Come un cammello in una grondaia
Gli assiomi sono verità su cui basare dei ragionamenti: quando sono veri sono una pacchia, veri e propri mattoncini del pensiero. Il problemino è quando invece di essere auto-evidenti lo sembrano soltanto, quando cioè postulano cose di cui siamo convinti per pigrizia mentale, per abitudine o perché vogliamo che le cose siano in un certo modo.
Con queste poche righe ho già torturato un paio di matematici e una decina di logici, che invito, per il loro bene, ad abbandonare la lettura. Non sto parlando di assiomi logico-matematici, infatti, ma stiracchiando il concetto per impadronirmene, perché troppo spesso i ragionamenti sulla nostra società partono da falsi assiomi che condizionano tutto il pensiero successivo. Chiamiamola assiomatica culturale, l’uscita è da quella parte.
#Luminol è quasi tutto un tentativo di identificare i falsi assiomi e smontarli, lo ammetto. Quando ne identifico uno divento noiosissima, per esempio parlando per anni di quanto sia fallace la convinzione che “online siamo diversi” o che “la tecnologia ci fa fare cose che noi invece mai avremmo fatto” o che “i media digitali cambiano il nostro cervello” o “scriviamo male per colpa dei computer“.
Purtroppo ne ho scovato un altro e quando lo incrocio divento molestissima, soprattutto quando contagia persone che stimo. Il finto assioma recita: “la lettura digitale implica la perdita della fisicità”.
Sembra ovvio, no? Invece di avere in mano un giornale di carta, hai davanti un sito. Invece di tirare giù un libro dallo scaffale, aprirlo e girare le pagine, leggi un ebook. Ovvio. Contenuti digitali, lettura digitale, scomparsa della fisicità.
Peccato però che la digitalizzazione del contenuto e, a volte, del supporto, non implichi la digitalizzazione dello strumento che usiamo per leggere. L’ebook è digitale, la lettura digitale è altrettanto fisica di quella cartacea. Dirò di più: anche se domani inventassero una diavoleria che trasmette telepaticamente il contenuto io comunque quel contenuto non lo riceverei in una condizione di deprivazione sensoriale. Non lo riceverei in una condizione neutra: la postura con cui leggiamo fa parte dell’esperienza al punto da condizionare i formati. Nel bellissimo saggio L’invenzione del romanzo Loretelli spiega che:
“non può essere uguale l’effetto di un racconto letto da un rotolo, come accadeva nell’antichità classica, o di una lettura in piedi da un volumone incatenato a un leggio, come era nel Medioevo, o di un abbandono al godimento di un volumetto in copertina morbida, scorso con gli occhi mentre si sta stesi su un letto o sdraiati su una spiaggia. Nel Settecento comparvero le poltrone, per leggere semisdraiati, le donne magari discinte.”
Ehi, un tablet: è fisico! È fatto di atomi, lo tocchiamo e ci clicchiamo e pigiamo su tasti, vivendoli in modo completamente diverso se sono tridimensionali (la tastiera) o monodimensionali (il touch) e tutto questo è fisico nello stesso identico modo della carta. È molto più fisico, per dire, di ascoltare una lezione o una conferenza, ma nessuno si sognerebbe mai di scrivere che una lezione orale è meno efficace di un libro perché non permette alla memoria di ancorare il contenuto allo spazio. Non a caso annotiamo, dove più ci piace, sia le lezioni orali, sia i libri, sia i testi digitali: riorganizziamo le informazioni a modo nostro ridistribuendole nello spazio da molto prima del computer. Sottolineare un libro di carta è un contatto mediato (dalla penna) esattamente come sottolineare un libro di bit, anzi, se proprio vogliamo fare i puntacazzisti con l’ebook sottolineo direttamente con il dito.
Insomma, ogni volta che qualcuno scrive “il digitale è luogo senza fisicità” un designer muore di crepacuore: la fisicità cambia, ma certo non scompare, così come la digitalizzazione dei processi non li fa scomparire, ma al contrario li rende visibili.
Il motivo per cui l’assioma “testo digitale implica perdita di fisicità della lettura” è così fastidioso è che toglie energia a un dibattito culturale che si esaurisce sempre nella dicotomia tra carta e bit, come se il punto fosse scegliere un formato (gli apocalittici la carta, gli integrati i bit, ovviamente) e non invece comprendere come le diverse esperienze modificano non solo la lettura ma anche e soprattutto la scrittura, il pensiero, la diffusione delle idee (o delle non-idee) o la collaborazione, che sia in azienda, in classe, con gli amici o i vicini di casa.
Siamo fermi al palo del “i nativi digitali preferiscono libri di carta” (sottotesto #gnegnegne), morbosamente assorti nel capire se e quanto la lettura digitale (come se fosse tutta uguale) peggiora la comprensione del testo, incapaci di unire i puntini tra letture veloci, conversazioni scritte e nuove forme narrative infinite, come le saghe, le serie televisive e i giochi di ruolo. Vorrei una volta, solo una volta, invece delle lagne alla #ioleggoperché, sentire qualcuno chiedersi (non dico spiegarmi) come mai se nessuno ha più voglia di leggere testi lunghi i bestseller sono praticamente tutti saghe infinite.
Voglio ricerche serie sulla prossemica, voglio ricerche che considerino in modo diverso l’immersione nella lettura con e-reader non connessi, tablet e monitor, voglio riflessioni approfondite su come e quanto cambia il livello di immedesimazione (non il ricordo) a seconda del supporto, voglio capire con un neuroscienziato quanto è importante la direzione dello sguardo quando scorriamo un testo (guardando davanti a noi sul monitor) o ci concentriamo leggendo (guardando in basso su carta o su tablet). Riflessioni stimolanti come questa di Marco Belpoliti sulla tridimensionalità, che non mi convince del tutto ma mi stuzzica e soprattutto ha il pregio di andare oltre la semplice dicotomia fisico/digitale.
Il digitale vive nella realtà fisica, a meno che non sappiate qualcosa che io non so. Gli esseri umani manipolano simboli da millenni, facciamocene una ragione: per un alieno quei segnetti sulla carta non sono diversamente fisici da quelli su uno schermo, se vogliamo capire meglio cosa sta succedendo e come migliorarlo dobbiamo partire da qui.
Pubblicato in precedenza su luminol.inform-ant.com il 20 maggio 2015.