Photo: Interstellar, Warner Bros.

Cos’è il quantum storytelling

Alcune riflessioni sul come la scrittura influenza il lettore e come il lettore influenza lo scrittore

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di Stefano Pace

Keep Talking

“Quantum storytelling”. Uno di quei concetti sfuggenti che rischiano di assumere significati difformi a seconda dell’osservatore (ehm… già questo è fenomeno “quantistico”, a ben vedere), frammentandosi in mille sensi.

Provo a disegnarne alcuni possibili tratti (dalla posizione di non esperto del concetto in sé e senza pretesa di esaurirlo, naturalmente). Provo a farlo non partendo da dentro, ossia da ciò che il quantum storytelling potrebbe significare, ma da fuori: come lo vedono coloro che hanno impiegato l’espressione quantum storytelling. Un po’ come definire un colore attraverso l’uso fatto in diversi quadri.

Chi legge, scrive la storia

Uno dei primi usi interessanti dell’espressione “quantum storytelling” risale alla pièce teatrale “Tamara” del 1981, scritta da John Krizanc. Un esperimento teatrale poi diventato progetto consolidato e replicato in varie forme. Nelle tre ore dello spettacolo interattivo, gli spettatori selezionavano liberamente uno dei dieci attori da seguire (Gabriele d’Annunzio e altri nove personaggi) in stanze di una vera casa. Dalla scelta derivava una serie di scene diverse in diverse stanze. Ogni spettatore definiva lo spettacolo e le scene a cui effettivamente assisteva. Ognuno viveva quindi un’esperienza diversa e separata, ma tutti nello stesso contesto. Come se lo spettacolo fosse attivato da punti diversi e fosse simultaneamente diverso, pur essendo un unico spettacolo. Nella prospettiva di Krizanc, Tamara sfidava la prospettiva newtoniana della scrittura lineare, dove si parla di traiettoria della storia, di arco del personaggio (1). Lo spettatore determina l’opera con le sue scelte. È il fenomeno noto anche nella fisica quantistica (o almeno nella vulgata della fisica quantistica) e risalente al principio di indeterminazione di Heisenberg: l’osservatore influenza ciò che osserva, modificandolo per l’atto stesso di osservarlo. Di qui un’applicazione del concetto di quantum storytelling.

Ogni finale è presente

Il concetto ritorna in altre circostanze. Ad esempio, commentando il testo “The Babysitter” di Robert Coover, una recensione indica: “The piece is an astonishing exercise in what has been called quantum storytelling, in which there is no story, just iterations and variations on a story”. (2) La storia è raccontata con una sequenza di paragrafi che presentano fatti che sarebbero mutuamente esclusivi. Una parte di tutto ciò che è immaginabile possa accadere nell’arco di tempo di poche ore nella vita di una babysitter viene descritto, mescolando realtà e fantasia, pensiero interno dei personaggi e loro comportamenti effettivi. Pur nella forma lineare di ogni testo, le linee narrative vengono mescolate, intrecciandole in modo inestricabile. È una seconda caratteristica “quantistica”: la compresenza di storie diverse, anche mutualmente esclusive.

So what? Dove trovo il quantum storytelling?

Abbiamo recuperato due caratteristiche che legherebbero lo storytelling e le “proprietà” quantistiche:

- Effetti dell’osservatore sull’osservato

- Compresenza di diverse (e opposte) linee narrative

Se (e il “se” apre a ogni vostra forma di aggiornamento e correzione) queste sono due possibili caratteristiche del quantum storytelling, la domanda è… “Ok, ma… il quantum storytelling dove lo trovo?

In realtà, assumendo l’ottica sopra indicata, tu lettrice/lettore di queste mie righe hai influenzato le righe che stai leggendo. E non perché io abbia doti telepatiche. Scrivendo queste parole ho implicitamente immaginato un tipo di lettore e ho spontaneamente adattato il testo a questa tipologia. Non è riferirsi a un pubblico, è piuttosto la consapevolezza che non sto scrivendo nella mia personale lista della spesa (yogurt — latte — quantum storytelling — frutta) ma a delle persone che magari incapperanno in queste righe. È la prima proprietà del quantum storytelling: io scrivo una storia che è influenzata virtualmente da te. Stiamo in qualche modo scrivendo insieme la storia.

