Un particolare della mia libreria domestica.

L’importanza dei libri.

O come la mia vita è influenzata da quello che leggo.

Noemi Milani
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3 min readFeb 11, 2016

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Il mio 2016 è iniziato alla grande: con una tazza di tè. Ho guardato i fuochi d’artificio seduta sui gradini d’ingresso alla casa dei miei genitori. Da sola, come Patti Smith nel suo ultimo memoir, M Train: l’artista festeggia New Year’s Eve 201… bevendo una tazza di caffè nero sulla porta di casa.

Il 31 gennaio ho finito di lavorare in libreria. Occupazione che ho cercato (e trovato) dopo aver letto un racconto pubblicato su Colla. In La Doppia Vita, Deborah Willis libraia oltre che scrittrice — racconta quanto è estraniante vendere un libro scritto da sé stessa. Patti Smith in Just Kids, prima autobiografia in cui ripercorre i primi anni trascorsi a New York, dall’incontro con Robert Mapplethorpe fino all’uscita di Horses, parla della sua carriera di libraia. Prima in piccole librerie del Village, poi da Scribner’s sulla Fifth Avenue. E anche Kim Gordon prima dei Sonic Youth ha lavorato in libreria — questo lo so perché stavo leggendo Girl in a band, l’opera in cui racconta la sua vita: l’infanzia trascorsa tra California, Hawaii e Hong Kong a causa del lavoro del padre, la malattia mentale del fratello maggiore, l’incontro con Thurston Moore, la nascita dei Sonic Youth.

Stavo — non sto — leggendo perché proprio oggi ho perso Girl in a band su un aereo. Qui dovrei aprire una lunga digressione sulla mia sbadataggine: basti sapere che quando frequentavo il ginnasio ho lasciato il dizionario di greco su un autobus.

Non appena ho denunciato lo smarrimento del libro alla compagnia aerea ho avuto una rivelazione: leggendo le peripezie di Kim nella New York degli anni Ottanta ho rimpianto il mio lavoro di libraia.

Un negozio non esiste senza i suoi clienti, questo ho imparato in sei mesi di lavoro. E proprio per questo motivo mi sono trovata a ripensare alla sosia di Alba Parietti con il chihuahua nella borsa che arriva ogni venerdì sera alle otto e se ne va giusto un minuto prima della chiusura. Alla vecchina che guarda i biglietti d’auguri e racconta del marito defunto. Alla coppia mamma e figlia che compra i libri di fai-da-te, dalle collane al ricamo: ormai avranno comprato tutto quello che abbiamo in catalogo. Alla parrucchiera che divora i romanzi d’amore della Newton Compton. A Carla che arriva con una lista di novità e finisce sempre per prendere altro, dopo almeno un’ora di consultazione. A Debora che telefona per farsi mettere da parte i libri e li ritira il sabato pomeriggio. Ma anche ai clienti che vogliono ricariche telefoniche, zaini, fazzoletti di carta e altri articoli che una libreria non vende.

Concluso il momento dei ricordi, ho capito che forse il caso, tramite la perdita di Girl in a band, mi ha voluto dare un segnale: lascia perdere il lavoro in libreria, la nostalgia e i ricordi melensi. Perché libreria è anche sinonimo di scatoloni pieni di libri nuovi da esporre, o di vecchi libri invenduti da rendere, un centinaio di metri quadrati di parquet da lavare alle otto del mattino, centinaia di scaffali da spolverare ogni giorno. E quelle due copie del libro XY da vendere ogni giorno perché, quando lavori per una catena di librerie hai degli obiettivi da raggiungere imposti dalla sede. Oltre a tabelle e scartoffie varie da compilare e inviare ai contabili e agli scribacchini. Quindi basta libreria, addio divieto di sedersi — non scritto, ma ben esplicato dall’assenza di sedute di ogni genere — bye-bye tessere per la raccolta punti.

Ah, poi il 5 febbraio era il mio compleanno. Ho ricevuto un libro e me ne sono regalata tre (tra cui quello perduto). Non so ancora come questi libri mi aiuteranno a crescere, magari ve lo farò sapere, un giorno.

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