Cani Randagi

Dal confino degli omosessuali all’emergenza AIDS degli anni ‘80. Con un (troppo) lungo saggio sulla diseducazione affettiva dei giorni nostri.

Dabliu
Fuori!
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2 min readJun 27, 2013

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Questo secondo romanzo di Roberto Paterlini, il primo a portarlo davanti al grande pubblico, ci svela prima di ogni altra cosa una notizia non banale: siamo davvero davanti ad uno scrittore.

Il romanzo ha vinto la prima edizione del premio La Giara, concorso letterario ideato da Michele Guardì e dedicato ai giovani scrittori emergenti che prevedeva la pubblicazione da parte della Rai del libro vincente.

La storia si snoda attraverso tre linee temporali che si contaminano fra loro: gli anni ‘30, gli anni ‘80 ed il presente. Il libro contiene tutti i temi più cari e tipici della tormentata letteratura omosessuale: amori non corrisposti, amori impossibili, tradimenti, relazioni caratterizzate da grandi differenze d’età, lo scoppio del caso HIV/AIDS, tutti i cataclismi le morti e le tragedie che ti fanno chiedere se esista la possibilità di una storia gay che finisca bene o, quantomeno, che non ti lasci l’angoscia di un inevitabile armageddon.

Cani Randagi è un libro che segue una curva ineditamente inversa rispetto alla gran parte dei romanzi che solitamente faticano a catturarti per poi appassionarti diverse pagine dopo i primi capitoli. La partenza è di quelle “col botto” con il tema della sorte degli omosessuali confinati durante il fascismo. Un tema dimenticato, di certo inedito per la narrativa, e che davvero pochi saggi ancora oggi hanno trattato. Un tema tornato fortunatamente al centro dell’attenzione negli scorsi mesi grazie all’iniziativa del sindaco delle Tremiti che ha voluto scoprire una targa nel luogo dove gli arrusi venivano portati.

Il libro salta poi agli anni ‘80 e ai giorni nostri per raccontare rispettivamente le storie di una coppia travolta dallo scoppio dell’emergenza AIDS e del nipote di uno dei due e dei suoi dilemmi amorosi-esistenziali capaci davvero di portare il lettore al limite della sopportazione e al doversi trattenere per non frullare via il libro dalla finestra. Una storia che avrebbe meritato una cinquantina di pagine in meno di incomprensibili tormenti e di spazio.

Tralasciando la scia di morte e dolore che ogni gay sembra tradizionalmente portarsi dietro in ogni romanzo, una menzione d’onore va alla straordinaria capacità dello scrittore di intrecciare con coerenza le tre linee del racconto, senza che la non linearità cronologica della narrazione disorienti chi sfoglia le pagine. Solo un appunto, del tutto legato al gusto personale, ai dialoghi che per i due terzi del libro vengono indirettizzati con un espediente probabilmente voluto per patinare il “racconto di tempi lontani” ma che in più passaggi rendono più difficoltosa la lettura e più faticoso tenere il filo.

Un autore certamente da tenere d’occhio. Un romanzo che, se non fosse stato per il lungo stillicidio sentimentalista finale, sarebbe stato sicuramente da promuovere a pieni voti.

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