La magia delle cose perse e ritrovate

Valentina D.
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3 min readMar 11, 2016

Può una bambina abbandonata sopravvivere trovando riparo ai grandi magazzini? Può un vecchio barbone che ha perso le falangi rivelarsi una persona affidabile nonostante il tic che lo accompagna? Può una vecchia inacidita e incattivita imparare ad abbandonare il proprio mondo fatto di misure e tornare al mondo reale? Ovviamente sì, sono domande retoriche, ma questo è un tipico esempio di libro che si smarca completamente dalle aspettative che ci si potrebbe creare guardando la copertina e il titolo.

La magia delle cose perse e ritrovate di Brooke Davis è un confronto crudo e spietato con la morte e la solitudine.
Tutti i protagonisti sono persone che vivono ai margini della società: una bambina troppo piccola per essere autosufficiente, un barbone afflitto da tic nervosi, una vedova ritiratasi da ogni contatto con il mondo. Eppure proprio questa particolarità rende il libro a volte molto poetico, ma il più delle volte molto diretto e doloroso. Come se in realtà il modo che queste persone hanno di affrontare il dolore fosse più sincero e immediato, nella sua ingenuità, di tutte quelle costruzioni complesse e inutili con cui si consolano le persone “normali”. In realtà questo confronto ci permette di sentire come, pur avendo si suppone gli strumenti più adatti per analizzare e affrontare la realtà, davanti alla morte e davanti all’abbandono, davanti all’ineluttabile solitudine tutti ricorriamo a degli espedienti per continuare ad affrontare la vita.

Ecco, questo è un libro che racconta proprio di quegli espedienti che ci premettono di sopravvivere al dolore, le costruzioni con cui riempiamo i vuoti di abbandono o i vuoti di comprensione. Lo fa come se stesse raccontando un’avventura, e giunta alla fine ho trovato più di un’analogia tra i personaggi del libro e quelli de Il mago di Oz. Forse perché anche in questo caso è un’avventura che vede diverse persone alla ricerca di cose diverse. Ognuna con il proprio dramma da superare, ognuna con il proprio percorso interiore da svolgere individualmente.

Mi è piaciuto il modo così delicato e sorridente di raccontare la solitudine. E mi è piaciuto soprattutto il personaggio di Millie, la bambina dagli stivaletti rossi: per molti versi sembra una “bambina da libro” in tutto e per tutto, nel senso che l’autrice sottolinea spesso la sua vivacità, la sua curiosità e il modo tipico infantile di non conoscere con esattezza il confine tra il mondo reale e quello immaginato. Per molti altri versi però Millie viene rivestita di alcune caratteristiche che spesso i “bambini da libro” non hanno a differenza dei bambini reali, e ci ricorda che per i bambini reali la loro esigenza di comprensione del mondo non è solo il motore che li porta a fare costantemente delle domande scoccianti, ma è anche ciò che li spinge a trovare e creare delle rappresentazioni della morte e della solitudine che hanno una profondità di intuizione che gli adulti dovrebbero tenere sempre presente.

Originally published at www.malapuella.it on March 11, 2016.

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Valentina D.
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