Dettaglio di come Nathan Burton ha immaginato la graphic novel nel romanzo di Stazione Undici.

Un mondo post-apocalittico con pochissime persone, quello di Emily St. John Mandel

Ludovica Lugli
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5 min readJan 20, 2016

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Seconda parte di una recensione doppia: si parla di romanzi di fantascienza con tratti distopici usciti nella traduzione italiana a novembre. Qui si parla di Stazione Undici, della canadese Emily St. John Mandel, pubblicato da Bompiani. Ieri mi ero occupata di Deserto americano di Claire Vaye Watkins.

Stazione Undici

In epigrafe a questo romanzo c’è una citazione del poeta polacco Czesław Miłosz: “Il lato in luce del pianeta muove verso le tenebre e le città si addormentano, ognuna alla sua ora”. È un ottimo modo per entrare in questo libro che racconta un mondo che si sta spegnendo o cerca di riprendersi dopo un’apocalisse causata da una particolare mutazione del virus dell’influenza suina, chiamata “georgiana”.

Stazione Undici è il quarto romanzo di Emily St. John Mandel, nata nel 1979 e firma della rivista letteraria The Millions.

Bompiani ha pubblicato il romanzo con la stessa illustrazione della copertina di destra, sempre opera di Nathan Burton.

Dove e quando. Vent’anni prima degli eventi che costituiscono il presente del libro una pandemia ha sterminato quasi tutta l’umanità, lasciando i superstiti senza più benzina, corrente elettrica e telecomunicazioni — e stati, polizia, aerei, antibiotici, etc. La storia si svolge nella regione dei Grandi Laghi tra Stati Uniti e Canada, anche se nel mondo descritto dal romanzo frontiere e città non esistono più. La narrazione segue principalmente l’Orchestra Sinfonica Itinerante, un gruppo di musicisti e teatranti che si spostano su pick-up riadattati a carri trainati da cavalli, e mettono in scena le opere shakespeariane nei piccoli insediamenti umani che incontrano sulla loro strada. Sulle fiancate dei carri della compagnia si legge una frase presa a prestito da una puntata di Star Trek: “Perché sopravvivere non è sufficiente”. Parte degli eventi narrati risale a prima della fine della nostra civiltà e contemporaneamente a essa: alcune scene sono dunque ambientate a Toronto, a Los Angeles, a New York e vicino a una spiaggia in Malesia.

Chi e cosa. Tutti i personaggi principali sono legati tra loro a causa del rapporto con un uomo morto d’infarto la notte in cui la georgiana cominciò a sterminare la popolazione di Toronto: si tratta del celebre attore Arthur Leander, impegnato nell’interpretazione di Re Lear al momento del decesso su un palco della città canadese. Il titolo del libro è anche quello della graphic novel realizzata dalla prima moglie di Leander, Miranda, e conservata gelosamente da Kirsten Raymonde, ancora bambina nei giorni della fine della civiltà e membro dell’Orchestra Sinfonica Itinerante. In questo caso il Profeta che crede di essere la luce in un mondo di salvati non ha un nome (anche se a un certo punto capiamo chi sia), ma è piuttosto inquietante in ogni caso.

Io c’ero quando c’è stata la fine dell’elettricità. A quel pensiero, brividi gli corsero lungo la schiena.

Come. Stazione Undici è un romanzo di genere, ma è scritto in modo letterario, ovvero lo si apprezza anche per lo stile. Ha diverse trame intrecciate, ma seguirle è facile.

Segni particolari. Pare che ne trarranno un film. Per quanto riguarda la verosimiglianza della parte sulla pandemia, mi sembra che nulla contraddica quanto ho imparato da Spillover di David Quammen (Adelphi, 2014), un ottimo saggio su come nascono le epidemie e come potrebbero essere fermate, e da Plague, un videogioco che simula il diffondersi di virus, batteri e funghi sconosciuti e il cui scopo è annientare l’umanità — il segreto è far cominciare il contagio in posti altamente popolati e con sistemi sanitari non eccellenti, provate con Cina e India. Un altro dato da segnalare è che di sicuro l’autrice usa dispositivi Apple — uno dei personaggi del romanzo raccoglie reperti del mondo prima della georgiana, tra cui smartphone, lettori mp3 e tablet resi inutili dall’assenza di elettricità, e pare che nessuno dei sopravvissuti fosse un utente Android.

Perché ho scoperto questo libro. Stavo guardando gli scaffali tra la j e la n in una libreria di Modena e sono stata attirata dall’unica copia di questo romanzo. Ammetto che lo strillo di George R.R. Martin scelto da Bompiani per la copertina (“Il miglior romanzo dell’anno, etc”)ha funzionato.

Lo consiglio? Sì. Le diverse trame si intrecciano senza errori o stiracchiate, vuoi sapere come i personaggi si incontreranno di nuovo e capire cosa li lega davvero e per questo la storia risulta avvincente. In questo caso il finale lascia intravedere una luce — gli umani sopravvissuti stanno riuscendo a ricostruire il mondo passato? in altre zone della Terra esistono ancora gli stati e Internet? — ma abbiamo capito i legami tra i personaggi e quindi non restiamo a bocca asciutta perché quello era ciò che davvero ci interessava.

Una citazione un po’ più lunga per dare un’idea.

Niente più viaggi in aereo. Niente più città intraviste dal cielo attraverso i finestrini, puntini di luce tremolante; niente più occhiate in giù da novemila metri di altezza mentre si immaginano le vite illuminate da quelle luci in quel momento. Niente più aeroplani, niente più richieste di chiudere il tavolino di fronte a te riportandolo in posizione verticale… ma no, questo non era vero, c’erano ancora aerei qua e là. Erano fermi, inattivi, sulle piste di decollo e negli hangar. Sulle loro ali si ammassava la neve. Nei mesi freddi erano ideali per immagazzinarvi il cibo.

Hai letto uno di questi libri e non sei d’accordo con me? Sei esperto di fantascienza e/o e credi che mi sia persa un punto fondamentale della questione? Ho provato a dare una struttura definita a questa recensione e mi piacerebbe sapere che ne pensi — cosa dovrebbe dirci una buona recensione? Come dovrebbe farlo? Può creare collegamenti tra diversi libri e diversi lettori?

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Ludovica Lugli
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Lettrice. Ho avuto anche una breve storia d’amore con la fisica.