tavolino per poter fumare, con vista dei tetti milanesi. Dalle finestre si vedeva il Piccolo teatro, con il suo tetto a piramide e la punta illuminata, di notte. Sporgendosi un po’ riusciva anche a vedere le mura del Castello sforzesco, insieme alla strada che portava a Brera. Poteva andare a correre al parco Sempione, giusto a fianco. Ma soprattutto poteva raggiungere velocemente l’università prendendo la metro, oppure i tram per raggiungere il centro. Infine, anche se questa cosa non l’aveva detta ai genitori quando l’aveva scelta, era un punto strategico per raggiungere tutti i punti della movida milanese che era riuscita a individuare su internet.

Poi, dopo nemmeno due mesi aveva capito che non amava usare il tram e men che meno la metro, passando di conseguenza all’acquisto di una bicicletta vintage e di una Vespa, rosso fuoco, per poter raggiungere velocemente i locali. Ma poco importava. La location era comunque invidiabile, no?

Cercò di alzarsi piano, senza fare troppo rumore. Angelo dormiva ancora nel letto. Lo avrebbe fatto fino a tardi, perché era in ferie. Era veramente il tipo di ragazzo che aveva sempre desiderato. Un fisico scultoreo, dei capelli ricci perfetti, una bocca che sembrava disegnata con la matita e degli occhi grigi e profondi, che lasciavano intendere una grande personalità. Lo aveva puntato e conquistato pensando fosse il colpo della vita, suscitando l’invidia di tutte le sue amiche. Ma, dopo molto tempo, aveva scoperto che c’era anche dell’altro. Era ambizioso. Troppo ambizioso. Inoltre, nonostante il suo atteggiamento sempre cordiale, che conquistava davvero tutti e lo faceva apparire sempre al centro delle compagnie, aveva in realtà una radicale sfiducia nei confronti del prossimo. Aveva mille compagni. Amici, nessuno.

Angelo aveva già una carriera ben avviata nel settore finanziario. La prima assunzione a tempo determinato era arrivata subito dopo la triennale. Il tempo indeterminato, nella più importante società di investimenti Qatariota, era arrivato subito dopo la laurea magistrale in Finance presso la Bocconi. Angelo era in anticipo sui tempi di tre anni. Forse addirittura cinque.

Chiaramente questa cosa la faceva sentire in difetto e lui, più o meno sottilmente, trovava sempre qualche parola per fargli pesare il fatto che una laurea e basta, pur ottenuta in corso, non fosse sufficiente per distinguersi veramente. Almeno non per poter guadagnare uno stipendio che non fosse “da barboni”.

Dopo essersi chiusa la porta alle spalle cominciò a scendere le ripide scalette del piano soppalcato, per arrivare in un grande ambiente che fungeva da salotto, stanza da pranzo e cucina. Era da cinque anni che la migliorava, giorno dopo giorno, per poterla sentire sempre più sua. La luce del sole cominciava lentamente a inondare l’ambiente. Ogni oggetto dell’arredamento era diverso dall’altro. La grande libreria era bianca ed era sovraccarica di libri e di oggetti. Il tavolo era in legno. Le sedie erano in formica, degli anni ’60. Era riuscita a recuperarne uno stock dal rigattiere per 50 euro. Erano tutte cose diverse, radicalmente casual, ma in fondo le piaceva così. Nel loro caos non solo possedevano una loro intima armonia. Ma erano anche belle. Le cose tutte uguali e ordinate le parevano invece innaturali e artificiali.

Si rese conto che le spiaceva che Angelo non si fosse svegliato per tenerle compagnia mentre si preparava a iniziare il suo primo giorno di lavoro. E anche lì c’era stata una discussione. Lo stage era un lavoro o meno? Angelo lo considerava una perdita di tempo, in cui gli ingenui venivano sfruttati con la scusa della formazione. Per lei invece era un’opportunità, per mostrare quanto valesse, senza l’aiuto degli altri.

E qui la cosa si faceva personale. Fin da quando aveva ricordo le era sempre stato chiesto di eccellere. Gli anni dopo le medie erano stati costellati da sessioni di sport, lezioni di musica ma anche uscite con compagnie selezionate della migliore borghesia vomerese, a Napoli. Eppure, a queste richieste di eccellere che gli venivano rivolte più o meno da tutte le persone che la circondavano, non corrispondeva quasi mai stima o amicizia. Era un semplice dovuto.

Che illusi quelli che la schifavano per la vita quasi agiata, non riuscendo a capire la natura della trappola in cui era incastrata. L’aspettativa è una brutta bestia. Non puoi sbagliare. I voti normali sono considerati quasi come delle insufficienze. Alle rassegne musicali devi preparare pezzi sempre più difficili, anche quando la passione ti manca e faresti volentieri tutt’altro.

