Gli occhi di Jane Austen.

Un caso di orgoglio e pregiudizio

Ludovica Lugli
Leggere oggi

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L’estate scorsa mi è capitato qualcosa di straordinario. Senza nemmeno provarci sono riuscita in un’impresa che tante volte avevo tentato in passato: convincere un uomo a leggere Orgoglio e pregiudizio. Conosco tanti ragazzi che leggono, cioè che potrebbero rientrare largamente nella categoria dei lettori forti come l’intende l’Istat, ma nessuno di loro ha mai citato Jane Austen — o Mary Shelley, o Emily Brontë, o Virginia Woolf — parlando di libri, che si trattasse di libri apprezzati, di libri non piaciuti, di libri fondamentali, di libri che non si ha mai avuto l’occasione di leggere pur volendo. E mi fermo al terreno condiviso dei classici solo per mettere tutti d’accordo.

Senza nemmeno provarci, sono riuscita a convincere un uomo a leggere Orgoglio e pregiudizio, uno dei miei romanzi preferiti, e ho riflettuto sul perché la cosa mi stupisse tanto. Ovvio: non mi era mai capitato che un ragazzo si entusiasmasse all’idea di leggere Jane Austen e il mio cervello dava per scontato che fosse impossibile. Ho sempre cercato di far leggere a più persone possibili i libri che nel tempo sono stati davvero importanti per me. Ho perso il conto delle persone a cui ho regalato/prestato l’autobiografia di Christopher Hitchens, o Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron, Tennis, tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più) di David Foster Wallace o Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami. C’è un altro libro che ho regalato più di una volta: L’arte della gioia di Goliarda Sapienza. Ma questo non l’ho mai proposto a un amico, solo alle amiche. Perché, lo confesso, finiti i tempi in cui i miei scrittori preferiti erano Roald Dahl, Jacqueline Wilson, Eva Ibbotson e Geoffrey McSkimming (in quest’ordine), sono diventata una lettrice che, senza averci mai riflettuto sopra, dava per scontato che i libri migliori li avessero scritti degli uomini, che spesso scartava un romanzo perché scritto da una donna, e altrettante volte andava in cerca di protagoniste femminili scritte da uomini per riconoscersi di più. Non lo facevo apposta, ma quando mi sono resa conto che era così, ho cercato di capire se il mio pregiudizio fosse fondato e perché lo avessi.

Premesse che ho posticipato:

  • questo discorso è limitato alla narrativa, la saggistica ha regole diverse;
  • se ve lo foste persi, tutto è nato da un’intervista a un libraio di Bologna, Marco Bonassi, pubblicata su La Repubblica:

Lo confesso, non ne leggo molte [di autrici, ndr]. E non volevo barare, né fare il politicamente corretto.

@GuyInYourMFA è un progetto di Dana Schwartz, che è una ragazza e fa molto ridere (non vedo l’ora che pubblichi un libro per leggerlo).

Superare il pregiudizio

di Florence Fuller

Ho passato il resto dell’estate ad applicare un disgustoso sistema di “quote rosa” alle mie letture. Non era la prima volta che mi forzavo a scegliere i libri in base a una specifica categoria; l’anno scorso per esempio mi ero imposta “gli italiani contemporanei”. Grazie ai tag di Anobii, posso calcolare la percentuale di libri scritti da donne che ho letto: escludendo le letture della mia infanzia e includendo le raccolte di racconti o articoli in cui almeno uno è opera di una penna femminile, sono a 123 su 530. Poco più del 20 per cento, quindi.

Come mi hanno fatto notare più persone, è naturale aver letto più libri scritti da uomini che da donne, e la ragione è puramente storica. Tenendo conto del fatto che la stragrande maggioranza dei classici è opera di uomini, qual è la “normale” percentuale di libri scritti da donne che dovremmo aver letto nell’ipotesi che il genere dell’autore non conti, che non abbiamo pregiudizi in merito e che uomini e donne siano capaci di scrivere grandi romanzi allo stesso modo?

