Il dubbio dei Dubbi

Ovvero: dell’erronea attribuzione a Pietro Aretino dei “Dubbi amorosi”, opera oscena rinascimentale.

Mirko Visentin
8 min readJan 2, 2014

Pubblico questo mio breve saggio, scritto una decina di anni fa come introduzione all’edizione spagnola dei “Dubbi amorosi” pseudo-aretiniani. Da quanto ne so il libro uscì senza il mio contributo, forse perché la mia tesi dell’errata attribuzione aretiniana dei “Dubbi” era editorialmente — e commercialmente — poco attraente… L’edizione digitale dell’opera è liberamente consultabile su Liber Liber.

L’ironia della sorte ha voluto che i Dubbi amorosi, opera oscena in versi attribuita a Pietro Aretino (Arezzo 1492 — Venezia 1556), abbiano dato vita ad un “dubbio letterario”, ossia: quella serie di ottave nelle quali «ser Agnello» viene chiamato in causa per rispondere ai quasi cinquanta quesiti a sfondo sessuale «ch’oggi in bordello han mosso una gran lite», sono o non sono state scritte — appunto — dall’Aretino?

Attualmente di quest’opera non si conoscono manoscritti o edizioni a stampa cinquecenteschi. L’attestazione più antica è quella di un manoscritto conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, datato 1712 e intitolato Dubbi amorosi di Messer Pietro Aretino. Esistono inoltre, dello stesso secolo, due edizioni a stampa, sempre di area francese, e sempre conservate dalla Bibliotèque Nationale:

  1. Dubbii amorosi, altri dubbii e sonetti lussuriosi, di Pietro Aretino — Nella stamperia del Forno, alla Corona de’ cazzi (in realtà Paris, Grangé, 1757 circa. È l’edizione dalla quale sono state tratte le immagini che seguono);
  2. Dubbj amorosi, altri dubbj e sonetti lussuriosi di Pietro Aretino… Edizione più d’ogni altra corretta — Roma, nella stamperia Vaticana con privilegio di Sua Santità (in realtà Paris, Girouard), 1792.
Frontespizio dell’edizione del 1757.

Basare l’attribuzione di un testo su degli esemplari così distanti dall’epoca in cui il presunto autore visse ed operò è molto azzardato, così come lo sarebbe pensare che queste pubblicazioni tardive ripropongano edizioni più antiche sparite dalla circolazione per effetto dell’istituzione dell’Index librorum prohibitorum (prima edizione 1557), in quanto un qualche riferimento ai Dubbi amorosi lo si dovrebbe comunque trovare in uno dei numerosi scritti dell’Aretino (pensiamo ad esempio ai sei libri delle Lettere…) o di qualche autore coevo.

D’altro canto, secondo una prassi che si svilupperà notevolmente nel XVII secolo, dopo la morte dell’Aretino gli editori clandestini cominciarono subito a pubblicare numerosi testi a contenuto osceno spacciandoli per opera sua, con il solo scopo di ottenere un esito di vendita maggiore. E se nel caso dei due poemetti La puttana errante e Il trentuno della Zaffetta si è alla fine scoperto che a scriverli fu il veneziano Lorenzo Venier, per altre opere come La tariffa delle puttane di Vinegia e — appunto — i Dubbi amorosi la questione dell’effettiva paternità rimane ancora aperta. Solo quella della paternità, d’altro canto, perché risulta invece indubbio il fatto che questi testi uscirono verosimilmente dalla cosiddetta “fucina” aretiniana: una specie di “accademia” che venne a costituirsi a Venezia attorno alla figura carismatica dell’Aretino a partire dal suo trasferimento in laguna, nel 1527.

Infatti, al suo arrivo a Venezia, l’Aretino aveva all’attivo quello che potremmo considerare il testo capostipite della letteratura pornografica cinquecentesca, ovvero i Sonetti sopra i ‘XVI modi’ (altrimenti conosciuti come Sonetti lussuriosi): una raccolta di sedici sonetti posti dall’Aretino a commento di altrettanti disegni di Giulio Romano in cui vengono ritratti in maniera più che esplicita sedici scene di amplesso amoroso. Insomma: un vero e proprio kamasutra rinascimentale.

Una delle incisioni pubblicate nei “Sonetti sopra i ‘XVI modi’”.

