Giorgio Fontana — Prima di noi — #LNP2

Salvatore Greco
LibriNonPolacchi
Published in
4 min readMar 31, 2020

Nella mia bolla si parlava del nuovo libro di Giorgio Fontana prima con grande attesa, poi con grande eccitazione e infine con grande appagamento. In sostanza, le premesse sul fatto che fosse un grande libro.

Confesso che, prima di leggere Prima di noi, conoscevo Fontana solo di nome, non ho letto i suoi lavori precedenti né avevo una precisa idea dello stile a cui mi sarei avvicinato. Ho scoperto praticamente quando avevo già il volume in una mano e i soldi nell’altra che si trattava di una grande epopea familiare italiana, una storia che partiva dalla prima guerra mondiale e arrivava ai giorni nostri. Prima di noi è un titolo-manifesto come raramente accade. Il libro racconta davvero quello che c’è stato prima di noi, come si è costruita l’Italia che conosciamo, o almeno una sua parte.

Da ragazzo, ero un grande appassionato di queste grandi saghe familiari, ho amato I Buddenbrook, Cent’anni di solitudine, I fratelli Ashkenazy e La famiglia Tarnowski di Israel Singer. Da lettore maturo, sono un po’ meno sensibile a questo tipo di narrazione e certi giochetti non funzionano più su di me come un tempo (lo dico con una certa nostalgia, in realtà). Fontana li usa tutti, li sa usare bene, ma non ho provato quasi mai la sensazione di stanchezza che a volte mi dà lo scoprire troppo presto l’impalcatura di un libro.

Innanzitutto, per la storia. Prima di noi parte da Caporetto, inizia nella Storia e prova a defilarsene. Letteralmente, perché il sottufficiale Maurizio Sartori abbandona la colonna in ritirata e si rifugia nelle campagne friulane, nella piccola fattoria dei Tassan dove inizierà tutta un’altra storia, la storia della sua -per così dire- dinastia. Da lì, per le circa ottocento pagine del romanzo, si dipanano le storie di quattro generazioni di Sartori, partiti dal Friuli e finiti a Milano, a Bruxelles, a Dublino. Quasi tutti ossessionati, ognuno a modo suo, da un’idea più grande di loro che li ha sepolti. A partire dal capostiipite, Maurizio Sartori, un uomo semplice, incolto, rozzo e piuttosto incapace di mostrare sentimenti. La guerra lo ha marchiato nel profondo: in ognuno e in ogni cosa vede una grande fregatura. Dei suoi tre figli, cresciuti durante la guerra, il grande sarà democristiano, poeta minore e professore di liceo; il mezzano operaio d’acciaieria e comunista convinto; il piccolo, così terribilmente simile al più giovane dei Karamazov, ossessionato dal bene e martire (è il caso di dirlo) da prigioniero di guerra in Africa.

E poi ci sono sulla scena i loro figli, figli del dopoguerra che ricercano un’ideale, chi nell’anarchia, chi nella libertà da ogni legame, chi ancora nella religione negata da un’educazione bonariamente marxista e atea, chi nella musica e nella propria omosessualità vissuta con fatica. Li seguiamo tutti questi Sartori, mentre li vediamo vivere gli anni complessi della repubblica italiana che noi abbiamo avuto (in parte) modo di digerire e storicizzare, ma che loro si vedono arrivare come un treno in faccia, non sempre in grado di comprenderli, quasi mai di cavalcarli.

Passano il tempo degli ideali e delle grandi lotte, arrivano al compromesso della famiglia, vivono un conflitto spesso violento tra la mediocrità di certi destini e le aspettative mai raggiunte o forse mai chiarite da cui erano partiti.

Ci passa davanti l’Italia, in particolare quella del nord-est, che si trasforma da agricola a industriale, e poi da industriale a post-industriale, e guardando i Sartori ci viene voglia di chiederci se guardiamo noi tutti come ci siamo arrivati fin qui. La risposta non è immediata né facile. Se l’ambizione di Fontana era quella di scrivere il grande romanzo italiano capace di racchiudere un’epoca, probabilmente c’è riuscito, facendo i sacrifici necessari al suo compimento. Sarebbe tuttavia ingenuo credere di trovarci davvero le storie di ognuno di noi, troppo differenziate sono le vicende locali di questo Paese perché una singola epopea familiare, per quanto esemplare, possa racchiuderle.

Resta comunque una lettura piacevole e gratificante, con quella potenza che solo le grandi epopee hanno di farci vivere accanto ai loro protagonisti le loro vite intere, e scritta con una lingua morbida, ma efficace.

Ho letto critiche a Fontana da parte di chi lo rimprovera di usare un italiano piatto o perlomeno poco variegato. Non credo di essere d’accordo con questo giudizio. Rispetto a buona parte del panorama mainstream italiano, Fontana ha una scrittura che trovo riconoscibile, un gusto per la sinestesia che gli permette di creare immagini molto efficaci, e personaggi definiti e modellati. Alcune cose, specie sul finale, sembrano un po’ appesantire, il ruolo della Storia si fa un po’ goffo e rientra a stento nelle vicende, come quando Fontana inserisce un paio di cammei per parlare di Aldo Moro o della strage di Capaci, ma in generale credo sia lo scotto da pagare per un libro di questo genere. Come detto, dei sacrifici vanno fatti.

Ho letto con grande emozione Prima di noi, affezionandomi a queste storie esemplari, secondo alcuni un po’ troppo. Non sarà forse il romanzo che rivoluzionerà la letteratura italiana, né per stile né per lingua né per contenuti, ma di un riepilogo narrativo per fare i conti con noi stessi ne avevamo bisogno. Con noi stessi e con chi c’era prima di noi, s’intende.

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