Vedo, ma non vedo

Little world — Episodio 5

Alessandro Giovanazzi
Learning Diaries
6 min readJul 26, 2019

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Due stagisti. L’esperienza del primo lavoro. I desideri, le paure, l’inadeguatezza e la necessità di diventare grandi, in fretta. Il lavoro in Italia può essere raccontato in tanti modi. Qui lo si vuole fare nel modo meno scientifico possibile, attraverso gli occhi di Lucia e di Gianni.

Gianni e Lucia, seduti insieme loro malgrado al tavolo del locale per la pausa pranzo, si trovarono di fronte a una donna davvero straordinaria, con il taccuino in mano per prendere l’ordine al locale. In sottofondo, nel locale, una canzone francesce.

“Quindi? Carne fresca da cannone per il mondo della consulenza?” rivolgendosi alle altre persone sedute al tavolo. “A te. Non ti conosco”, disse guardando Gianni con fare inquisitorio. “Invece a te mi pare di averti già vista” proseguì guardando Lucia. “Tu stai con Angelo vero? Il ragazzo della Bocconi”. “Si”.

“Bel ragazzo” tagliò corto Teresa, dicendo una cosa positiva e oggettiva, ma non quello che pensava.

“Bene. Chiamatemi Teresa. Niente Tere, Terri o altre cazzate. Intesi?” Tutti annuirono, sorridendo, ma capendo che era un vero e proprio ordine.

“Quindi? Cosa vi servo?”, chiese Teresa seccamente.

Gianni ordinò intimorito il suo panino al prosciutto e formaggio economico e lasciò fare agli altri. Nel frattempo si mise a osservare quella giovane donna. Sarà stata sui trentacinque. Non troppo alta. I capelli erano neri come il carbone, corti, leggermente riccioluti, quasi completamente rasati su un lato, diviso dal resto dei capelli da una lunga striscia di rasatura a zero larga mezzo centimetro. Pareva una cicatrice da battaglia. Portava una canottiera grigia, tipo militare, attillata, senza maniche e con una scollatura formidabile spruzzata di lentiggini, su cui Gianni non poté in nessun modo impedirsi di guardare. Le braccia erano davvero muscolose. Subito sotto portava un grembiule e dei jeans alla buona, insieme a delle sneakers molto anni ’90.

Lucia dal canto suo notò al volo l’orologio che portava al polso e non riuscì più a guardare nient’altro. Ne aveva visti diversi, ostentati dai ragazzi più borghesi delle vecchie compagnie napoletane. Solo che quello che portava al polso la “cameriera” era una versione molto più elaborata e raffinata. A meno che non fosse falso, ed era probabile, sarà valso più di 20.000 euro, a voler stare corti. Al contempo notò delle leggere linee bianche sul polso, lunghe e sottili, proprio nascoste dall'orologio smisurato e luccicante. Le riconobbe subito e capì di cosa si trattava perché una delle sue, poche, vere, amiche se ne era provocate di simili in passato. Ancora più ricca e brillante di lei, era riuscita a salvarla in extremis portandola semi svenuta al Policlinico vecchio, tenendola non si sa come in equilibrio sul suo scooter lanciato a bomba per via dei Tribunali. La guardò negli occhi, vide la sicurezza che ostentava e… capì che era vera. Ma intuì anche che quella solidità traeva origine da grandi ferite interiori.

Dopo aver chiesto “Quante acque?” Teresa si allontanò all'interno del locale, ma non prima di essersi girata un ultima volta e aver detto: “piacere di avervi conosciuti… Renzo e Lucia!!”. Gianni e Lucia si guardarono atterriti.

Movida, Dimi, Fattanza e la Chioccia fecero per esplodere in una risata ma si bloccarono a metà. La battuta era perfetta, ma evidentemente non conoscevano abbastanza Gianni, ma soprattutto Lucia, per spingersi così in là. Almeno non il primo giorno.

