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“Come sopravvivere al mal d’amore”: Amalia Andrade e il potere della risata

Un manuale di auto-aiuto che è un distillato di estetica Millennial. Col sorriso

Giulia Blasi
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4 min readOct 16, 2016

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Questa recensione non si può fare senza raccontarvi un po’ di fatti miei, per cui sedetevi comodi, ché vi tocca. È un periodo in cui non riesco a leggere niente. Ogni settimana mi arrivano almeno due o tre libri, tutti bellissimi, che stanno lì ad aspettare che io li legga e dica qualcosa: e mi domando, come fanno quelli che recensiscono due o tre libri la settimana e hanno anche un lavoro? Mi ha risposto una persona che stimo: non li leggono.

E come fanno a recensire le cose, se non le leggono? Domando io.
“Leggono l’inizio e la fine” mi viene spiegato.

E mentre scendo dalla montagna del sapone con le bacchette da nordic walking, penso che se non leggo niente (neanche l’inizio e la fine) è perché i miei spazi per la lettura sono al momento fagocitati da Alias Grace di Margaret Atwood, che è straordinario ma molto lungo e si prende tutti gli spazi necessari a costruire una vicenda complessa e ricca di sfumature. Venerdì mattina, prima di partire per il Festival delle Generazioni di Firenze, avevo lasciato sul divano Come sopravvivere al mal d’amore dell’autrice colombiana Amalia Andrade, che vedendolo avevo bollato frettolosamente come “Libro di consigli per Millennial”, una generazione che gestisce l’amore e i rapporti in maniera molto diversa dalla mia e che ha sviluppato un’estetica lontanissima da quella della Generazione X. E avendo letto fin troppi manuali d’auto-aiuto negli anni ’90 (quando appunto, avevo l’età dei Millennial adesso), ero diffidente nei confronti di una “Guida di automedicazione per cuori infranti”.

L’ho preso in mano pensando: adesso leggo l’inizio. Tanto sono qua, ho mal di schiena e Alias Grace è il tipo di libro che si può leggere solo a bocconi, perché va digerito un po’ alla volta.
Mezz’ora dopo l’avevo finito, e avevo riso un sacco nel mezzo.

Il pregio più grosso di Come sopravvivere al mal d’amore (pubblicato in Italia da Fabbri, per i tassonomici delle case editrici) è proprio la capacità di associare la risata al riconoscimento del fatto che il lutto per un amore che finisce è uno dei dolori più atroci nella vita degli esseri umani. Scritto e illustrato quasi tutto a mano, il libro è diviso in sezioni intervallate da brevi racconti in forma squisitamente letteraria, fotografie di amori morti o morenti, storie di disamore e di non più amore lancinanti. Il resto è una guida sensata, pratica e saggia all’elaborazione della sofferenza: mette in fila il tipo di cose che ti potrebbe dire la tua migliore amica, se ne avessi una particolarmente intelligente e dotata di grande empatia, ma pure simpatica e capace di strapparti una risata. È anche una guida interattiva: se utilizzato senza pudore, Come sopravvivere al mal d’amore è fatto per essere riempito di note, disegni, descrizioni del lettore. Dico “lettore” e non “lettrice” apposta, perché questo manuale non discrimina e riconosce fra le righe che maschi e femmine soffrono ugualmente per amore, e potrebbero avere bisogno di aiuto nello stesso modo.

Amalia Andrade, con i suoi disegnini e le macchie d’inchiostro lasciate sulla pagina e sottolineate con una didascalia (a pagina 34: “Questo succede quando uno scrive un libro a mano con la penna stilografica”) e gli errori cancellati nelle frasi, è l’autore vagheggiato da Holden Caulfield, quello che quando finisci il libro vorresti chiamarlo per sentire come sta. Molto di questa sensazione è dovuto all’approccio semplice (ma non semplicistico) e alla pressoché totale assenza dell’insopportabile pseudoscienza che percorre molti manuali di auto-aiuto nordamericani. Fra i disegnini di Andrade troviamo un po’ di scienza, quella vera, e molta tenerezza, anche quella verissima. E c’è una sorta di saggezza poetica e calda, che cerca rifugio nel cibo e nella famiglia: il titolo originale dell’opera è Uno siempre cambia el amor de su vida [por otro amor o por otra vida]. Il dolce fatalismo dell’America Latina vince sempre contro l’ostinato efficientismo dell’America del Nord, quello che se stai male pensa subito a come farti stare meglio, come se stare male non fosse necessario, anzi, indispensabile alla crescita.

È un libro scritto per automedicarsi e condividere l’automedicazione, è un’opera che fa largo uso di quella famosa estetica Millennial di cui dicevo, quella del fai-da-te, dei disegnini che sono poco più che schizzi stilizzati e di un’onestà emotiva che quando il gioco si fa duro la butta sull’ironia. È F*CK! I’m in My Twenties di Emma Koenig che esce dal suo ombelico e prova a stabilire un dialogo caldo e colorato con il resto del mondo.

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Giulia Blasi

Writer, teacher, public speaker, in that order. Nerd when it wasn’t cool. Bookworm.