La frenata del matrimonio eterosessuale.

A due anni dall’introduzione del “divorzio breve” impennata del numero dei divorzi.

Dabliu
Fuori!
3 min readMay 7, 2017

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Secondo l’Istat nel nostro paese, nel periodo 2008–2014, i matrimoni eterosessuali sono diminuiti in media al ritmo di quasi 10.000 l’anno, con un aumento del numero dei divorzi che, nel 2015, è stato del ben 57%. Viene da chiedersi a cosa serva mantenere in vita un istituto dalla popolarità così calante da non giustificare certo i pesantissimi oneri che che unioni fra persone di sesso diverso comportano per lo Stato.

Se il titolo di questo post e il paragrafo precedente vi sono sembrati di una smisurata demenzialità avete avuto un assaggio di quello che succederebbe se, per assurdo, un giornalista decidesse mai di applicare al matrimonio contratto, al momento, da soli partner di sesso opposto la stessa logica messa in pratica oggi da Repubblica nel contare il numero di unioni civili al primo compleanno della legge che le ha introdotte.

Il sottotesto, fra umilianti virgolettati ed evidenti allusioni, è piuttosto chiaro: le aule parlamentari sono state impegnate per mesi sul tema più divisivo dell’attuale legislatura per produrre una legge che interessava poche centinaia di persone.

L’articolo finisce, ovviamente, immediatamente per essere uno straordinario assist ad omofobi di ogni lega che solo un anno fa si opponevano alla legge Cirinnà dicendo che avrebbe mandato in tilt il sistema previdenziale (ricordate i 40 miliardi sparati da Alfano?), svuotato le casse dell’INPS e aperto la strada ai cavalieri dell’Apocalisse e oggi ne certificano la pressoché totale ininfluenza in termini numerici.

Certo è difficile non notare come il pesare gli effetti di una legge sui diritti civili in termini squisitamente numerici sia figlia di un oscuro periodo e di una deriva, solleticata e cavalcata dalla propaganda di certa politica, che valuta ormai tutto in termini quantitativi, utilitaristici ed economici. Ma anche che mettere in pratica il nudo e crudo conto della serva su una legge che riguarda i diritti civili di una singola comunità, che in quanto tale non potrà mai produrre grandi numeri, significa implicitamente dire che lo Stato non si deve occupare del benessere e della tutela delle minoranze. Meno che mai di una minoranza, come quella delle persone LGBT o quella ancora più particolare delle coppie gay e lesbiche con convivenze stabili, sulle quali non si hanno dati numerici di partenza certi.

Ma la verità è che pesare i diritti civili, che riguardano tutti, anche se interessano direttamente una sola persona, come se si parlasse dell’opportunità di comprare o meno un chilo di broccoli al mercato o dei dati auditel dell’ultimo show del sabato sera è di una pochezza intellettuale disarmante che ci si aspetterebbe più da certi populisti che da giornalisti professionisti. Una bassezza che non tiene conto delle ricadute numericamente non quantificabili in termini sociali, relazionali e di salute che un riconoscimento giuridico, benché ancora monco e lontano dalla piena uguaglianza, porta con sé, specie per relazioni di durata decennale fino a un anno fa prive di un qualsivoglia riconoscimento pubblico.

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