Un GIGANTE chiamato “Disabilità”

Alessandra Maggi
Learning Diaries
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4 min readJul 22, 2019

Quando diciamo o sentiamo la parola “Gigante”, pensiamo immediatamente a qualcosa che ha una grande importanza, imponenza e che può generare paura.

I testi sacri, la mitologia, la storia della terra e dell’uomo sono tempestati di esseri feroci e senza regole, senza legge e mangiatori di uomini, a testimonianza che l’uomo ha avuto sempre un’attrazione viscerale per l’ignoto e il meraviglioso, sorretto, nell’antichità, dalla mancanza di conoscenza e dalla poca forza della scienza.

Anche la letteratura per l’infanzia sostiene questo generarsi di emozioni, presentando spesso i giganti come personaggi cattivi, capaci di distruzione e rabbia.

E’ così facile temere ciò che non si conosce.

Funziona così per tutto, anche per la disabilità. Te ne accorgi da come la gente osserva quei tratti significativi che non lasciano spazio a dubbi, o da come commenta con pietismo e rassegnazione, appena oltrepassa il filo della tua spalla durante una passeggiata. Chi non conosce non può comprendere com’è la quotidianità di che sa che non c’è niente di normale nell’essere speciale. C’è un misto di timore e slancio in chi si avvicina per la prima volta, una propensione alla domanda e un’iperattenzione alla risposta. Un umano istinto all’accompagnamento più che alla compagnia.

Poi però, accade.

Accade che qualcuno si avvicina e senza troppa discrezione lascia affondare i suoi piedi proprio accanto a lui. Il gigante.

Lui che scruta il mare senza mai cambiare la quantità di centimetri di pelle che si può bagnare. Lui che, sa benissimo di avere qualcuno al suo fianco, ma non muove la testa, piuttosto spinge le pupille nell’angolo più sottile delle sue palpebre e aspetta di metterlo a fuoco. Lui che non ha parole per dire, ma gesti per fare.

E si lascia fare. Si lascia schizzare, senza aspettare domande, senza dare risposte. Si lascia guardare. A quella distanza che non è più quella di sicurezza, ma sta diventando quella dell’amicizia.

La distanza GIUSTA.

Qual è la distanza giusta quando ci si vuole incontrare e conoscere? Quale formula calcola la misura del bene? Quali fattori servono a determinare quel rapporto che si fa relazione?

Forse occorre solo trovare una direzione che sia quella del desiderio di ciascuno di corrispondersi.

La direzione.

Cio che è più incredibile, è che la disabilità si svela definitivamente dentro una direzione. La preferenza per l’altro. E non ha bisogno di parole. Sì, perchè il gigante non parla. Dice. Dice con la sua corporeità, attraverso i gradi di inclinazione del suo collo, la tonalità del suo gemito al bisogno, la smorfia di disappunto o il sorriso spalancato. E l’altro capisce, coglie le essenze dentro le esperienze. Comprende perchè conosce.

Noi neurotipici siamo abituati a trovare le parole per tutto. Ci affanniamo per dire al meglio possibile quel che pensiamo e proviamo. Non ci tratteniamo nell’esprimere, con parole affilate, giudizi e risentimenti. Calcoliamo il numero di battute per cinguettare sui social. A volte scriteriati e sgrammaticati. Senza le parole pensiamo di non saper e non poter comunicare. Ma è davvero così?

Sulla disabilità si dicono un sacco di parole. Una bibliografia succosa. Manuali di definizioni e definitivi. Così tante descrizioni e minuziose analisi da rendere quella parola un vero GIGANTE.

Ma se ti avvicini, con la genuinità di un piccino, con l’ignoranza pulita di chi non sa perchè non gli occorre, con la disponibilità di un cuore che desidera solo essere lì e godersi quel tempo, allora anche la disabilità non sarà più quel gigante feroce dalle ignote fattezze, ma indosserà un costume da bagno e verrà a giocare con te.

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Alessandra Maggi
Learning Diaries

Maestra per scelta. Appassionata di custodi di bellezza. Mi affascina l’altezza dei piccini, quella giusta per stare in piedi davanti alla vita Vèra.