Recensire il recensore

Brian Lam recensisce di tutto nel suo Wirecutter e si fa comprare dal New York Times per 30 milioni di dollari. Nel frattempo vive a Honolulu e surfa ogni giorno

L’Indice Totale
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5 min readOct 25, 2016

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Il mondo dei media digitali è un mare spietato e vorticoso: immenso, tempestoso e sempre agitato. Per restare a galla e riuscire a costruire una flotta capace di salparlo devi dedicarci energie infinite.

I social hanno, se possibile, complicato ulteriormente le cose: se non ci sei sempre e costantemente, in rete scompari in poche settimane e vieni presto dimenticato.

Brian Lam l’ha capito molto bene quando ha lavorato per 5 anni a Gizmodo: per essere un’entità editoriale rilevante nel mondo tecnologico puoi scegliere due strade:

  1. devi pubblicare incessantemente ed essere aggiornato, arrivando prima degli altri sulla notizia e generando traffico (quindi facendo felici i tuoi sponsor con la visibilità del tuo sito)
  2. devi costruire e fortificare la tua autorevolezza, diventando una voce capace di esprimere opinioni, fare previsioni ed esporsi. Pubblicando articoli meno “on time” ma destinati a durare più a lungo. Pezzi da archivio, scritti di grande peso. Col rischio però di polarizzare i tuoi potenziali sponsor, che potrebbero essere disposti a finanziarti se si riconoscono nella tua linea editoriale o che potrebbero vederti come un fastidioso ostacolo. O anche ignorarti, perché no.

Alla fine, se quello è il tuo lavoro è una questione di soldi. I modi per finanziare un’attività editoriale non sono infiniti: pubblicità, abbonamenti (fin qui la barzelletta della rete, visto che pochissimi sono riusciti a monetizzare con questo modello), native advertisement. Puoi benissimo essere editore di te stesso o fondare una tua rivista o quel che vuoi, ma se vuoi guadagnarci e mantenerci un’attività devi raccogliere soldi in qualche modo.

Riassumendo e sintetizzando brutalmente, ci sono due modelli di editoria digitale (e infinite varianti e ibridazioni in mezzo, ma insomma, ci siamo capiti):

1. La fabbrica di notizie

Pubblica senza sosta, spesso notizie destinate a durare pochi giorni o poche ore. Fa molto traffico, è rivolta a un pubblico che resta pochissimo sulle sue pagine (giusto il tempo di leggere la notizia, spesso limitandosi al titolo e all’occhiello — ma intanto ha visto la pagina e gli investitori sono contenti), guadagna vendendo il suo peso in termini di traffico. Non ha una voce specifica, non esprime opinioni definite, è una sorta di megafono usato dalle aziende perché la sua potenza di fuoco è maggiore di una campagna pubblicitaria e raggiunge in maniera più specifica il pubblico di consumatori che interessa all’azienda. Si misura in numeri: quelli che fa, che son poi quelli che guarda chi decide di investirci perché hanno una qualche proporzione con il ROI che si aspetta. È una lettura però superficiale perché, almeno che io sappia, il ROI in questi casi è difficilmente quantificabile. Non è come fare una pubblicità in tv e vedere che il giorno dopo le tue vendite sono aumentate del 12,5%. Nel digitale puoi avere analitiche puntigliosissime che alla fine non ti dicono niente. È il paradosso del decimale, ebbene sì.

2. L’autorevole

Privilegia articoli più lunghi e di produzione più complessa. Fanno parte di questo genere le (costose) inchieste giornalistiche, i saggi brevi o medi, le opinioni e gli editoriali. Queste pubblicazioni non generano necessariamente volumi di traffico importanti – anche se può capitare. Però sono caratterizzate da un tono di voce riconoscibile, da un punto di vista e da opinioni precise. Hanno insomma autorevolezza.

Gli editori hanno quindi almeno due scelte commerciali: grandi volumi, argomenti generici o specifici ma trattati in maniera superficiale e senza prendere una posizione definita (le news per esempio) oppure riflessioni più meditate, opinioni, traffici più ridotti e rapporti più complessi con i brand che possono investire solo se trovano sintonia con la linea editoriale.

Tutto quanto sin qui detto è relativo ad un certo tipo di editoria ed esclude il giornalismo in senso lato. Parlo insomma di editoria settoriale o tecnica (tecnologia, sport, spettacolo ecc.).

La terza via

Poi c’è Brian che, abbandonato Gizmodo, è tornato nelle sue Hawaii a surfare e a pensare a cosa fare. Questo accadeva 5 anni fa, quando nacque Wirecutter: un sito che ospitava solo recensioni di prodotti tecnologici ma proposte in un preciso modo:

  • Autorevolezza e indipendenza di giudizio
  • Semplicità di esposizione
  • Assenza di pubblicità

È di qualche giorno fa la notizia dell’acquisto di Wirecutter e Sweethome (un sito cugino dedicato alla casa) da parte del New York Times per 30 milioni di dollari. Perché così tanti soldi per un sito che apparentemente non ha introiti visto che non fa pubblicità ed è finanziato solo dai suoi fondatori?

Perché Wirecutter e Sweethome sono finanziati dal programma di affiliazione di Amazon: se uno compra un prodotto recensito provenendo dai siti di Brian, Amazon gli riconosce una percentuale sulla vendita.

Brian insomma ha industrializzato un modello di business che già esisteva e garantiva introiti a singoli recensori, spesso nel settore librario. Ha elevato a sistema e organizzato quello che per una miriade di recensori era un arrotondamento degli introiti personali, molto spesso nell’ordine di poche centinaia di dollari. Ha concentrato questa moltitudine in un’unica entità: un portale che si occupa solo di recensioni autorevoli, puntuali, utili.

L’ispirazione era chiara ed è stata puntigliosamente attuata in questi 5 anni:

essere utili, essere autorevoli.

Chi ha usato e usa Wirecutter si ritiene sempre soddisfatto dei prodotti recensiti, segno che la qualità editoriale alla lunga ripaga sempre degli sforzi e vince sulla quantità. Perché chi fa grandi traffici (e intendo *molto grandi*) spesso non riesce a trattenere il lettore sulle sue pagine. È un mordi e fuggi: guardi il contenuto virale e poi te ne vai altrove, dimenticandoti pure dove l’hai visto.

Brian ha saputo creare un portale di recensioni ma soprattutto un rapporto fiduciario con i suoi lettori. Sanno che di Wirecutter possono fidarsi e quando devono fare un acquisto controllano se è stato recensito.

Tutto questo è accaduto lontano da New York, dalla Silicon Valley, da Londra o da Stoccolma. È successo a Honolulu, dove Brian continua a vivere, surfando ogni giorno. Non la rete: con il suo surf.

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Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com