Fenomenologia della carta igienica

Il suo utilizzo dice molte più cose di noi di quanto si possa immaginare

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3 min readOct 23, 2016

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La riflessione sull’uso della carta igienica nasce da una constatazione: per quanto sia progettata per essere separata in fogli tramite le apposite perforazioni, la procedura non è mai semplice e molto spesso si conclude con fogli malamente strappati, strappi longitudinali (invece che trasversali) e separazione della stessa nei veli che la compongono invece che nei singoli segmenti.

Quindi, mi son detto un giorno pensandoci (in bagno, ovviamente):

La carta igienica è fatta per essere separata in fogli lungo le perforazioni. Cosa che non accade mai. Ne consegue che la carta igienica è una metafora della vita: le cose non vanno mai come pianificato.

Pensandoci bene, la carta igienica è forse l’oggetto con il quale intratteniamo il rapporto più duraturo. La usiamo per tutta la vita: da quando siamo piccoli a quando crepiamo, ammesso che arriviamo a quel punto ancora in grado di pulirci da soli.

Ma è il suo utilizzo che varia lungo la nostra esistenza ed è perfettamente aderente alla visione che abbiamo del mondo e della vita stessa. Pare un’idiozia? Non credo proprio. Pensateci: da bambini ne usiamo chilometri per due motivi:

  1. non ci curiamo dell’uso eccessivo, tanto il rotolo è visivamente capace di contenere molti strappi e di porre rimedio alla più corposa produzione e poi del rispetto dell’ambiente e della limitatezza delle risorse non ce ne curiamo proprio
  2. il suo uso e abuso sono i più efficaci sistemi di misura di quanto abbiamo prodotto e di quanto potremo vantarcene con mamma e papà.

Mamma! Ho fatto la cacca! Guarda quanta!

Nell’età adulta e poi sempre più progressivamente la concepiamo in maniera diversa. Abbiamo nel frattempo acquisito una certa consapevolezza ambientalista o semplicemente non amiamo sprecarla. Iniziamo ad usarne sempre meno e in maniera più parsimoniosa. Sia perché all’approssimarsi della fine del rotolo siamo presi da una strana inquietudine, sia perché i suoi strappi sono la misura della nostra coscienza e capacità.

Meno strappi uso più sono rispettoso dell’ambiente e meglio dimostro la mia intelligenza nell’impiego delle risorse.

I rapporti si invertono: ora meno ne uso, più sono bravo. Perché da un certo punto in poi non ci interessa più mostrare ai nostri genitori ciò di cui siamo capaci (e sulla localizzazione temporale-anagrafica di questo punto della nostra vita non mi dilungherò, essendo estremamente variabile e non accadendo mai per alcuni) ma vogliamo misurarci. Sono capace di completare la procedura con 6 strappi? E con 4? 2 è roba da campionati del mondo. Perché non c’è un campionato per una cosa del genere?

Dal concetto del mondo come entità fondamentalmente estranea o indifferente del bambino, che concepisce solo se stesso al centro di tutto, ci si evolve verso una visione più responsabile. Devo usare con rispetto ciò che ho, devo pesare solo in proporzione al mio reale impatto sulle cose.

Ma in fondo la visione egoistica non è variata molto: da bambino dovevo dimostrare di fare molto, da adulto invece dimostro di fare molto con poco.

Dimostro insomma che so usare con intelligenza i mezzi che mi sono stati dati. E non c’è purtroppo nessun giudice a verificarlo, in quel bagno, dopo l’atto.

Per fortuna, aggiungo.

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Martino Pietropoli
L’Indice Totale

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com