FVG Pride: l’amore della lotta

Andre
Fuori!
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8 min readJun 11, 2017

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Ieri, 10 giugno 2017, Udine ha ospitato il suo primo Pride LGTBQIA. Forse sarebbe più corretto il contrario, è il Pride che ha ospitato e accolto Udine. Guardinga come non mai, e mai come in questo caso rispettosa delle transenne, la città, in profondo nord-est, un po’ borghese, più aperta alla cultura (due nomi soltanto: vicino/lontano e Far East Film) che alla differenze (non mi avrete mai, io non scriverò mai diverso), si è lasciata attraversare dal FVG PRIDE. Stupendomi.

Le gentili lettrici e gli accorati lettori necessitano di un’inquadramento sullo stupore. A Udine ci sono nato, a Udine ho desiderato fin da piccolo di lasciare la città. Quei maledetti 12 anni, quando la questione è binaria, o fighezza o sfighezza, segnano un vero e proprio binario. Il mio è stato quello del ciccione, che era pure basso e aveva pure una baffata non indifferente. Non giocavo a calcio, la mia migliore amica si chiamava Erika e non Mario, facevo teatro e avevo già accortezza di scegliermi i vestiti o farmi le finte copertine dei giornali con Microsoft Publisher (che mi auguro sia estinto come le giacche Energie che portavamo nel 1996).
Quando camminavo per il centro vacanze Francesco Com. (avrei scritto il nome intero ma sento già mia madre che mi manda via whatsapp uno sguardo inceneritore) in cui, appunto, facevo l’animatore di teatro, lui diceva “Riccione, riccione, aaahahh” ogni volta che passavo. Sottile ironia? Non lo so, di sicuro l’unica cosa sottile che aveva e che ha quel personaggio, un fallito che nemmeno si fa troppi problemi ad alzare le mani sulle ragazze.

Volevo sparire, avevo il terrore che questa cosa potesse arrivare a casa, che mi scrivessero frocio sul muro della villa. Erano già riusciti, in pochi anni, a farmi sentire sbagliato. Io, che non mi ero nemmeno posto il problema dell’identità, dell’orientamento. A casa poi, questo terrore aleggiava e sarebbe aleggiato per sempre in mio padre (no, non c’era ieri, strano eh?) che da quando ero più piccolo e facevo gli show (a Natale, Capodanno, una serie di sketch, musical, imitazioni che andavano da Fantastico a Drive in, passando per Pronto Raffaella? ovvio, perché stiamo parlando di feste e le feste vanno santificate con la santa per eccellenza, RC.) che quando toccava a me, numero finale, ovviamente, alzava gli occhi al cielo, andava fuori a fumare. Lame che si aggiungevano ai coltelli che arrivavano a scuola.

Udine continuava a guardarmi con sospetto, e per non farmi mancare niente arrivò anche il liceo, e soprattutto il terzo polo di attacco. Il prof di mate che mi disse nullità assoluta e poi quello di disegno, che, tra una guardata di culo a Lisa T. e l’altra, non essendo in grado di insegnare una volta si dilettò con l’oroscopo. Quando toccò ai pesci, assicurandosi che fossi solo io il pesce, il prof disse che il segno dei pesci soffre di eterodossia. Rise tantissimo, io lo guardai con odio profondo, ma morivo dentro. Volevo morire. Anche qui non posso dire il nome completo di Aldo N. l’unico prof. maschio di disegno del liceo Marinelli, sennò capireste chi è. Aggiungiamo il carico a coppe delle gite, in cui ovviamente aleggiava il terrore di dormire con me e poi che risate quando a cena c’erano i tavoli che mi indicavano, io che rispondevo che cazzo vuoi, Dario V. rispondeva il tuo con fare macho. Forse Dario aveva ragione, alla fine le voci girano su di lui, da anni, e anche sul mio bigolo. O Ilaria che imparò a Firenze la parola buco, e me la ripetè tutta la sera. Da quel momento decisi di essere una iena, la feci piangere sulle scale una volta. Mi avevate decisamente rotto i coglioni, provinciali, ignoranti, cessi.

Vi risparmio l’università, perché ebbi il piacere di andare prima a Trieste e poi a Milano. Solo lì sono riuscito a vivere la mia vita. Me ne sono dovuto andare, oltre ad essere troppo soubrette internazionale per il palco di Udine, ovviamente. Che libertà, che soddisfazione, che bello stare in un posto in cui ti chiedono che fai e non con chi scopi. Ho vissuto anni bellissimi, ho cercato di capire chi fossi, che mi piacesse, chi volessi vicino. Ad oggi, che sono passati 10 anni, la più bella cosa che ho capito è che non sono di sicuro eterosessuale. E la cosa più bellissima è che non me ne frega niente di niente di quello che pensa la gente. Quanto mi sento libero, quanto mi sento amato.

mia sorella Vale, moi medesimo, Luana, Erika, Mamma

Sì, decisamente, ho fatto carte false per essere qui a Udine questo weekend. Era una questione di amore, perché il Pride parla di quello, non parla di culi fuori e tette a siluro. È un movimento di liberazione sessuale, di rivendicazione politica, ma scusate, io sono troppo romantico per le categorie, per me si parla di amore. E quindi una dichiarazione va fatta. No, non ad Alessandro, che è il futuro nel presente del mio cuore.