Per cercare di capire se fossi la sola ad avere il pregiudizio sulle scrittrici, ho fatto un sondaggio su Facebook rivolto al alcuni amici. Queste erano le domande:

1) hai letto più libri scritti da donne o più libri scritti da uomini?

2) il tuo atteggiamento nei confronti di un libro è diverso a seconda del fatto che lo abbia scritto un uomo o una donna?

3) secondo te, perché nonostante il fatto che licei classici/facoltà di lettere abbiano più studenti femmine che maschi, tra gli autori contemporanei in evidenza in libreria prevalgono i nomi maschili? è perché le donne leggono di più e gli uomini scrivono di più? è perché alle donne interessa di più quello che scrivono gli uomini? perché scrivere/essere pubblicata è più difficile per una donna?

4) hai un’ipotesi (o una teoria scientifica di cui non sono a conoscenza) sul perché le donne leggano di più?

5) secondo te esiste una scrittura femminile?

6) qual è il sesso della persona che ha scritto il tuo libro preferito? e il tuo secondo libro preferito? e il terzo? (non vale se è sempre la stessa persona)

Condivido con voi alcune delle risposte.

A., 20 anni, maschio. Quanti uomini (lettori, in questo caso) accetterebbero di prendere come modello (quantomeno intellettuale) una donna? Io (purtroppo) ne conosco davvero pochi. Al contrario, penso che una lettrice sia più propensa NON a evitare distinzioni in base al sesso di chi scrive, bensì a non avere paura di essere influenzata intellettualmente da un uomo. Ne consegue che i lettori uomini non leggono (o leggono pochissimo) libri scritti da donne, mentre le donne leggono in modo equilibrato libri scritti da autori di entrambi i sessi. La formula matematica (e commerciale) è dunque svelata: i libri scritti da uomini hanno un target di riferimento potenzialmente più ampio.

V., 26 anni, femmina. In maniera latente ho sempre avuto un sentimento di “sorellanza” verso le autrici donne, anche quando non avevo coscienza di voler scrivere o di essere femminista. Ho sempre avuto maggiore fiducia, come se confidassi che le donne avrebbero avuto più sensibilità e comprensione nel descrivere il mondo per come lo vivo, un comune sentire, un punto di vista. In poche parole, il mio è sempre stato un “pregiudizio” al contrario, ma di cui forse segretamente non ero consapevole. Ciò fa di me una che odia gli uomini? No, anche perché molti libri che ho amato sono scritti da autori uomini, e sono pagine di letteratura altissima e detonante. Perché talvolta, dove manca la fine comprensione, agli uomini è dato di avere il dono della megalomania. Per riassumere: simpatizzo sempre di più per le donne, tendo a dargli più chance, mentre agli uomini spesso guardo con disinteresse, quasi che ogni tanto mi aspettassi una maggiore approssimazione, uno sfoggio di ego che esclude una parte dei lettori (le lettrici).

F., 36 anni, maschio. (Le sue risposte sono concise, le metto tutte). 1) Non ci ho mai fatto caso. 2) Non credo, però sono un maschio e forse ci faccio caso senza farci caso. Comunque il mio scrittore preferito è la Kristof. 3) Mah. Secondo me la colpa è dell’ignoranza dei docenti. 4) Molto semplice. Siete più intelligenti. Infatti la mia famiglia è solo di donne. 5) No. 6) Non ci ho mai fatto caso.

L., 26 anni, femmina. In generale preferisco i romanzi degli uomini e i racconti delle donne. Ma non ho mai analizzato la cosa con qualcosa che non fosse il cuore o la pancia.

