Busto di Cassandra, Max Klinger (1857–1920)

Cassandra siamo noi

Elsa Panales
Leggere oggi

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1980, Micene. È una giornata di sole funesta e soffocante, sulla soglia della città antica. Brusio di turisti, le macchine fotografiche scandiscono il tempo coi loro monotoni click. Una signora di mezza età osserva i leoni di pietra che sormontano la porta della città, i versi di Eschilo le rieccheggiano in testa e ad un tratto la vede, lei, Cassandra. È stata qui, in attesa della fine, anche lei piena di pensieri, brandelli di versi rituali, ricordi di altre persone, amore, odio, passioni come quelle di chiunque. Nata, vissuta e — qui, proprio qui — morta.

La donna che osserva e recita dentro di sé i versi dell’Agamennone, come Cassandra aveva recitato preghiere per Apollo, è Christa Wolf; e da questa visione, da questo fotogramma di storia che riappare come un fantasma, nasce il romanzo Cassandra, pubblicato per la prima volta nel 1983 ad attualmente disponibile per i tipi di E/O nella bella traduzione di Anita Raja.

Cassandra è un romanzo che afferra e respinge il lettore. La narrazione serrata, l’esiziale angoscia che accompagna l’attesa della fine e la comprensione del suo senso si agganciano alla carne di chi legge e lo costringono a continuare. D’altro canto, lo stile contorto del flusso di coscienza di Cassandra, che narra in prima persona la sua infanzia e gioventù e le vicende che hanno portato alla caduta della città di Troia, costringono ad un esercizio di concentrazione costante, per districare il senso e le implicazioni di discorsi diretti riportati nel monologo interiore e non virgolettati, il labirinto della paratassi e il singhiozzo dell’ipotassi, i salti temporali da un episodio all’altro. Christa Wolf non cerca, in nessun modo, di rendere la vita semplice al lettore che pure rimane inchiodato alla storia.

Per chi legge, nel 2017, i parallelismi col presente sono anche troppo facili. Achille la bestia, l’eroe semi-divino dell’assedio greco — che, se fossimo un pochino più innocenti, definiremmo un guerriero-demone irreale, uscito da un incubo di Kentaro Miura — Achille che uccide, tortura, violenta, devasta ogni persona, ogni cosa che gli capiti davanti, ci sembra qualcuno che conosciamo di fama, qualcuno che abbiamo visto nei video di bassa qualità postati online o abbellito da luci e fotografia elegante al cinema, un massacratore di folle che maneggia esplosivi o un cecchino con il complesso di dio. Per Christa Wolf, quel senso di assedio alle mura della città — o meglio, al muro — era la frizione fra blocco sovietico ed occidentale al principio degli anni ’80, era la minaccia reale di una guerra atomica orchestrata da coloro che “agiscono sconsideratamente e stoltamente. Credono nell’incredibile, fanno quello che non vogliono e piangono le proprie vittime autocommiserandosi”. Cambiano gli schieramenti ed i confini delle nazioni, ma la storia si ripete, il fantasma della donna morente alle porte di Micene parla anche a noi.

Cassandra assiste alla storia che le si svolge davanti come un gomitolo e la sua veggenza altro non è che la capacità inascoltata di valutare le conseguenze delle azioni dei governanti, mentre chi detiene il potere appare cieco e sordo ad un orizzonte progettuale che ecceda l’immediato presente. Cassandra cerca senza successo di mettere in discussione gli obiettivi stessi della guerra in corso con chi governa, come Eumelo, il consigliere di re Priamo. “Come avvenne che caddi in quello stato di prostrazione” si chiede. “Che mi invischiai in un dialogo interiore con Eumelo — con Eumelo! — che andò avanti per giorni e notti. A questo punto si era arrivati. Io volevo convincere lui, Eumelo. Ma di che! Mi ha chiesto, Enea, e restai muta allora. Del fatto, direi oggi, che non dovevamo diventare come Achille, pur di scamparla. Che non era ancora dimostrato che noi, pur di scamparla, dovessimo diventare come i greci”.

Eumelo ed Achille sono complementari, “Eumelo ha bisogno di Achille come una vecchia scarpa della compagna” poiché solo per via del timore che quest’ultimo incute ai troiani, il primo può governare incontrastato, stringendo sempre più il laccio attorno al collo dei troiani.

La verità raccontata ai troiani da Eumelo e i suoi è semplice quanto falsata — la guerra è iniziata per il rapimento di una fanciulla, Elena, volto a compensare un ratto più antico, compiuto dai greci ai danni dei troiani. Dunque, cedere Elena sarebbe un segno di debolezza inaccettabile — dicono i governanti. La realtà taciuta è che Elena stessa è dispersa in Egitto e non può essere resa ai greci, che dal canto loro non aspettavano che una scusa per conquistare nuove ricchezze ed espandere il loro controllo oltre lo stretto dei Dardanelli. Cassandra vede ogni cosa, ascolta discorsi ufficiali, pettegolezzi e confessioni, ma non puó o non riesce a fare nulla per salvare la città dal suo destino e decide di non unirsi ad Enea, l’uomo che ama, quando costui abbandona Troia con un manipolo di fedeli seguaci.

L’avventura di Enea richiederà nuovi eroi, nuove menzogne rassicuranti, una nuova epica roboante tessuta da cantori e politici. E di tutto questo, Cassandra ne ha già avuto abbastanza.

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Elsa Panales
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Lavoro nell’informatica. Leggo, disordinatamente, anche molto altro. Mi piace scrivere di libri. Contatto: elsa.panales[at]gmail.com