Le creature superiori — Dalle rovine, Luciano Funetta

Libreria Francavillese
La chianca
Published in
4 min readNov 17, 2015

Dalle rovine è il romanzo d’esordio di Luciano Funetta. Sarà in libreria a partire dal 19 novembre, pubblicato da Tunué nella collana Romanzi (diretta da Vanni Santoni). Quello che segue è il suo incipit.
Buona lettura.

L’appartamento di Rivera si trovava al terzo piano di uno dei condomini semicircolari della periferia nord. La finestra della camera da letto si affacciava a sud, in direzione del centro di Fortezza. Da lì potevamo vedere l’ingresso del parco pubblico e la strada, il chiosco dei giornali e, in lontananza sulla destra, le torri dell’area industriale, il punto in cui il cielo anche di notte veniva attraversato dai bagliori artificiali dei gas. Dietro le torri cominciavano i campi popolati dalle bande di ragazzini e dalle orde dei cani.

Ogni stanza dell’appartamento aveva la sua finestra; l’unico ambiente cieco era la stanza delle teche, dove Rivera teneva la collezione. Anche quando se ne stava tranquillo in soggiorno a non fare niente, sapeva che dietro la porta della stanza c’erano trenta creature la cui sopravvivenza dipendeva da lui. Aveva cominciato a collezionarle quindici anni prima e ormai occupavano gran parte delle sue giornate. Le catturava in campagna, le ordinava nei negozi di animali esotici oppure se le procurava al mercato nero, tramite individui che all’inizio lo avevano spaventato ma che ben presto erano diventati i suoi unici contatti con l’esterno, fatta eccezione per la corrispondenza che Rivera teneva con altri collezionisti, uomini e donne che non aveva mai visto, ma che gli sembrava di conoscere dall’infanzia. Nel computer che teneva in camera da letto custodiva un archivio ormai decennale in cui erano catalogate lunghe e-mail fitte di informazioni e di aggiornamenti reciproci. Quello che più lo interessava di quei rapporti, tuttavia, era l’aspetto sentimentale o, se così possiamo dire, mistico.
Per quella che era l’esperienza di Rivera, non esistevano al mondo collezionisti animati soltanto dall’interesse scientifico. Una volta, per esempio, un tale che firmava le sue mail con lo pseudonimo Aspis-LD50 gli aveva confessato di aver riscontrato negli esemplari della propria collezione un cambiamento, come se le sue cure li avessero trasformati in creature superiori. Superiori a cosa?, si era chiesto alla fine del messaggio. Ancora non era riuscito a darsi una risposta. Alla divisione degli esseri in classi e delle classi in specie, forse; o magari sono io che sto cambiando, concludeva.

Da qualche anno Rivera viveva solo. Il lavoro al giornale era soltanto un ricordo che apparteneva a un tempo diverso. Di sera, dopo aver spento l’illuminazione delle teche, si infilava a letto e leggeva qualche pagina di Rettili velenosi dell’emisfero Occidentale di Campbell e Lamar. Poi si addormentava. Altre volte, invece, restava sveglio fino a tardi, si affacciava alla finestra e si metteva a contemplare i chilometri di cavi elettrici che correvano da un palo all’altro intorno a casa sua. Di tanto in tanto si sentiva una scarica ronzare da qualche parte, in un punto indefinito di quell’autostrada. Poi il suo sguardo si allungava in lontananza, verso le luci di Fortezza più in alto, oppure sulle carrozzerie delle automobili che passavano in basso. Alla fine Rivera rimetteva la testa dentro e chiudeva la finestra. Il vetro isolava di nuovo l’appartamento e tutto quello che c’era all’esterno, la città e gli uomini, gli uccelli sugli alberi, i delitti e l’elettricità che viaggiava attraverso i continenti, smettevano di interessarlo, all’improvviso.

In un modo o nell’altro, Rivera aveva un figlio. Quando aveva cinque anni, il bambino era stato morso da una delle creature della collezione e per poco non ci aveva lasciato la pelle. Rivera e la moglie erano rimasti con lui in ospedale quattro giorni, durante i quali la donna aveva chiesto a Rivera se ce l’avrebbero fatta. Rivera aveva risposto che non lo sapeva.

Quando i medici li informarono che il bambino poteva tornare a casa, la moglie disse a Rivera di scegliere tra loro e la collezione. Rivera disse che la collezione era la sua unica ragione di vita. La moglie lo guardò negli occhi, vide che sorrideva e se ne andò a vivere altrove con il bambino. Rivera non poteva vivere senza la sua collezione, noi lo sapevamo. Anche sua moglie avrebbe dovuto saperlo e invece se ne andò, nessuno sa di preciso dove. Al contrario, Rivera rimase nell’unico posto in cui si sentiva al sicuro. Nel giro di due mesi abbandonò il giornale e vendette la vecchia casa al mare dei genitori, il che gli procurò una somma sufficiente per vivere tranquillo abbastanza a lungo.

Rimase con noi; da un giorno all’altro, dopo averla ignorata per anni, si arrese e accettò la nostra presenza, perché a noi era toccato in sorte il privilegio di capire Rivera meglio di chiunque altro.

Luciano Funetta (1986) Vive a Roma. Fa parte del collettivo di scrittori TerraNullius. Ha pubblicato racconti su WATT, Granta Italia, Costola e altre riviste. È tra gli autori di Dylan Skyline (Nutrimenti, 2015).

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