Seminare il vento, raccogliere la tempesta.

«Semina il vento»: non vedevo un film così bello da tempo!

È la storia di Nica, che abbandona gli studi d’agronomia e torna a casa, in un paesino vicino Taranto, dopo anni d’assenza, e qui trova un padre sommerso dai debiti, una terra inquinata, gli ulivi secolari devastati, e tutti ormai arresi davanti alla pervasività del disastro ecologico, poi la ribellione, la rinascita, la lotta per salvare la sua terra dai parassiti (xylella ed ecomafie).

Se noi abbiamo perso la filosofia della terra e dei saperi ancestrali e magici che le sono connessi, perché allontanati dal lavoro nella fabbrica siderurgica tra le ciminiere del gigantesco polo industriale, i nostri figli invece, educati dalla saggezza mistica dei nonni, si sentono al proprio posto nell’uliveto di famiglia, e nella sua grotta magica, e tengono unite scienza e magia, i rituali dei culti delle pietre con lo studio al microscopio, vegliati e protetti da una gazza (che reincarna la nonna-strega, e che li lega alla dimensione animista ed empatica del meridione contadino). Fino all’acqua carsica che riemerge, liquido amniotico portatore di vita, ed al sacrificio rituale del fuoco, che brucia le macchine e le colpe di noi padri.

Preziosissima e commuovente, infine, è l’orchestrazione sonora del film, sound design elettronico minimalista che ricostruisce come un concerto il brusio delle foglie, il gocciolio dell’acqua, il frinire dei grilli, il verso della gazza, la sofferenza degli alberi.

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Antonio Viesti
Libretto per le giustificazioni delle assenze e dei ritardi

Sono nato vicino ad un passaggio a livello. Conosco i percorsi delle autolinee urbane. Di solito dormo nel posto più vicino alla porta.