La mia dichiarazione d’amore è per il passato. Per tutte quelle persone che ci sono sempre state e che ieri, erano vicino, accanto, attorno, attaccate a me. Persone che si sono trovate per ragioni astrali ad avere a che fare con me, che non ero come gli altri, semplicemente. Beh, cominciare è facile. Vicino a me c’era la mamma. Che da piccolo non si fece molti problemi ad aggiungere sotto mia richiesta JEM di Jem e le Holograms alla mia collezione di macchinine. Che alla mia curiosità sulla gonna mi chiese: ma perché vuoi provarla? Perché mi piace prendere in giro le femmine. (lì alzò gli occhi al cielo, ricordo benissimo). Che quando trovai il coraggio di dirle che mi facevano a scuola rispose: se ti dicono che sei gay devi rispondere e anche se lo fossi che male c’è? Ed era il 1995, non il 2017. Che si beccò tutti i coming out dei miei amici, ospitò JJ quando fu buttato fuori di casa, che ha conosciuto tutti i miei ragazzi.
E che ieri, era accanto a me. Anzi no, era vicino a me, come fanno le mamme, era nei paraggi, io andavo, parlavo, salutavo, era sempre lì, come è sempre stata lì (e adesso faccio pausa che già piango da 3 righe). Ad un certo punto io e mia sorella l’abbiamo vista cantare ETERO O GAY SONO FIGLI MIEI. Credo che chiuda il cerchio. Grazie.
E sì, c’era mia sorella, che mi ha difeso da quando è piccola, che aveva capito tutto prima di tutti, che ieri si è messa in ferie per sfilare con me, tenendomi il cane, perché sapeva che io ero emozionato, dovevo fare le foto, camminare a testa alta mentre dicevo, parafrasando Vida Boheme, sono Andre e la vostra approvazione non è necessaria, tantomeno richiesta. Grazie. Anche al resto della mia famiglia, totalmente matriarcale, che da anni mi sostiene in qualsiasi cosa faccia. Un 50% che rende 100 il mancante, assente, disinteressato altro 50%.
E a Luana, che in tutto il liceo si è subita i miei lamenti, i rimproveri per quando la facevo ridere, che ha tentato di spiegarmi matematica. Non riuscendoci ovviamente. Luana, che è stata vicino con me fino alla fine, che ha visto che ero talmente commosso che avevo la faccia solcata fino alle lacrime mentre fingevo di fare le foto e sentivo bollire negli occhi tutto l’orgoglio di essere lì. Grazie.
E Grazie a Erika, che è mia amica dal 198…dall’asilo. Che c’è da sempre, insopportabile e megera tanto quanto me che prendo, scappo, ritorno, ci penso. Che mi spacciava per suo cugino in modo che nessuno rompesse le balle che eravamo un maschio e femmina amici e basta. Che ha sempre capito e mai giudicato niente. Grazie.
Ringrazio anche quelli del teatro, il CSS di Udine, che non vedevo dieci anni e mi sono sentito a casa, in famiglia non appena ci siamo sorrisi in mezzo alla folla. Io che a casa e in famiglia qua non mi ci sono mai sentito.
E con me sfilavano anche Giacomo e Alessandra, con cui sono cresciuto, che come me sono scappati da Udine, trovando se stessi da un’altra parte.

Non credo di essere riuscito a spiegare quello che ho vissuto ieri al Pride di Udine, perché non è facile portare allo schermo il senso di appartenenza, di lotta, di orgoglio, di romanticismo, di rabbia, di pensiero se non ti è chiaro come catalogarlo.

Una cosa mi è chiara. La necessità di portare avanti queste manifestazioni. Mentre camminavo ieri mi sono girato e ho chiesto a due ragazzi: quanti anni avete? 16, mi dicono. Bravi, rispondo io come gli anziani. Quando noi avevamo la loro età questo era impensabile. Ed era impensabile anche che ci fosse liberamente in giro quel ragazzino truccato un po’ come Britney e come Sailor moon e i peli sulla panza belli in mostra. La signorina non biologica che finalmente può camminare per la strada aspettando diritti e non clienti. Le famiglie con i passeggini e i bambini che ridono.

Volete vederci per forza il marcio in un Pride? Il marketing? Bene, allora andate/venite in un Pride di provincia. Ve lo dice uno che vive a Milano, conosce Bologna come le sue tasche e ha visto Roma. Quella è la giusta celebrazione. Questa in provincia invece è la lotta. Non dobbiamo essere tollerati. Tu non ti puoi permettere di tollerare me. Io non sono sbagliato, non aspetto il tuo benestare per vivere. E te lo dimostro così. Un dato di fatto. Sono felice e fiero di essere quello che sono. Get over it.

(Ringraziamenti finali e speciali a Beppa e Nacho. W il FVG Pride.)

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Andre
Fuori!

Alle medie volevo essere il Principe di Bel Air, ma in verità ero Raven.