D. Hunter — Chav, solidarietà coatta — #LNP6

Salvatore Greco
LibriNonPolacchi
Published in
3 min readApr 21, 2020

Un paio di disclaimer prima di entrare nei dettagli del libro:

-non è un’opera di narrativa, ma qualcosa a metà tra il memoir e il pamphlet politico;

-non gode di una scrittura ricercata, né fa uso di artifici retorici di alcun tipo;

-contiene la descrizione di scene che ad alcuni lettori potrebbero causare sincero disagio e un uso assolutamente non filtrato del turpiloquio.

Fatte queste premesse, possiamo andare.

Alberto Prunetti, il traduttore nonché direttore della collana delle edizioni Alegre che lo ospita, ha mantenuto il “Chav” del titolo aggiungendo poi in sottotitolo una traduzione che sono sicuro gli sia costata dubbio e fatica: coatto.

Per me coatto oggi resta fin troppo permeato di un significato gergale romanesco che parte da certi personaggi di Verdone e oggi fa spesso coppia con pacchiano, rozzo, privo di gusto.

La solidarietà chav di cui D. Hunter si fa portavoce non è quella di coatti in questo senso, ma quella dell’universo sottoproletario da cui il protagonista viene.

Nei lunghi tratti autobiografici, Hunter racconta di essere cresciuto in una famiglia disfunzionale dove la prostituzione, il furto e il consumo di droga erano elementi quotidiani, parla dei vari arresti che ha subito, delle rapine che ha commesso, delle botte che ha preso e che ha dato, del sesso a pagamento che ha elargito sin da minorenne entrando presto nel giro piuttosto ampio e complesso dei sex workers (prostituzione è oggettivamente un termine troppo connotato e ristretto).

Compie questo racconto dal punto di vista di chi ne è uscito, ma non aspettatevi un diario di pentimento e penitenza o della testimonianza di un self-made-man che guarda con distacco il mondo da cui si è elevato. Hunter parla di solidarietà coatta proprio perché, pur arrivato a una vita “normale”, non rinnega il suo passato, ma lo analizza. E lo fa attraverso letture marxiste della società.

Le letture fatte in carcere, in particolare quel Gramsci che noi abbiamo prodotto e chissà quanto casualmente messo nel cassetto, lo hanno portato a elaborare una teoria di classe estremamente solida e convincente, con la quale Hunter colpisce, anche con severità, il mondo della sinistra istituzionale. Se il mondo coatto, chav, esiste, è perché un determinato sistema produttivo l’ha prodotto, e colpevolizzarlo o cercare di salvarlo con la carità non servirà a nulla.

“Non capisco come gli altri non riescano a collegare il conflitto con le strutture sociali e le forme del capitale. Le nostre relazioni interpersonali e i nostri conflitti non sono tutti sullo stesso piano, sono infestati dallo spettro del nostro passato e dalle forme strutturali di potere che incorporiamo. […] l’interazione e il suo contesto sociale non possono essere neutrali.

Non sono oggi una persona migliore di quel che ero in passato. Non sono più gentile, non sono più decente. È il mio contesto a essere più gentile, e questo ha smussato le mie asperità. Si è creato un ambiente più sicuro per me e questo mi spinge a sviluppare gli aspetti più pacati e più cordiali della mia personalità”.

Una lettura che non posso consigliare a tutti, ma il portato di una certa riflessione sarebbe da introiettare nel dibattito generale, anche tra chi non condivide (o non ha mai pensato a) letture marxiste della società.

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