Letture sotto l’ombrellone: Gli sdraiati — Michele Serra

Luca Lottero
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5 min readAug 18, 2016

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“Gli sdraiati” di Michele Serra (Feltrinelli — 2013) ha riposato per circa due anni tra gli scaffali della libreria di casa. I miei lo lessero appena comprato, e mio padre me lo consigliò, ma io lo catalogai mentalmente tra i “forse più avanti”. Più avanti è un lasso di tempo che può durare dalle poche settimane ai 2–3–10 anni, tante sono le cose da leggere. La durata dell’intervallo è in genere inversamente proporzionale alla curiosità o all’urgenza provocate dall’opera. “Gli sdraiati” ha aspettato due anni, dicevamo. Ad altri è andata peggio, ma certo non mi sono lanciato avidamente tra le sue pagine, nonostante ne sentissi parlare molto e quasi sempre bene.

Non saprei dire perché a 100 pagine di una penna che apprezzo abbia inflitto 24 mesi di triste oblio.

O forse sì.

Diciamo che in un libro sul tema “rapporto genitori-figli” e/o “rapporti intergenerazionali” scritto da un sessantenne forse temevo più o meno coscientemente di trovarmi in mezzo a paternali boriose, luoghi comuni spiccioli e nostalgici “ai miei tempi”. Cose che in genere sopporto poco.

La prima parte del libro, ahimè, conferma i miei timori. Protagonisti sono un padre divorziato di mezza età con poco polso e un diciottenne spiantato. La coppia ha notevoli problemi di comunicazione. Il padre trova fantastiche cose come camminare sui monti e fare la vendemmia con gli amici, e non si capacita che le stesse cose per il figlio siano poco più che seccature, una sgradita interruzione nel rapporto (quello si, appagante) tra se stesso e gli apparecchi elettronici — smartphone, iPod, televisione — a cui è costantemente connesso.

Il padre, ogni tanto, morirebbe dalla voglia di urlare qualcosa al proprio figlio “sdraiato”, ma non lo fa, un po’ per filosofia personale, un po’ per un evidente problema di autorevolezza. Nel mini-parlamento che abita il cervello del protagonista adulto, i deputati conservatori sbraitano infuriati ogni volta che rinuncia a punire e sanzionare, mentre il protagonista stesso siede, un po’ confuso e a corto di argomenti, tra i banchi della sinistra relativista:

Sono diversi da noi, ma non è detto che siano peggiori. Magari siamo noi che non li capiamo.

È sostanzialmente a questo relativismo che il padre si aggrappa ogni volta che rinuncia a interferire con la vita del proprio figlio, anche quando gli sembra evidente che qualcosa andrebbe corretto. Una rinuncia largamente riconosciuta e ammessa, che trova le proprie radici nella formazione culturale dell’autore (fedelmente ricalcata nel protagonista), per natura allergica a qualsiasi forma di autorità.

Viene da una generazione, Serra, che ha orgogliosamente combattuto quella dei propri padri sul piano culturale. L’autore nel 1968 aveva solo 14 anni, ma certo non è rimasto indifferente alle influenze culturali dell’epoca. Oggi si ritrova dalla parte dei padri e, com’è nelle cose, si ritrova a vivere i conflitti generazionali in modo più problematico. Secondo lui, i giovani dei suoi tempi avevano si lanciato una sfida alla generazione precedente, ma su un campo di battaglia condiviso, con regole precise.

Tutt’altra cosa è oggi, almeno secondo la firma di Repubblica. Gli “sdraiati” moderni vivono in una loro dimensione parallela (quella digitale?) e al mondo degli adulti non riservano altro che totale indifferenza.

Francisco Goya — Saturno divora i propri figli (dettaglio). Credits: artsblog.it

Mi sono trovato a leggere questo libro con qualche anno in più del protagonista giovane e parecchi in meno di quello adulto. Non mi identifico dunque con nessuno dei due, e non posso che parlare di loro che da “esterno”. Da totale estraneo e in modo del tutto questionabile dico quindi che il giovane disegnato da Serra non è rappresentativo di tutta la gioventù contemporanea, mentre il padre prova una sensazione che ho il sospetto esista da sempre: quella che le nuove generazioni sfuggano a quelle vecchie.

Dice lui che, “ai suoi tempi”, i giovani combattevano sullo stesso campo di battaglia dei vecchi. Ma lo dice appunto lui, che all’epoca stava dalla parte dei giovani. Degli “sdraiati” dell’epoca, appunto. Io (e torniamo nel campo delle opinabili opinioni personali) credo che in effetti il terreno di scontro sia cambiato, ma non secondo i termini descritti dall’autore. Da quello che leggo e sento, i giovani dell’epoca in cui Serra era giovane avevano la genuina missione di cambiare il mondo. Oggi, noi (e questa volta ci infilo anche la mia generazione) siamo parecchio meno sovversivi, abbiamo obiettivi più — diciamo così — concreti.

Non vogliamo rivoluzionare la società dei nostri padri, vogliamo le stesse cose che hanno avuto loro. In un’epoca di veloci cambiamenti e incertezze, vogliamo qualcosa di sicuro e stabile: un lavoro, una casa, una famiglia. Siamo la generazione che si sente dire da sempre che non arriverà mai alla pensione e che “il posto fisso non esiste più”. Siamo anche la generazione del disincanto e della realpolitik di Game of Thrones e House of Cards: le idee dei giovani di allora oggi sarebbero bollate come ingenuità, sciocche fantasie. Non immaginiamo più utopie e mondi alternativi, il “ma pensa a lavorare” che gli adulti di 30–40 anni fa dicevano ai giovani ce lo diciamo da soli, senza però trovarlo, un lavoro.

In definitiva, ho il sospetto che quello che Michele Serra prova nei confronti delle nuove generazioni non sia nulla di nuovo, né di originale. Certo, però, tradirebbe sé stesso e le idee di una vita se il suo ritratto della gioventù di oggi si limitasse a un mero rimprovero, a uno sdegnato borbottio d’anziano. Rivelatore dei reali sentimenti dell’autore verso i giovani sono i capitoli dedicati all’immaginario romanzo che il protagonista adulto della storia sta scrivendo. L’argomento è, significativamente, una nuova guerra mondiale, in cui ad affrontarsi non sono nazioni diverse ma i vecchi e i giovani. Il protagonista del libro si identifica nel generale dell’esercito dei vecchi, Brenno Alzheimer, che a un certo punto decide di tradire la propria parte fornendo informazioni strategiche decisive ai giovani.

Sente, Brenno (e con lui il protagonista), che a vincere il conflitto generazionale debbano, alla fine, essere i giovani. Non spiega nel dettaglio il perché (nella sotto-storia Brenno ha una sorta di rivelazione quando si accorge della bellezza dei cadaveri di alcuni giovani), ma sente che sia giusto così. “Solo per il fatto che sono giovani hanno ragione per forza”, direbbe Giorgio Gaber. Credo che Michele Serra, con una buona dose di dubbi e smarrimento, pensi più o meno la stessa cosa.

Originally published at lucalottero.wordpress.com on August 18, 2016.

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