L’orrore. L’orrore…

Federico Punzi
Lettere dall’Occidente
2 min readOct 15, 2014

Chiamare le cose con il loro nome è il primo passo verso la consapevolezza. Per i bambini è la prima vera conquista linguistica, chiamare con il suo nome una persona, un animale, un oggetto. E provano quasi gusto ad insistere, a ripetere, a elencare. Quasi per gioco. Crescendo, si impara anche ad edulcorare, eufemizzare, dissimulare. Finché il perbenismo e il politicamente corretto non hanno il sopravvento impedendoci di chiamare le cose con il loro nome. Si “mette giudizio”, ma ogni capacità di giudizio è perduta. Non sappiamo nemmeno più dire chi siamo, cosa facciamo, cosa ci distingue dagli altri. Da qui a non saper guardare in faccia la realtà, addirittura negarla quando contraddice i nostri schemi edulcorati, il passo è breve.

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Bisogna chiamarlo con il suo nome l’orrore, quando si presenta. Poi si può decidere come si risponde ad esso. L’unica risposta è “una violenza incomparabilmente superiore”, come ha scritto Giuliano Ferrara su Il Foglio? Viene in mente il monologo del colonnello Kurtz in Apocalypse Now:

“Io ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei, ma non ha il diritto di chiamarmi assassino. Ha il diritto di uccidermi, ha il diritto di fare questo, ma non ha il diritto di giudicarmi. E’ impossibile trovare le parole… per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore. L’orrore ha un volto, e bisogna farsi amico l’orrore. Orrore e terrore morale sono i tuoi amici, ma se non lo sono, essi sono dei nemici da temere, sono dei veri nemici”.

La decapitazione in mondovisione nel deserto, praticata dall’ISIS, è una brutalità, ma purtroppo né cieca, né folle, né disumana nel senso di non appartenente al genere umano. E’ un atto chiaro, cristallino, definitivo, che terrorizza per la volontà che in esso si esprime alla perfezione. Come i vietcong che nel racconto di Kurtz mozzano le piccole braccia di tutti i bambini appena vaccinati contro la polio dai soldati americani. Il messaggio è inequivocabile, eppure ci sforziamo di edulcorarlo, di girarci intorno (se non di volgere lo sguardo altrove), per non affrontarlo nel suo significato e nelle sue implicazioni morali e pratiche.

“L’orrore. L’orrore…”. E’ questo il dilemma: bisogna farsi amici dell’orrore per sconfiggere l’orrore del nemico? Tagliare tutti i ponti con la civiltà e tornare ai primordiali istinti dell’uomo? Abbiamo bisogno di un colonnello Kurtz per questo viaggio, per esercitare una “violenza incomparabilmente superiore”? Forse sì, ma nel caso speriamo che abbia successo anche la missione di rimozione e di ritorno alla civiltà del capitano Willard.

Prima di tutto però bisogna tornare a chiamare le cose con il loro nome. Anche l’orrore, quando si presenta.

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