Lei alla fine aveva sempre fatto tutto, o meglio, aveva sempre subito tutto. Ma, dopo aver preso il diploma al conservatorio, dopo dieci anni di fatiche e di prove nella sua stanza, aveva messo il violino nella sua custodia, aveva riposto tutto tra la polvere sopra l’armadio, ed era partita per Milano senza portare niente con sé. Non aveva più sfiorato quel violino da quel giorno.

Decidere di andare a Milano, all'Università, forse le era servito proprio per questo. Ascoltò per l’ultima volta le voci insistenti dei suoi insegnanti e genitori per fare gli studi “giusti”, come contentino, ma lo fece andando lontano da loro e dai loro obblighi.

E quei cinque anni di università furono un rifiorire di possibilità, di amicizie, di vita. Forse per i primi due anni mantenne alcune rigidità e delle regole, come per inerzia rispetto alla vita che aveva vissuto fino a poco tempo prima, ma già a partire dal terzo anno cominciò a mollare il freno. Assunse come regola di vita il fatto che se voleva una cosa, l’avrebbe ottenuta. E anni di ginnastica d’obbedienza le avevano insegnato l’intelligenza, la costanza ma anche l’impostazione corretta per raggiungere i suoi obiettivi; anche a scapito degli altri; anche a scapito del cuore che continuamente gridava d’insoddisfazione.

Mentre girava a testa in su la tazza che aveva preparato la sera prima per fare colazione, guardando il tetto del Piccolo fuori dalla finestra, si fermò un attimo.

Improvvisamente esclamò: “Alexa, fammi ascoltare -Ora-, di Jovanotti”.

Nella stanza, ormai illuminata da un bel sole caldo, reso ancora più soffuso dalla leggera nebbiolina mattutina milanese, cominciò a battere ritmicamente l’inizio della canzone. Ascoltò ogni singola parola della canzone come se le parole le sgorgassero da dentro.

“Dicono che è vero che ad ogni speranza

Corrisponde stessa quantità di delusione

Dicono che è vero sì, ma anche fosse vero, non sarebbe giustificazione

Per non farlo più, per non farlo più

Ora”

Chissà perché continuava ad ascoltare quelle vecchie canzoni. Era una cosa che le rimproverava anche Angelo. Ormai era “vecchiume”. Eppure sentiva che dentro quelle parole, anche se nascosta bene, ci fosse lei. Era come un’operazione per ricordarsi che il cinismo, che ormai appiccicava su tutto e tutti, in fondo le faceva schifo e non lo desiderava, pur praticandolo.

Intanto intingeva metodicamente i biscotti nel latte. Non erano dietetici, ma non si può vivere di stenti anche a colazione.

“Dicono che è vero che quando si nasce sta già tutto scritto dentro ad uno schema

Dicono che è vero che c’è solo un modo per risolvere un problema

Dicono che è vero che ad ogni entusiasmo corrisponde stessa quantità di frustrazione

Dicono che è vero, sì ma anche fosse vero, non sarebbe giustificazione

Per non farlo più, per non farlo più

Ora!”

Ormai aveva finito la colazione e cominciò a mettersi i vestiti già pronti sul divano. Mentre lo faceva cominciò lentamente a canticchiare l’aria del ritornello:

“Non c’è montagna più alta di quella che non scalerò

Non c’è scommessa più persa di quella che non giocherò

Ora”

Finì di vestirsi praticamente ballando.

In quel momento era veramente lei. Non più l’immagine che le avevano costruito sopra, giù al sud. Non più l’immagine che si era appiccicata da sola durante l’Università e con Angelo. Una nuova possibilità, attraverso uno stage per una delle più importanti società di consulenza internazionali presenti a Milano.

Non era distante da casa, era proprio in centro. Un grande palazzo bianco che aveva visto migliaia di volte, proprio perché di fronte a uno dei locali delle movida più frequentati dalla Milano bene. Era lì che aveva conosciuto Angelo.

Era ormai pronta. Finì di allacciarsi la giacchetta rossa fiammante che aveva comprato, apposta, per il suo primo giorno di lavoro. Angelo l’aveva avvisata che non sarebbe stata appropriata e che avrebbe generato commenti. Ma lei decise di fottersene. Che non fosse come tutte le altre lo si doveva capire fin da subito. Sarebbe entrata dalla porta principale e si sarebbe presa quello che voleva. Se lo disse, ma non riuscì a nascondersi fino in fondo un fremito di paura ed emozione.

Dicono che è vero che ogni sognatore diventerà cinico invecchiando

Dicono che è vero che noi siamo fermi è il panorama che si sta muovendo

Dicono che è vero che per ogni slancio tornerà una mortificazione

Dicono che è vero, sì ma anche fosse vero, non sarebbe giustificazione

Per non farlo più, per non farlo più

Prese su casco e chiavi. E qui, prima di dire ad Alexa di spegnere la musica e aprire la porta per andare “a lavoro”, nonostante Angelo fosse ancora nel letto, terminò la canzone a voce quasi gridata:

“Ora!”

Scritto, con cura, da Alessandro Giovanazzi su Euristika!

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Alessandro Giovanazzi
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