La storia editoriale dei Sonetti è lunga e complessa; è tuttavia importante sapere che fu proprio a causa della loro composizione e pubblicazione (avvenuta nel 1525) che l’Aretino entrò in contrasto con la corte papale (dove risiedeva, amato ma anche temuto per le sue feroci “pasquinate”, fin dal 1517) a tal punto da dover lasciare Roma in fretta e furia, rifugiandosi prima a Mantova (dove comporrà la Coritigiana), poi a Venezia.

Era infatti successo che il datario pontificio Giberti aveva fatto incarcerare Marcantonio Raimondi per aver inciso i sedici disegni di Giulio Romano. Grazie all’interessamento dell’Aretino presso papa Clemente VII, il Raimondi era però stato scarcerato. Non contento, e per dar prova al Giberti della propria importanza, l’Aretino compose i sedici sonetti e li pubblicò in accoppiata con i disegni di Giulio Romano. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: l’Aretino perse il favore del papa e per poco anche la vita, a seguito di un accoltellamento avvenuto a Roma il 28 luglio dello stesso 1525.

Ricapitolando, l’Aretino arriva a Venezia nel 1527 accompagnato soprattutto dalla fama di poeta satirico e anti-cortigiano (era soprannominato il «flagello de’ principi»), ma — grazie allo scandalo suscitato dal caso dei Sonetti lussuriosi — anche di poeta pornografico.

Quella che lo accoglie è una città libera, anche se non democratica; aperta, anche se conservatrice; una città opportunista, che sul flusso continuo di genti e di merci basa la sua ricchezza. A Venezia la prostituzione non è solo tollerata, ma è pure regolata da leggi governative, in quanto le prostitute hanno un ruolo importantissimo nella conservazione dell’equilibrio sociale: impediscono che i forestieri importunino le donne veneziane e permettono ai giovani veneziani di dar sfogo alle proprie pulsioni sessuali, evitando di rovinare le strategie messe in atto dalle famiglie patrizie a salvaguardia del proprio patrimonio.

Forse proprio per esorcizzare questa presenza massiccia e istituzionalizzata della prostituzione, già a partire dalla seconda metà del XV secolo si era sviluppato, parallelamente ad una certa letteratura squisitamente erotica, ben rappresentata dai Constrasti di Leonardo Giustinian, un filone letterario “puttanesco” che si ispirava, in modo più o meno satirico, alla vita dei bordelli e delle cortigiane in genere.

Più tardi, nei primi decenni del XVI secolo, grazie anche alla rinascita della commedia teatrale (che in ambito erotico darà vita a un capolavoro come l’anonima Veneixiana), si sviluppa a Venezia un nuovo genere detto «alla bulesca», dal nome della Commedia ditta la bulesca, nella quale per la prima volta vengono messi in scena i rapporti conflittuali tra una prostituta ed il suo protettore. L’Aretino stesso non mancò di apprezzare questo genere (ormai maturo al suo arrivo in laguna); tant’è che, oltre a citare la canzone bulesca Deh averzi, Marcolina nel Marescalco (II, 8), in una sua lettera a Domenico Venier ricorda estaticamente una gita in barca durante la quale un gentiluomo della sua brigata si è messo a recitare «non so che bulesco in canzone».

È interessante notare come questa lettera (datata 1549) prenda le mosse proprio dall’elogio che l’Aretino rivolge alle produzioni in versi dei rappresentanti di questa specie di “accademia” poetica di cui si trova a essere leader e ispiratore.

Sì come bene ispesso la grossezza de i vilani cibi, o Magnifico S.Domenico, incitando l’appetito a una avidità di gola, che altra delicatura di signorili vivande non mai la mossero al piacere del mangiare in tal modo, così a le volte il triviale de i suggetti infimi aguzzano lo ingegno con certa ansia di prontitudine che in sorte alcuna d’Eroiche materie non dimostrossi mai tali. Sì che nel comporre per recrear lo intelletto in lingua, in stile, e in foggia Veneziana, laudo sommamente i Sonetti, i Capitoli, e gli Strambotti, che ho visti, letti, e intesi da voi, da altri, e da me. Imperoché ci sono drento alcuni spirti che destano le orecchie a chi gli sente, con certe iscosse di risa, che non si può dir meglio.