Movida si girò verso i due e disse, dopo essersi ripresa e aver cercato malamente di togliere con le dita le mezze lacrime dagli occhi: “non fateci caso. Lei è così. E dovreste vederla la sera. Durante la pausa pranzo, in confronto, è un angelo”. Si intromise la Dimi chiedendo: “ma è vero che è appena riuscita a comprarsi il locale?”. “Pare di sì. 200 metri quadrati fra dentro e fuori in una piazza del centro di Milano che è davvero un bonbon” proseguì la Chioccia. “E pensare che è poco più vecchia di me e probabilmente guadagna in un mese quello che io guadagno in un anno”. “Però è anche una che si fa un culo così” disse Movida. “Adesso è qui a pranzo, ma le volte che passo la sera con gli amici la trovo sempre qui, sempre sul pezzo. Si spacca la schiena praticamente tutti i giorni della settimana. Per come la vedo io, merita tutto”.

“Però che vita di merda, non si può vivere di solo lavoro” intervenne nuovamente la Chioccia. “Mica se li può far restituire gli anni che ha passato a lavorare. Per me non c’è nulla di invidiabile in una vita del genere. Ci credo che le ragazze con lei mollino dopo nemmeno qualche mese. Come si fa?”.

Il Fattanza interruppe sconvolto: “Perché?? È lesbica??”.

“Seeee” fecero le tre ragazze al tavolo con voce di scherno, anche se amicale. “In che mondo vivi??” fece l’una. “Ma si, dai, raga, si vede! Hai visto come si veste, come tiene i capelli, come parla??” fece stupita l’altra. “Non vedi la ragazza seduta al bancone lì in fondo? La biondona? Secondo te chi è?”. Fattanza terminò con un laconico: “Nooo. La ragazza al bancone no!” tradendo un accento latino che Gianni e Lucia non avevano notato subito. Possibile non fosse italiano? “Scusate se non mi interesso dei cazzi delle cameriere” proseguì il Fattanza. “Guarda che quella fa la cameriera solo perché ha deciso di farlo. Potrebbe benissimo far gestire il locale ad altri, ormai. Semplicemente non riesce più a smettere” tagliò corto la Dimi. “È veramente una tipa strana”.

Gianni non poteva che concordare. Spiò con la coda dell’occhio quella donna, che stava prendendo le ordinazioni a un altro tavolo, e pensò. Pensò a quanto fosse triste sacrificare la vita per il lavoro e per i soldi. Lucia, dal canto suo la guardò, e pensò: “chissà che dolore deve provare dentro, tanto da cercare di coprire tutto con il lavoro”.

Ma fu il pensiero di un istante, perché vennero interrotti dalla Dimi. “Quindi? Di dove siete? Cosa avete studiato?”.

Lucia rispose: “Economia e management”. Movida e Chioccia spalancarono gli occhi con interesse per una frazione di secondo. “E tu Gianni invece?”. “Metodi e tecnologie per lo sviluppo di sistemi software”. Tutti assunsero uno sguardo interrogativo. “E che cos’è? Un corso del Poli?” fece Movida. “No, no. È un corso di due anni organizzato da un ITS” cercò di giustificarsi Gianni. “Intendi L’ITI? Insomma, un istituto professionale?” chiese ancora più confusa la Chioccia. “Una specie, ma post-diploma. Nel senso che dopo aver finito l’Istituto tecnico ho fatto questo corso di specializzazione. È una specie di università professionale, che però dura solo due anni”. “Ah!” fecero tutti intorno. “Quindi non sei laureato?” domandò la Dimi con lo sguardo di chi è riuscito a trovare l’inghippo.

“No, rispose Gianni, se faccio un ulteriore anno mi varrà come laurea triennale. Per adesso sono formalmente un Tecnico Superiore. Ma vediamo, perché in realtà mi piacerebbe riuscire a continuare a studiare mentre lavoro e portare a casa anche la triennale. In realtà volevo farlo subito dopo il secondo anno all’ITS, durante lo stage, ma non ho potuto”.

E qui la Chioccia chiese: “Ma quindi non sei né laureato né sei stato preso dopo lo stage. Non ti hanno tenuto?”. “In realtà è andato molto bene”, rispose Gianni, senza rendersi conto della sottile malizia nella domanda che gli era stata appena posta, “ma ho dovuto mollare”.

“E perché?” fecero tutti gli altri in coro. “A casa c’era bisogno di me”, rispose Gianni, cercando di tenere nascosta la tristezza che premeva dal profondo. Gli altri intuirono che si erano avvicinati troppo a qualcosa di grosso e bloccarono immediatamente il flusso di domande.

Per due secondi buoni fu silenzio.

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Alessandro Giovanazzi
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