L’opera d’arte più coinvolgente e sconvolgente che abbia mai visto

Five Car Stud di Edward Kienholz alla Fondazione Prada

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4 min readSep 19, 2016

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All’inizio non capivo dove dovevo stare di fronte a Five Car Stud di Edward Kienholz. Dovevo starne ai margini e osservarla a debita distanza, come ogni opera d’arte? Dovevo comunque non entrare nel fascio di luce proiettata dai fari delle auto che illuminavano la atroce scena di castrazione che avveniva al centro?

Eppure notavo orme umane attorno a quelle figure. Chi le aveva lasciate? Erano parte dell’opera? Erano volute dall’artista stesso? Le aveva lasciate qualcuno, magari qualche visitatore come me?

Osservavo, intanto.

Poi ho visto qualcuno procedere oltre me e, in un certo senso, profanare l’opera. Come se si potesse entrare in un dipinto rinascimentale e osservarlo finalmente tridimensionale. L’Ultima Cena, ma vista di spalle. La Scuola di Atene di Raffaello, ma vista sopra le spalle di Aristotele, girandogli attorno, osservando gli altri filosofi.

Non avevo mai visto un’opera d’arte in quel modo e Five Car Stud si presentava come un’opera d’arte composta in maniera classica: l’azione al centro, ai margini altro, che c’entra con l’azione ma non ne è il fulcro.

Alla mia destra stava un bambino, dentro una macchina. Lo sguardo fisso e pietrificato su quanto stava vedendo: una scena di castrazione di un nero, reo di essersi appartato con una donna bianca e per questo meritevole di una punizione esemplare inflitta da 5 bianchi che indossano maschere di Halloween.

Una musica in sottofondo: un bel blues cantato da una voce maschile e accompagnato da una chitarra. Usciva da una macchina, un pickup, parcheggiato a destra. La porta aperta e un uomo orrendo in piedi che ne era appena sceso: gli occhi scavati e un ghigno soddisfatto e satanico sul viso mentre osservava la scena al centro, quella che per lui era la Rappresentazione della Giustizia.

Quel nero stava avendo quello che si meritava. Dentro il pickup la donna: lei non doveva essere punita. Lei era anzi una vittima del carnefice steso al centro della composizione, gli arti bloccati da cinque uomini.

Finalmente mi decido a calcare quella sabbia e ad avvicinarmi a quelle figure. Guardo negli occhi spaventosi quel vecchio (quanti anni avrà? Magari la mia età, ma una vita di odio l’ha ridotto così, a dimostrarne il doppio) e poi giro attorno a quel groviglio bestiale di uomini con al centro il nero: ha un volto deformato dal terrore e il busto è una tanica di benzina aperta con dell’acqua che vi scorre dentro e le lettere della parola NIGGER che galleggiano sulla superficie, formando composizioni e parole sempre diverse.

Quante parole possono generare le lettere della parola NIGGER? Che colpa aveva quest’uomo?

Il fatto rappresentato in questa scena è realmente accaduto ma forse non è nemmeno importante saperlo. Potrebbe essere anche la messa in scena di qualcosa che ipoteticamente è accaduto, anche se non in quel modo.

Ci pensi mentre osservi i fasci di luce dei fari e le maschere di Halloween dei boia improvvisati e improvvisamente la prospettiva con cui guardi quella scena cambia, sconvolgendoti.

Ora non sei più un osservatore esterno. Non stai più guardando un quadro o un’installazione. Quell’opera ti ha risucchiato nell’inferno e nel caos omicida di quella notte di decenni prima. Tu ora sei un individuo che non osserva solo la scena ma ne fa parte. Ne sei anche tu responsabile: sai, hai visto e non fai niente. Non puoi fermare ciò che sta accadendo in un attimo sospeso nel tempo perché il tempo è fermo e tu ti puoi muovere. Sei dentro la foto di un delitto e quella si anima ed è tridimensionale eppure tutto è fermo. Il tuo tempo è diverso dal tempo che ti circonda. Tu sei attivo e vivo e partecipe ma quella discrepanza temporale ti rende impossibile fermare quel crimine e tanto meno denunciarlo, forse gridando, forse solo coprendo gli occhi a quel ragazzino che osserva sconvolto.

Sei un osservatore attivo ma reso passivo dall’azione. L’opera d’arte totale ti ha avvolto e ti ha trascinato nel suo stesso tempo e ti ha tolto contemporaneamente ogni facoltà. Ci sei ma non puoi fare niente e sei responsabile per questo. Sei anche tu colpevole. O informato dei fatti. Forse stai coprendo un delitto con il tuo stesso silenzio.

La musica continua. I fari illuminano la scena. Il crimine si consuma indefinitamente, da decenni ormai. Tu eri ai margini e fuori, nascosto nell’ombra. Ora sei al centro di quell’atrocità e ne sei responsabile. Contro la tua volontà, sei diventato parte di un’opera d’arte: tu e la tua impotenza.

Puoi osservare la violenza o farne parte. Non puoi mai ignorarla perché ti raggiungerà, nel grido di un uomo o negli occhi di un bambino segnato per sempre da ciò che vide un giorno, quando aveva pochi anni. C’eri anche tu. Lui sa che tu sapevi. Ora lo sanno tutti.

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Martino Pietropoli
L’Indice Totale

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com