Fin qui le motivazioni esterne al testo che propendono per la non attribuzione dei Dubbi amorosi al “divino” Pietro Aretino. Il fatto è che anche da un punto di vista testuale ci sono elementi che portano lontani dalla penna dell’autore di opere altrettanto divertenti — pensiamo ai Ragionamenti — e altrettanto oscene — i Sonetti più volte citati. La più evidente è la dimestichezza dell’autore dei Dubbi con il latino, nella fattispecie con il formulario giuridico.

Riproduzione del dubbio n° 2 dall’edizione a stampa del 1757.

Paul Larivaille, nella sua documentata biografia dell’Aretino, riporta l’attenzione su una nota aggiunta al manoscritto parigino citato all’inizio di questa introduzione, la quale sottolinea che le risoluzioni dei dubbi presuppongono una «conoscenza del diritto civile e canonico» che l’Aretino certo non poteva avere. Infatti, sebbene fosse un uomo intelligente, sagace, fortemente critico, talentuso sotto più aspetti, tuttavia le sue modestissime origini (il padre era presumibilmente un calzolaio di Arezzo) non gli permisero di compiere studi regolari, tanto meno di tipo giuridico. D’altro canto — come fa notare Larivaille —, il «ser Agnello» al quale vengono sottoposti i vari dubbi potrebbe verosimilmente essere identificato con uno dei tre fratelli Agnelli con i quali Aretino aveva rapporti epistolari: Girolamo, Giovanni e Benedetto. Il primo morì nel 1530, e nello stesso anno il terzo si trovava a Venezia in qualità di ambasciatore mantovano. E dev’essere proprio in quegli anni che i Dubbi vennero composti, vista anche la presenza, nella prima parte dell’opera, di nomi di cortigiane citate nella Tariffa delle puttane di Vinegia, pubblicata a Venezia nel 1535.

Riproduzione del dubbio n° 9 dall’edizione a stampa del 1757.

Comunque la si voglia pensare, il debito dei Dubbi amorosi nei confronti del linguaggio e della spregiudicatezza dei Sonetti dell’Aretino è indiscutibile. Le tipologie di amplesso rimbalzano dai Sonetti ai Dubbi, così come il lessico (con la preponderanza d’uso di “cazzo”, “potta”, “cul”, “chiavare”), ma a differenza dei primi, dove l’Aretino si limita a commentare (a mo’ di fumetto) dei disegni privi di ambientazione, dando voce a due partner senza qualifica né nome, i Dubbi sono delle vere e proprie scenette ambientate ora in bordello, ora nella camera di una casa privata, ora in un monastero, ora in una chiesa, e dove i protagonisti hanno un nome (molti quelli di prostitute dell’epoca) ed un ruolo nella società (prostitute, mogli infedeli, mariti cornuti, insegnanti, pescatori, frati, preti, monache, etc.).

Riproduzione del dubbio n° 15 dall’edizione a stampa del 1757.

Perché il secondo grande debito dei Dubbi è quello — imprescindibile per certo tipo di letteratura — del Decameron di Boccaccio. Tant’è che il Dubbio XXVI ci presenta un «Frate Cipolla, gran predicatore» in una nuova veste di sodomita pederasta…

Concludo facendo notare, a tal proposito, come a partire dal Dubbio XXV l’ambientazione si sposti dal bordello ai luoghi della religione; i protagonisti non sono più prostitute (o, in rari casi, mogli maliziose), ma uomini e donne di religione: la badessa, il frate, la suora, il confessore, la monaca. Inoltre, la presenza del formulario latino diminuisce vistosamente, limitandosi per lo più all’avverbio interrogativo utrum (“forse”) che introduce la domanda posta in chiusura all’ottava.

Riproduzione del dubbio n° 26 dall’edizione a stampa del 1757.

Ed è forse proprio in questo stacco così netto dell’ambientazione e del linguaggio che trova conferma l’ipotesi di Larivaille, secondo cui i Dubbi amorosi altro non sarebbero che un «probabile divertissement collettivo» prodotto dalla cerchia di amici veneziani dell’Aretino, sottolineando quindi come in certi casi non è tanto la paternità di un testo a renderlo interessante, quanto piuttosto il contesto socio-letterario in cui è stato prodotto.

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Mirko Visentin

Book/Web/App designer fissato con la storia dell’editoria, della tipografia e della letteratura italiana. Mi occupo di UX e UI design per sputnikweb.it