Bravi & Camboni

Libreria Francavillese
La chianca
Published in
7 min readApr 12, 2016

di Massimiliano Chirico

Massimiliano Chirico ha riletto per noi Bravi & Camboni (Egg Edizioni, 2014), una leggendaria raccolta di storie sul Cagliari Calcio a cura del giornalista Paolo Piras (con prefazione di Gianni Mura).

L’ultima volta che ho finito nuovamente Bravi & Camboni, ho immaginato di poter finalmente conoscere Paolo Piras. Anzi, a voler essere più precisi, tornavo a casa in treno, seduto al suo fianco.
Abbiamo discusso del libro, di cosa ne pensavo e dei giocatori che più mi sono rimasti impressi, ho tirato fuori l’ultima giornata di Serie A ma siamo finiti col parlare del Cagliari, che ora (purtroppo) milita nel campionato cadetto.
Quando solo un paio di fermate mi separavano da casa, Paolo ha realizzato un mio desiderio: mi ha insignito del titolo di Ambasciatore di Bravi & Camboni nel Mondo, massima onorificenza che spetta a chi, come me, ha divorato il libro in ogni suo angolo, condividendone la tesi di fondo: il calcio non è un mosaico di leggende su giocatori sovrannaturali (come la televisione prova a farci credere), ma è una questione di uomini normali, comuni come noi.
Paolo mi ha interrogato, chiedendomi della storia di Gigi Riva e del mitico scudetto del Cagliari nella stagione 1969–1970 che io, al contrario di tanti miei coetanei, ora conosco perfettamente. Gli ho spiegato che mi sembra impossibile immaginare una squadra capace di concludere un campionato con soli undici gol subiti, mi sembra assurdo leggere che quello scudetto rappresenta quasi l’ingresso della Sardegna in Italia, una vittoria sportiva che si traveste da messaggio sociale e amplifica il suo potere, trasformando un’isola marginale quasi quanto il suo posto sulla cartina, fino a darle una luce particolare.
Mi fa strano. Cioè, stiamo parlando della Sardegna, tutti la studiano a scuola e i calciatori oggi ci vanno in vacanza ma in Bravi & Camboni sembra quasi che il trasferimento al Cagliari sia l’esilio dei giocatori bravi ma non troppo.
In quel viaggio onirico ho confidato a Paolo di come il libro mi abbia portato a rivalutare tutte le mie costruzioni sul mondo del calcio (e anche un po’ sull’Italia stessa) ma lui mi ha tranquillizzato, ricordandomi che eravamo quasi arrivati a casa e che non era il caso di prenderla così sul serio.

Ho avuto modo di leggere Bravi & Camboni due volte, in due momenti estremamente simili della mia vita: in entrambe le occasioni ero in viaggio e stavo ingannando l’attesa in treno saltando da un racconto all’altro. La suddivisione del libro in tanti piccoli capitoli mi ha permesso di interrompere e ricominciare la lettura in qualunque momento, senza seguire un filo logico che non fosse la squadra rossoblu o il calcio.
Bravi & Camboni parla al lettore, racconta storie di uomini e calciatori anche a chi non mastica in maniera seriosa la materia pallonara. Fin dalle prime pagine (e dalla prefazione di Gianni Mura!) ho avuto l’impressione di stringere tra le mani un lavoro che parla di calcio vero e delle migliaia di scenari che un pallone può creare, senza nascondere il suo concetto fondante: la potenza della storia del Cagliari Calcio, diluita in Primo Tempo, Intervallo e Secondo Tempo. Una storia che parte dai giocatori che hanno attraversato l’isola in maniera marginale (pur lasciando qualcosa in eredità ai tifosi), e si conclude con la sfilata dei pilastri del mondo del calcio cagliaritano, passando per presidenti e allenatori. Anche gli stadi rivestono ruoli importanti perché definiscono il confine di ogni racconto, creano un distacco netto tra il passato giocato nella polverosa Amsicora e il presente fatto di promesse, Sant’Elia e trasferimenti al Nereo Rocco di Trieste.

“In Bravi & Camboni è evidente la voglia di percorrere due strade intrecciate tra loro, la vita di un uomo e il suo corrispettivo da calciatore, due mondi che interagiscono, collidono e inevitabilmente comportano un’immensa fatica per essere compresi a fondo.”