P., 25 anni, maschio. (Anche lui sufficientemente sintetico). 1) Uomini, di brutto; 2) Diamo per scontato che stiamo parlando di romanzi. La risposta è no, anche se è evidente che molto spesso quando affronto un romanzo femminile mi devo predisporre ad argomenti, stili e sensibilità magari lontani da quelli che apprezzo. Tuttavia questo è vero fino a un certo punto, perché Murakami per esempio scrive come una donna, e allora tutto si riduce a una differenza di testa e non di organi riproduttivi; 3) Questa è una cosa che mi ha sempre fatto pensare. Di solito si crea una catena associativa composta da quattro considerazioni: a) la maggior parte dei lettori sono donne e forse, per ragioni che non so, preferiscono leggere cose scritte da uomini; b) le donne sono più inclini al frou frou introspettivo, perdendo di vista altre cose che fanno il successo dei libri; è pregiudiziale, lo so bene, e non ha argomenti a sostegno. Sempre più donne scrivono, quindi… c) questo squilibrio è coerente con la situazione in qualsiasi ambito, dove la donna ha meno margine dell’uomo. Però… d) in qualsiasi altra arte la donna se la gioca a pari livello (a parte forse la pittura, ma perché lì mi dicevano dei pittori ci vuole anche una fisicità/manualità molto maschile); 4) Le prime lettrici erano tutte donne borghesi, che stavano in casa a non fare niente, e leggere ha sempre fatto parte dell’educazione femminile; non che mancasse in quella degli uomini, ma l’uomo va a cacciare gli animali, mica sta seduto a leggere romanzi d’appendice; 5) Sì, ma — riprendendo l’esempio di Murakami — non è condizionata biologicamente; 6) Tutti wuomini.

A., 26 anni, femmina. Tendo ad avere un pregiudizio negativo sulla scrittrici, mi disturba persino il termine. Qualcuno, o qualcosa, fa sì che io associ alla cosiddetta “letteratura femminile” una serie di rivolgimenti patetici e ombelicali che al più possono fregiarsi di essere lirici, ma di solito sono semplicemente pallosi. Diverse scrittrici delle quali in passato ho ammirato la penna (penso a Marguerite Yourcenar, per citare un’intoccabile, o a Jeannette Winterson, per dirne una opinabile) sono omosessuali. Altre per le quali ho esclamato “accidenti!” (la solita Flannery O’ Connor, la spietata Joyce Carol Oates) sono note al grande pubblico per avere, come si dice, una scrittura maschile. Io stessa mi sento lusingata e a mio agio come un centauro quando qualcuno mi dice che scrivo come il signor x.

Superare l’orgoglio

Ci sono grandi romanzi in giro e tanti romanzi molto interessanti; alcuni di questi li hanno scritti delle donne. Sono contenta di essermi costretta al sistema delle “quote rosa” perché usandolo ho letto alcuni libri che a causa del mio pregiudizio forse mi sarei persa, per sempre o per tanto altro tempo. Sentimentalmente e con grande passione ve ne consiglio alcuni — ma non sono una classifica.

di Anna Brassey

A causa del mio pregiudizio ho provato orgoglio quando li ho letti, perché mi ci sono riconosciuta come non capita spesso e allo stesso tempo ho pensato ancora una volta che li aveva scritti una donna, una mia simile. Il passo successivo del percorso, quello a cui sono arrivata ora, è abbandonare anche questo orgoglio. Come lettrice il mio interesse è andare alla ricerca di buoni libri e trovarli, punto e basta.

Qualche settimana fa su Tin House è stato pubblicato un intervento di una scrittrice statunitense, Claire Vaye Watkins; è molto lungo e complesso, ma il tema è come le autrici sentano l’istinto di imitare gli autori quando scrivono. S’intitola On pandering (pander significa compiacere) e questo ne è un estratto che ho tradotto (leggetelo tutto comunque):

