Pajtim Statovci — Le transizioni — #LNP7

Salvatore Greco
LibriNonPolacchi
Published in
3 min readApr 29, 2020

Quando a inizio marzo, a Bruxelles, ho acquistato una copia cartacea di Prima di noi di Giorgio Fontana, c’era dentro una cartolina che annunciava una nuova uscita di Sellerio in quella stessa collana. L’autore aveva un nome difficile da pronunciare, il titolo sembrava interessante ma in fondo così vago da poter essere qualunque cosa, la copertina decisamente intrigante.

Nelle settimane successive, ne ho sentito parlare in lungo e in largo, tendenzialmente molto bene. Appena si è liberato uno spazio tra le letture, l’ho inserito, ho letto Le transizioni di Pajtim Statovci, pubblicato da Sellerio nel 2020 e tradotto dal finlandese da Nicola Rainò.

Statovci è un classe ’90, quindi più giovane di me di un anno, ma ha già tre romanzi alle spalle. Questo per dire che le etichette di “esordio” o “giovane scrittore” sarebbero quantomeno fuoriluogo per descriverlo. Quel che è certo, è che prima di questo libro, non lo avevo mai sentito nominare, ma per fortuna ho avuto modo di recuperare.

“Posso scegliere cosa sono, posso scegliere il mio sesso, la mia nazionalità e il mio nome, il luogo di nascita, semplicemente aprendo la bocca. Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle”.

Il protagonista de Le transizioni è un ragazzo albanese che si chiama Bujar. O meglio, potrei iniziare a raccontare il libro così se non fosse per la frase che ho appena citato. Come si può imporre identità al protagonista di un libro che non fa altro che rifuggerla per tutta la sua storia?

Certo, il nostro protagonista nasce come Bujar, maschio albanese, secondogenito di una famiglia modesta alla fine degli anni Ottanta. Suo padre è un comunista convinto, idolatra Enver Hoxha e non immagina un’Albania diversa. Sua madre è una donna semplice, ben salda dentro il ruolo patriarcale che la società albanese le ha dato: moglie devota, madre attenta, angelo del focolare.

L’Albania che leggiamo in queste pagine, attraverso gli occhi di Bujar, è un Paese ossessionato dall’identità. Un po’ per la dottrina isolazionista di Hoxha, che negli anni passati ha riempito l’Albania di bunker e fanatismo, un po’ per il destino, che capita a molte piccole nazioni circondate da vicini grossi e aggressivi, di rintanarsi dentro un’identità forte di collettività da difendere.

E così Bujar cresce nell’Albania che sta per esplodere in una crisi senza precedenti, tra suo padre morente, sua madre inerme, l’amicizia del suo vicino Agim e le aspettative sociali che gli toccano per essere un maschio albanese.

Bujar finisce per decidere di fuggire. Come sua sorella prima di lui, come molti altri suoi connazionali. Lo fa assieme ad Agim, iniziando con lui una simbiosi di destino che porta i due a condividere la povertà, le privazioni e anche una scoperta della sessualità ben diversa da quella che Bujar si era prospettato. Anche quando è nel pieno di momenti affettivi con Agim, Bujar fatica a definirsi un omosessuale, anzi un “frocio”, visto che non conosce altra voce che non quella dispregiativa con cui riferirsi all’omosessualità. La sua identità non lo ha ancora liberato. Lo farà presto, però.

Arriva prima in Italia, dove chiede asilo politico, poi si sposta in Germania e in Spagna fino ad arrivare in Finlandia. Ogni volta le transizioni di Bujar non sono solo un passaggio di confini, ma una scelta di identità. Non sempre è una scelta facile, né comprensibile, molto spesso provoca dolore a Bujar quanto agli altri. Sembra tuttavia inevitabile.

Che sia un’attraente ragazza bosniaca scappata a Berlino, un ammaliante e un po’ macho uomo spagnolo, un transessuale finlandese, Bujar è sempre in movimento, sempre in transizione, in fuga perenne da quell’Albania che aveva prefabbricato per lui un’identità opprimente dentro la quale non si sentiva affatto sé.

Sia per il modo in cui affronta la tematica della sessualità sia per l’approccio alla nazionalità, Le transizioni sembra veramente destinato a essere un libro di passaggio essenziale nel modo in cui riesce a raccontare il tema sempre più fluido dell’identità. Lo fa con una lingua incredibilmente efficace, capace di condensare emozioni in frasi brevi e pronte a esplodere, gestendo con rara efficacia ed empatia emozioni, sensazioni e substrati culturali completamente diversi.

Mentre ci interroghiamo sulle sorti dell’identità, questo scrittore trentenne le supera a grande velocità. Resteremo indietro?

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