Valeria Parrella — Almarina — #LNP3

Salvatore Greco
LibriNonPolacchi
Published in
3 min readApr 9, 2020

Per l’ennesima volta quest’anno, ho incontrato un autore (un’autrice) che per me era completamente nuova, ma che ha alle spalle una carriera letteraria più che solida. Si tratta in questo caso di Valeria Parrella che con il suo Almarina (Einaudi, 2019) è nella dozzina di candidati al prossimo Premio Strega.

Alla fine di Almarina, mi sono reso conto di un dato al quale non avevo fatto caso, ma che è di una grande evidenza secondo me. Negli ultimi sei/sette mesi di letture di narrativa italiana, le scrittrici sono in netta maggioranza. Rosella Postorino, Nadia Terranova, Viola Ardone, Igiaba Scego e ora appunto Valeria Parrella. In mezzo, soltanto Wu Ming e Sandro Veronesi. Una cosa interessante per le sorti della letteratura italiana, forse.

A ogni modo, Almarina. La storia è piuttosto semplice: Elisabetta, la protagonista, insegna matematica in un carcere minorile di Napoli. La sua è un’intelligenza spiccatamente logica, da donna cresciuta nelle scienze esatte, ma la vita le ha regalato reazioni illogiche e una sensibilità spiccata. Elisabetta è una vedova di mezza età senza figli, con un grande vuoto lasciato dalla morte del marito che non riesce a colmare. Finché non incontra Almarina, una ragazzina rumena ospite del carcere dove lei insegna. Almarina per Elisabetta è una piccola epifania. Questa ragazza che ha vissuto le peggiori privazioni, la violenza, lo stupro, la separazione dal fratello minore, ed è finita in carcere per una fesseria, diventa per Elisabetta un nuovo scopo per cui vivere.

Elisabetta la segue a lezione con un po’ più di attenzione, si dispiace quando, dopo il rilascio, vogliono impedirle di vederla, poi la raggiunge, lotta per l’affidamento e lo ottiene.

Nel mezzo, un romanzo in cui ogni piccola cosa riesce a evocarne altre cento. Gli oggetti, i pensieri e i personaggi sbocciano letteralmente per dare spazio a divagazioni lungo la storia, e attorno a essa, riempiendo le pagine di vita di Elisabetta che non fanno parte della narrazione principale. Ci consegnano una protagonista colta, brillante, un po’ testarda in certi momenti, legata al vivere faticoso della vedovanza e incapace di abbandonarla del tutto. Diffidente verso gli altri, specialmente gli uomini, anche quando ne è attratta. Paziente con i suoi studenti, ben più che le sue ciniche colleghe. Perché Almarina in fondo è anche un romanzo che getta luce sul mondo delle carceri minorili, sull’opportunità e il senso di un’esperienza del genere, e sul modo in cui lo vive chi, godendo della libertà di entrarne e uscirne, lo frequenta tutti i giorni. Ne escono pagine bellissime, molto ispirate, piene di un’umanità intensa e che aprono nel lettore la volontà di approfondire il tema eterno della detenzione.

Infine, c’è Napoli. Se c’è una cosa che mi ha incantato sopra le altre, in Almarina, è la scrittura di Valeria Parrella. Una scrittura limpida e che allo stesso tempo non rinuncia alla complessità, in grado di evocare le cose senza l’ossessione di nominarle. Una di queste è Napoli. Napoli è ovunque in Almarina, nel caffè, nel rossetto, nel mare fuori dalle grate, nel cibo e nelle parole. Scorre tra le pagine in un modo che non si può ignorare, ma che non è invadente mai. E anche se i toponimi sono pochi e gli ammiccamenti ancora meno, è un romanzo che ha Napoli dentro fino in fondo. In un modo bellissimo.

Da leggere, senza ombra di dubbio.

--

--