Giosuè Calaciura — Io sono Gesù — #LNP11

Salvatore Greco
LibriNonPolacchi
Published in
3 min readMar 2, 2021

Giosuè Calaciura è per me un nome noto soprattutto come volto di Radio3 e di Fahreneit, con quell’onomastica inoltre molto familiare a chi come me, e come lui, è cresciuto in Sicilia.

Non conoscevo il Calaciura autore, non conoscevo la sua penna. L’ho fatto poche settimane fa con Io sono Gesù, recentemente pubblicato da Sellerio. Un incontro felicissimo.

Se c’è un archetipo assoluto con cui la narrativa occidentale finisce sempre a confrontarsi, certamente questo archetipo è la figura di Gesù. Nessuna figura narrativa (in senso semiotico ampio, non voglio insinuare che non sia esistito) è più penetrante di Gesù e i motivi sono evidenti. Gli autori che si sono cimentati attorno a lui sono molti. Con buoni risultati letterari, l’ultimo è stato forse Josè Saramago, ma basti pensare anche agli studi divulgativi che Corrado Augias ha dedicato instancabilmente (e forse troppo) al Gesù storico o alle operazioni commerciali in stile Codice da Vinci che ne hanno preso ispirazione.

Chiaramente, costruire una narrazione attorno a un personaggio così noto e il cui perimetro di azione è così calcato nella coscienza collettiva è un’operazione in un certo senso facile. Facile è anche giocare a scoperchiare quel perimetro d’azione e ribaltare il piano simbolico, anche con l’obiettivo di scandalizzare e stupire.

Calaciura non vuole né cullarsi sul noto né stupire. Il suo Gesù è il protagonista di un vero e proprio romanzo di formazione, basato sugli anni di vita dell’uomo che i Vangeli non raccontano. Dalla prima infanzia fino all’inizio della sua predicazione. In questo solco di non raccontato, il Gesù di Calaciura è profondamente umano. Soffre per dolori terreni, come la povertà, l’arsura, la mancanza del padre, un amore non corrisposto. Cresce con la sensazione di qualcosa di cui non è consapevole, che gli giunge dagli sguardi di sua madre, intensi e a volte opprimenti. Cresce, soprattutto, in una dimensione di scarso e quasi nullo interesse per le questioni religiose. A Maria che lo vuole coinvolgere nella lettura delle Scritture, lui preferisce il laboratorio di Giuseppe, gli attrezzi e il sudore. Quando l’abbandono del padre si fa troppo duro da sopportare, non ci pensa un attimo a partire per cercarlo, abbandonando la madre sola a Nazareth.

Quello che emerge dalle pagine non è un Gesù scandaloso o dissacrante, anzi. L’umanità terrena che Calaciura gli cuce addosso fa di Gesù un personaggio vivido, forte, con il quale non si può non essere solidali. Come ha scritto qualcun altro meglio di me, è un romanzo di formazione/non-formazione, visto che il Gesù adulto che emergerà da questo giovane uomo è quello raccontato dai Vangeli in una direzione diversa da quella che questa narrazione suggerisce. Il fascino di questo libro del resto è proprio qui. Non riscrive la vita di Gesù, non la ribalta, ma riempie con un’idea chiara le pagine bianche della sua storia. E regala un personaggio letterario grandioso, anche al di fuori di tutto ciò per cui lo conosciamo. Senza negare però quello che conosciamo, perché Calaciura in questo è attento. Non è un omonimo, non è una storia alternativa, quello che ci parla dalle pagine è proprio il Gesù dei Vangeli. Solo, inquadrato quando i Vangeli non ci sono ancora.

La scrittura di Calaciura poi è melodiosa ed elegante come solo i grandi scrittori siciliani sanno fare (permettetemi questo momento di campanilismo). Tutto scorre fluido, mai una frase appare a caso, mai una parola è fuori posto, e al contempo non dà mai l’impressione di essere scarno. La vetta arriva, per me, in una scena un po’ secondaria, in cui Gesù si trova a descrivere il ruolo delle guardie di un palazzo nobiliare.

“Era il tedio della sorveglianza, la noia dell’allerta, che li pungeva, li spingeva a infliggere piccole dose di sopraffazione”.

Assolutamente da leggere.

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