Qualche tempo fa leggevo un articolo sulle scelte delle trasmissioni televisive che provano a interagire con i telespettatori, riducendo al minimo la distanza tra questi e lo stadio, provando a trasformare il salotto di casa in una finestra costantemente aperta sugli spalti. Credo, invece, che libri come Bravi & Camboni svolgano questo lavoro senza impiegare luci, microfoni e maxischermi: al termine di ogni capitolo ti prende il desiderio di correre allo stadio, seguire la squadra del tuo paese a pochi centimetri dalla balaustra di protezione e ascoltare le storie dei tifosi seduti accanto. In Bravi & Camboni è evidente la voglia di percorrere due strade intrecciate tra loro, la vita di un uomo e il suo corrispettivo da calciatore, due mondi che interagiscono e si influenzano, che collidono e inevitabilmente comportano un’immensa fatica per essere compresi a fondo.
La forza di ogni racconto sta nel normalizzare quelli che per noi, oggi, sono degli alieni: il trasferimento al Cagliari (come già detto) viene vissuto, dalla maggior parte dei giocatori presenti nel libro, come un ritorno alla base o come una punizione, nonostante la squadra rossoblu militasse nel massimo campionato italiano; giocatori che in questi racconti appaiono ordinari, quasi noiosi mentre sono comunque alle prese con la loro vita da professionisti.
Il libro poi si spacca in due, esaltando da una parte le icone leggendarie della società sarda , ovvero i Bravi, offrendo dall’altra uno sguardo su chi ha fatto parlare di sé molto più per la sua vita fuori dal rettangolo di gioco, per gli insuccessi o per la proverbiale broccaggine, e questi sono i Camboni.
Tutti, indistintamente, accolti sotto l’ala protettiva dei cagliaritani, probabilmente i genitori adottivi perfetti per tantissimi giocatori anomali transitati sull’isola.

“Quello che conta è la storia del giocatore che anima il capitolo e le emozioni dei tifosi ad ogni sgroppata sulla fascia.”

David Suazo

Il racconto su David Suazo rappresenta, per me, un punto di svolta nella lettura del libro. Piras effettua una analisi perfetta del Suazo atleta, accantonando parzialmente il suo lato umano, offrendo un’immagine sportiva e tattica praticamente perfetta e adattabile a qualsiasi tipo di calciatore veloce e avanti con l’età, come del resto è stato il laterale honduregno al tramonto della sua carriera. Attraverso questo racconto ho capito quanto la decadenza fisica di un giocatore sia incidente sul rendimento dello stesso quando la velocità è il suo punto forte: Suazo ha smesso di essere un calciatore determinante quando ormai le gambe non hanno più appoggiato l’esplosività del gioco da lui immaginato, e così è iniziata la tipica girandola di prestiti, il ritorno a Cagliari e poi fine, è diventato un bollito. In tutto questo Piras sembra il vero dribblomane della storia, descrive la parabola di Suazo ma mantiene intatto il significato che il giocatore ha avuto per il Cagliari e i suoi tifosi, anche il ritorno di fiamma di qualche anno dopo passa inosservato: quello che conta è la storia del giocatore che anima il capitolo e le emozioni dei tifosi ad ogni sgroppata sulla fascia.

“A volte posso sognare di sentirmi Gigi Riva, staccarmi dal suolo e vivere in una dimensione riservata agli uomini che scrivono la storia.”

Riccardo Dessì

Insomma, io mi sento davvero un Ambasciatore di Bravi & Camboni. Quando il mio percorso, seppur breve, tra le pagine del libro è arrivato al termine, ho richiuso il libro e ormai mancavano meno di dieci minuti alla stazione del treno del mio paese.
Ancora nel mio sedile, ho raccolto le cose che avevo tirato fuori dallo zaino, ho indossato le cuffie ma ho provato qualcosa di diverso. A qualche chilometro da casa mi sarebbe piaciuto essere Riccardo Dessì, un terzino del Cagliari che un giorno si ritrovò titolare a sua insaputa. Fu talmente preso alla sprovvista che dovette farsi aiutare dal magazziniere della squadra per trovare un paio di scarpe da indossare, era talmente abituato a scaldare la panchina da poter dimenticare anche gli attrezzi da lavoro a casa e quel giorno scese in campo con le scarpe di Riva.
Sarei voluto essere Dessì forse perché, a conti fatti, siamo tutti un po’ Riccardo, sbagliati ma al posto giusto e infatti il mio viaggio, che ormai volgeva al termine, era il viaggio fatto apposta per me anche se non ero stato la persona più adatta a viverlo, in quel momento. Ero Riccardo Dessì, un onesto operaio del pallone con addosso delle scarpe leggendarie, a volte posso sognare di sentirmi Gigi Riva, staccarmi dal suolo e vivere in una dimensione riservata agli uomini che scrivono la storia, farlo solo per qualche minuto prima di tornare in me stesso.
Sentirmi abbastanza Bravo ogni qualvolta sia necessario, ed essere decisamente Cambone per tutto il resto.

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