Ok” rispondi tu lettore “ma io non sono affatto colui che tu credi che io sia”. E infatti è impossibile che la tipologia di lettore che ho in mente ti descriva. Anzi, puoi essere un fisico quantistico che legge con sdegno l’accostamento fra quanti e storytelling, mentre magari io pensavo a un esperto di tennis. E qui entra in campo la seconda caratteristica: la linea narrativa che lega la mia storia con l’esperto di fisica e la linea che la lega con l’esperto di tennis sono diverse, ma compresenti. Il fisico dirà “scherza coi fanti, ma lascia stare i quanti”; il tennista dirà “è come nel tennis: da come serve l’avversario dipende come risponderò io, che dipende da come immagino che l’avversario serva, che dipende da come lui immagina che io risponda… ”. Due letture diverse e opposte, che formeranno reazioni — in modo silenzioso o sotto forma di risposte effettive, a supporto o con contro-argomentazioni — che interagiranno con la storia iniziale. Due letture, “n” letture, che sono già forme di scrittura (prima caratteristica) e che sono presenti simultaneamente (seconda caratteristica).

So what (2)?

Diradando le nebbie, forse possiamo affermare che in realtà la scrittura non ha bisogno dell’accessorio “quantum”. Ogni forma di espressione umana tiene in qualche modo conto delle persone a cui si rivolge e ne viene influenzata in un dialogo reale o virtuale. Forse le infinite possibilità di una linea narrativa erano note prima di Umberto Eco. Perché allora si impiega “quantum storytelling”?

I motivi potrebbero essere due e non si riferiscono all’idea in sé, ma alla storia delle idee:

- Euristica. L’espressione quantum storytelling potrebbe essere un segnaposto per evidenziare alcune delle proprietà insite nella comunicazione, per esaltarne meglio il ruolo. Dà il senso di una comunicazione che non è più una deterministica freccia newtoniana scoccata dal mitico emittente al mitico ricevente. La comunicazione è una palla di neve che cresce e che prende sentieri imprevedibili. È un gomitolo colorato che srotolandosi non si assottiglia, ma cresce di volume perché attira altri fili colorati che partecipano.

- [Insert here] Marketing. Il marketing tende a volte ad avere cento sfumature e mille etichette. Un assaggio da un minimo campione: Database Marketing, Neural Marketing, Permission Marketing, Symbiotic Marketing, Retro-marketing, Reverse Marketing, Undercover Marketing, Yield Marketing…. E si potrebbe andare avanti. Il concetto di storytelling è oggi talmente diffuso che potrebbe avere la medesima capacità (o sindrome) di attrarre altri concetti e combinarsi con essi.

Un sguardo da dentro

Fin qui abbiamo dato un’occhiata — tentativo impreciso e fugace — al “quantum storytelling” da fuori. Dall’interno, il concetto prende forme meno pop. David Boje ha sviluppato la teoria nell’ambito degli studi organizzativi (ebbene sì: non tutto ciò che suona marketing nasce nel marketing). Per Boje, è “the interfusion of quantum materiality with storytelling” (3). Le cose si complicano, con incursioni di organization studies, sociologia, fisica e metafisica.

Forse tutto questo è parte dell’infinito tentativo umano di svelare il mistero del linguaggio umano.

Stephen Hawking: “For millions of years mankind lived just like the animals. Then something happened which unleashed the power of our imagination: we learned to talk” (Pink Floyd, “Keep Talking”)

Riferimenti

1) Canada NewsWire (1995), “Tamara — Interactive Play Slated for CD ROM”, 5 January.

2) Claire Black (2011), “Festival Review : Books ; Pulling stories by the tale”, Scotland on Sunday, 14 August.

3) David M. Boje, Kenneth Mølbjerg Jørgensen (2014), “Friendship as a Way of Living: Deconstruction and Quantum Storytelling”, Tamara — Journal for Critical Organization Inquiry, Vol. 12, Issue 4, pp. 33–57.

Leggere oggi

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Stefano Pace
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Kedge Business School (assoc. prof.) | Bocconi University (adj. pr.) | Mktg/Consumer Culture | All views are my own | RT≠endorsement