Tu fai le cose “Perchè” o “Per (chi)”?

Sembra una domanda triviale…

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
Published in
2 min readJan 4, 2023

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… ma in realtà capirne l’essenza sta cambiando la prospettiva di come lavoro come professionista.

Quando lavoriamo per (chi), lavoriamo:

  • PER Riuscire a ottenere quella pacca sulla spalla
  • PER Sentirsi dire quel bravo
  • PER Vedere apprezzato il lavoro che fai (e riconosciuto soprattutto)
  • PER Gustare quando gli altri si accorgono di tutta la cura nel dettaglio che hai messo

Ho scoperto che sono false piste. Perché molti hanno in testa altro, non vedranno il 99 che hai fatto bene, ma l’1 non venuto bene. Non vedranno il 30 che hai messo in più sul 100 previsto, ma il 3 che non sei riuscito a fare.

Le persone con cui lavoriamo non sono lì per noi. E onestamente spesso gli altri hanno altro a cui pensare, altri obiettivi. In alcuni casi sono anche ingrati.

E ci ritroviamo a dirci: ma chi me lo fa fare? Ma l’errore è nostro. Riponiamo la nostra speranza di gratificazione (e il nostro valore) dalla parte sbagliata.

Fare bene quella cosa, metterci il cuore, migliorarla sempre di più, si fa:

  • PERCHÉ sono stato stato educato a fare le cose fatte come si deve
  • PERCHÉ mi pare l’approccio migliore dati i fattori di cui sono a conoscenza
  • PERCHÉ non mi va di fare le cose fatte male
  • PERCHÉ preferisco lasciare pulito e in ordine quando me ne vado
  • PERCHÉ mi pare l’approccio più ragionevole per aiutarlo/a

Il PERCHÉ insomma “è dentro di me”.

Il “Per (chi)” è fragile come sistema su cui basare le nostre azioni professionali. Ci espone continuamente al riscontro degli altri. E ci lascerà spesso delusi. Il “Perchè” invece è solido, molto più gratificante. E se sbaglieremo quantomeno avremo sbagliato “Perchè” e potremo migliorare dalla volta dopo.

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Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries

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