Sono stata a guardare i ragazzi durante il mio tempo libero, durante la mia vita amorosa, e sono stata a guardare i ragazzi durante la mia istruzione. Ho osservato Melville, Salinger, Ford, Flaubert, Díaz, Dickens, sono stata a guardare anche quando quello che vedevo non mi piaceva particolarmente — e specialmente allora, perché voleva dire che c’era qualcosa di sbagliato in me, qualcosa a cui volevo rimediare. Allora ho osservato Nabokov, Thomas Hardy, Raymond Carver. Ho letto delle donne (alcune, non abbastanza) ma non le ho osservate. Nella mia mente non ho dato loro un megafono. Nella mia mente gli scrittori con dei megafoni non erano Mary Austin, o Louise Erdrich, o Joan Didion, o Joy Williams, o Toni Morrison, anche se ognuna di esse è stata importante per me come ogni altro scrittore uomo che ho citato, se non di più. Sono stata a guardare i ragazzi per imparare. Volevo scrivere qualcosa che sarebbe piaciuto a Cormac McCarthy, qualcosa per cui Thomas Pynchon sarebbe uscito fuori dal suo nascondiglio in segno di approvazione, qualcosa per cui David Foster Wallace avrebbe mandato dalla tomba una fascetta da mettere in copertina. Nella scrittura ho rimesso in scena l’eterno passatempo della mia infanzia: stare a guardare i ragazzi, emularli, cercare di attirare l’attenzione di quelli che non avevano idea che io esistessi.

Nel seguito dell’intervento Watkins racconta come a seguito della sua gravidanza ha deciso di non voler più scrivere come una donna e propone dieci idee per farla finita con il pandering e le distinzioni tra autori, che abbiano a che vedere con il genere, la sessualità, la nazionalità o il gruppo etnico. Con David Foster Wallace, “la letteratura si occupa di cosa voglia dire essere un cazzo di essere umano”. Essere umano, punto e basta.

Come lettori dovremmo superare pregiudizi e forme di orgoglio. Dovremmo essere aperti e cercare forme di verità ed emozione in ciò che ci somiglia e in ciò che è differente, perché è così che si fanno grandi scoperte.

Come donne, e forse in particolare come donne italiane, vale la pena continuare a interrogarsi su alcune questioni, a prescindere dal singolo libraio — che ha detto solo quello che pensava onestamente, e non deve essere demonizzato per qualcosa di molto più grande di lui (e che forse avrà qualche problema “aziendale” da risolvere). Su amazon.com la classifica dell’anno non sembra mostrare una preferenza di genere (come quella dei bestseller tedeschi segnalata da Davide Grillo). In conclusione, mi piacerebbe citare di nuovo la frase che Grace Paley ha detto ad A.M. Homes (in testa al post di Giulia Blasi), perché è quella che meglio riassume tutta questa faccenda ed è una grande verità a prescindere dalle idee che possiamo avere su scrittura femminile/maschile e scopo della letteratura:

Le donne hanno sempre fatto agli uomini l’onore di leggere i loro libri, di parlare dei loro libri e di farseli piacere, ma gli uomini non hanno mai ricambiato il favore.

Nella stessa intervista in cui ha ripreso questo giudizio, Homes continua:

Penso che sia tutto vero, che per qualche motivo gli uomini non vogliano leggere i libri scritti dalle donne. Non mi considero uno “scrittore femmina”, non penso di scrivere libri che abbiano dei temi prettamente femminili. Mi vedo per molti versi uno “scrittore maschio”, per il mio cervello e per i temi, ma non credo che ci debba essere una distinzione tra uomini e donne. Purtroppo però molta letteratura femminile non è letta da un ampio pubblico. Voglio fermamente scrivere libri per uomini e donne. Amo molto gli uomini e li penso come dei lettori.

Postilla

E comunque Elsa Morante voleva essere chiamata “scrittore” e nel primo numero di L’Espresso, uscito il 2 ottobre 1955, diceva:

È assurdo. Dividere le scrittrici dagli scrittori è come dividere l’umanità in biondi e bruni. Saba, che per me è il più importante poeta, dice che Marcel Proust è la più grande scrittrice del mondo.

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Ludovica Lugli
Leggere oggi

Lettrice. Ho avuto anche una breve storia d’amore con la fisica.