Bernardine Evaristo — Ragazza, donna, altro — #LNP10

Salvatore Greco
LibriNonPolacchi
Published in
3 min readMar 2, 2021

Ho letto Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo (SUR, 2020, traduzione di Martina Testa), senza saperne davvero molto. Avevo presente solo il volto dell’autrice, dalle foto di rito dopo la vittoria al Booker Prize dello scorso anno. Sapevo anche, ma un po’ alla distanza, che si portava la nomea di libro femminista e di una struttura della prosa abbastanza peculiare. A partire dalla punteggiatura.

Quest’ultima cosa mi intimoriva un po’, tendo a essere allergico verso gli ibridi prosa/poesia e sono dell’avviso che il discorso indiretto libero vada maneggiato con cura, checché ne dicano gli insegnanti di scrittura creativa di varie scuole oggi di moda. L’idea di trovarmi di fronte un libro politico non mi spaventava invece, anzi, era uno dei motivi per cui lo avevo avvicinato. Avendo da poco finito di leggere Denti bianchi di Zadie Smith, sentivo di avere un percorso da completare o, se non altro, da portare avanti.

Tra le pagine di Ragazza, donna, altro in effetti ho trovato alcuni climi già presenti nel romanzo di Zadie Smith. Il Regno Unito trasformato, ripulito dalla patina vittoriana che a distanza di secoli ancora gli attribuiamo, popolato -come nella realtà extranarrativa- di persone non bianche. Se quelle di Zadie Smith erano ancora a una fase di integrazione culturalmente sofferta, quelle di Evaristo sono quasi tutte più avanti.

E sono quasi tutte donne, come il titolo lascia facilmente immaginare. Donne molto diverse tra loro. Libertine e conservatrici, casalinghe e donne in carriera, eteronormative e queer, giovani, anziane, felici, infelici. Donne partite ai margini e arrivate al centro, e anche donne partite al centro e arrivate ai margini. Non si può definirlo qui diversamente che non un romanzo corale, dove non c’è un protagonista dominante, ma piuttosto un centro variabile di attenzione narrativa.

La cosa più pregevole di Ragazza, donna, altro è che -pur essendo un romanzo dichiaratamente politico- non fa sconti a nessuno. Alcuna delle protagoniste è una figurina da femminismo militante, esente da ogni peccato come i soldati italiani nei film della seconda guerra mondiale. Evaristo permette alle sue donne di essere imperfette, a volte incoerenti e ipocrite, concede loro una preziosa normalità che toglie il peso morale di essere paladine rivoluzionarie.

La politicità di questo romanzo sta nell’affermare l’ovvio, per quanto spesso negato, di una grande varietà di intenti ed emozioni anche all’interno del campo di chi vive e professa l’intersezionalismo. Sono tutti personaggi complessi quelli di questo romanzo, e questo è uno dei suoi maggiori pregi.

La lingua usata da Evaristo, infine, rispecchia questa grande varietà. Non potrebbe essere altrimenti vista l’estrazione sociale, culturale e in una certa misura etnica delle protagoniste. Martina Testa in merito ha fatto un lavoro di indubbio valore. Le stesse remore che potevano arrivare dall’uso lirico, e quasi orale, della punteggiatura svaniscono una volta entrati nella lettura. L’idiosincrasia di Evaristo verso il punto fermo fa sì che la prosa sia fluida, le righe spezzate accentuano il ritmo, e non si ha mai l’impressione che l’operazione sia pretenziosa o non riuscita. Un piccolo miracolo. O forse, semplicemente, grande letteratura.

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