“Il simpatizzante” è una cura per il pensiero bipolare dominante

Luca Lottero
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Cosa posso dire di buono su “Il simpatizzante” di Viet Thang Nguyen (Neri Pozza Edizioni, 2016) che non sia già stato detto? Per BookReporter “non è soltanto un magistrale romanzo di spionaggio, ma un’opera che annuncia la nuova letteratura americana del XXI secolo”. Mica poco. I Vietnam Veterans of America, invece, l’hanno commentato così: “abbiamo atteso a lungo il grande romanzo sulla guerra del Vietnam, e ora eccolo è arrivato”. Ultimo particolare, il libro in questione ha vinto il Premio Pulitzer 2016 per la narrativa. A questo punto arrivo io, a dirvi che è un bel libro e vi consiglio di leggerlo. “Grazie tante” risponderete giustamente voi.

Voglio concentrarmi allora su una caratteristica in particolare del protagonista, rivelata sin dalle prime righe e cruciale per capire la sua evoluzione nel corso della storia:

“Sono una spia, un dormiente, un fantasma, un uomo con due facce. E un uomo con due menti diverse, anche se questo probabilmente non stupirà nessuno. Non sono un mutante incompreso, saltato fuori da un albo a fumetti o da un film dell’orrore, anche se c’è chi mi ha trattato come se lo fossi. Sono semplicemente in grado di considerare qualunque argomento da due punti di vista antitetici”.

Il protagonista del romanzo (il nome non viene mai esplicitato) è una spia comunista nell’esercito del Vietnam del sud, ma è onestamente partecipe delle sofferenze umane di quegli stessi uomini che stava tradendo. Quando la città di Saigon viene conquistata dalle truppe di Ho Chi Minh, riesce a fuggire rocambolescamente negli Stati Uniti, per continuare a spiare da vicino la comunità sudvietnamita lì emigrata. Nonostante la sua fede politica onestamente comunista, dell’America non riesce a non apprezzare la libertà negli stili di vita e l’oggettivo benessere, pur mantenendo un atteggiamento molto critico nei confronti del suo imperialismo.

Può definirsi un talento questo? Il protagonista se lo chiede nelle righe immediatamente seguenti alla citazione riportata, arrivando a concludere che, più che altro, questa sua abilità gli ha procurato guai. Figlio di un prete cattolico francese e di una donna vietnamita, la sua condizione originaria di bastardo viene confermata in ogni suo pensiero e in ogni suo comportamento e lo costringe, di volta in volta, a cambiare maschera. Il risultato è che non si sente a casa da nessuna parte. Non ovviamente tra i sud vietnamiti, non tra gli americani ma nemmeno tra i nord vietnamiti di cui ha abbracciato la causa.

Il lettore non può che prendere le parti per la mente acuta del protagonista, per la sua libertà di pensiero incapace di farsi imbrigliare in dogmi ideologici dell’una o dell’altra parte. E magari trarne un insegnamento per orientarsi in questo presente che sembra incoraggiare da più parti un pensiero strettamente bipolare.

Avete presente no? Quella simpatica situazione per cui o si è “grillini” o si è “servi del piddì”, o si sta con Putin o si sta con i terroristi, o si è fedeli alla virgola e senza discutere al verbo europeista dominante o si è euroscettici, o si è “buonisti” (ma che vuol dire poi? me lo chiedevo qui) per l’immigrazione incontrollata o si è tout court fascisti, razzisti e xenofobi. E così via, in un elenco che potrebbe proseguire a lungo, e che non ammette riflessioni oltre lo slogan, vie di mezzo, distinguo. Un vortice che non consente di pensare, e che rende incredibilmente difficile difendere posizioni ponderate, originali. Difficili. Il successo, in politica o nell’arena mediatica dei “semplificatori” è li a dimostrarcelo.

Originally published at lucalottero.wordpress.com on April 13, 2017.

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