L’Eurovision

Giorgia Olivieri
L’Indice Totale
Published in
6 min readMay 25, 2015

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La chiamano la Champions League della musica ma purtroppo è uno sport che all’Italia non piace. Ancora. E se imparassimo a conoscere l’Europa attraverso le canzoni?

di Giorgia Olivieri

La chiamano la Champions League della musica. E a giudicare dall’organizzazione, dal tifo e dall’entusiasmo dei fan, l’Eurovision non ha nulla da invidiare alle grandi competizioni sportive. Nell’ultima ora di show, quando si sfidano i vari stati partecipanti a suon di punti, questo spettacolo tiene incollati gli spettatori allo schermo con un cardiopalma degno di una partita di calcio che finisce ai rigori. L’edizione appena archiviata è stata la sessantesima e si è tenuta la scorsa settimana a Vienna. Il gran finale di sabato scorso 23 maggio ha visto il trionfo della Svezia grazie al piacente Måns Zelmerlöw, artista che è riuscito a relegare al terzo posto del podio il tricolorissimo trio de Il Volo, già vincitore del Festival di Sanremo.
Ma questa è storia recente. Di cosa parliamo quando parliamo di Eurovision?In Italia l’Eurovision Song Contest (questo il nome per intero abbreviato e hashtaggato in #ESC) è una manifestazione poco frequentata ma in realtà la competizione che vede in gara i rappresentanti della canzone europea, oltre ad essere uno dei programmi televisivi più longevi al mondo, è anche uno dei più trasmessi con numeri da record e una diffusione su tutti e cinque i continenti (secondo Wikipedia i dati di ascolto sono stimati in circa 100 milioni e 600 mila spettatori). Tanto è il desiderio di partecipare all’Eurovision di alcuni che, per esempio, l’Australia è diventata europea ad honorem ed è stata ammessa alla gara. E proprio per far bella figura questo paese letteralmente dall’altra parte del mondo ha schierato le truppe cammellate mandando a Vienna un cavallo di razza come il pluripremiato e disco di platino Guy Sebastian. Insomma, fin dall’Oceania bramano di partecipare e noi che l’Eurovision ce l’abbiamo praticamente in casa lo snobbiamo. La prima a snobbarlo è gran parte della stampa italiana che si ostina a chiamarlo Eurofestival con sommo scorno degli appassionati. Questi, benché si tratti di una nicchia, sono agguerriti come la tifoseria di una squadra di calcio. E dire che nel 1955 l’idea di una gara di canzoni viene proprio dal nostrano Festival di Sanremo (cfr. Wikipedia).
Chi tuttavia si avvicinerà all’Eurovision credendo di trovare qualcosa che risponde ad un determinato codice festivaliero a cui siamo abituati, di fronte a questo macchinone si troverà ad avere le vertigini.
Innanzitutto il ritmo è diverso. Quanto è annacquato di comici, siparietti, famiglie numerose Sanremo, qui siamo di fronte ad una vera e propria gara. Salgono sul palco 40 nazioni e allestiscono uno show di tre minuti. Via uno, sotto un altro. Non ci sono rondini di acque naturali né casi sociali da sottoporre all’attenzione del grande pubblico nè cambi d’abito o avvicendarsi di presentatore: ciascun artista o band si presenta attraverso una cartolina iniziale. Insomma, non ci sono pause sigaretta e per fare la pipì bisogna selezionare un cantante o una nazione che proprio non si ha voglia di sentire. C’è da dire che nel tempo in cui Sanremo si accinge a presentare meno della metà delle canzoni in gara, all’Eurovision ci si sta già lavando i denti per andare a letto. E poi il regolamento, altro che giurie e televoto. O meglio, ci sono giurie e televoti anche qua ma con meccanismi comprensibili all’istante solo ai laureati in matematica pura tanto che i neofiti cominciano a capire come funziona il voto quando si collega il ventesimo paese con il suo verdetto. In sintesi, il massimo del punteggio è rappresentato dai 12 punti, due parole che se pronunciate dal presentatore di turno fanno saltare sulla sedia dalla gioia la squadra che se li accaparra. Per intenderci, Il Volo ha conquistato 12 punti per ben nove volte e ha ottenuto punti da ogni paese e ad ogni annuncio i tricolori sventolavano a Vienna come neanche i Mondiali del ’90 quando segnava Totò Schillaci.
L’Eurovision è anche l’occasione di guardare l’Europa, entità impalpabile che ci sovrasta ma con cui forse non facciamo mai i conti davvero. Qui passano in rassegna gusti, stili musicali, sonorità diverse, che nella maggior parte dei casi rappresentano quello che ti aspetti dal quel paese. E anche lo stile su questo palco è qualcosa che lascia perplessi noi italiani anche perché, il resto d’Europa sembra uscito o da Beautiful o da Game of Thrones. Quando si esibisce il Montenegro con Knez (il sosia balcanico di Massimo Marone di Beautiful, appunto) in un attimo ci si trova immersi in “Gatto nero, gatto bianco” mentre l’artista francese Lisa Angell si esibisce con una solennità da Presa della Bastiglia e la band romena Voltaj sembra uscita da un circo il cui frontman sembra un domatore di leoni. E va da sé che i nostri ragazzi de Il Volo sono arrivati ad un passo dalla vittoria (terzo posto finale ma primi in classifica per il televoto) perché è come se tenessero la pizza su una mano e il mandolino dall’altra. Su una scenografia di resti romani, tre ragazzi dalla faccia pulita fasciati da splendidi completi di Armani (i migliori vestiti sul palco senza dubbio) cantavano liricamente il made in Italy esattamente come gli stranieri si aspettano. Bel canto, orgoglio della maglia, e un “grande amore”, quanto di meglio agli occhi del resto del mondo possa esportare l’Italia. Alla fine però ha vinto la Svezia con quel gran paraculo di Måns Zelmerlöw che mangiava la telecamera con il suo sorriso Durbans e strizzava l’occhio a tutte le ragazze del mondo (in realtà qualcuno di fronte ai suoi occhi celesti ha dubitato della sua eterosessualità), nonostante molti lo accusino la sua “Heroes” di essere un plagio del pezzo di David Guetta “Lovers on the sun”. In una gara così pop — potrebbe sconfinare a volte nel trash — in cui il Festival di Sanremo sembra il Premio Tenco, le somiglianze non mancano. Anche perché in una gara in cui tutto deve essere fortemente riconoscibile, è facile sentire nel brano degli austriaci The Makemakes un accenno di “Nobody said it was easy dei Coldplay”.
Ma se avessimo vinto?
In caso di vittoria, sta al paese trionfante il compito di organizzare la manifestazione per l’anno successivo. Che significa accogliere gente da tutta Europa e non solo, organizzare uno show perfetto, abbastanza lontano però da quello cui siamo abituati noi (secondo me la colpa è che ci ha cresciuti Pippo Baudo) e mettersi a lavorare già da oggi. Ma al di là di tutto, l’Expo ci ha insegnato che non siamo nuovi ai miracoli ma in questo caso l’operazione vera sarebbe stata di carattere culturale. Sì perché in Italia i più non sanno di che cosa si tratti e questo probabilmente avrebbe scolorito il clima di festa che di solito caratterizza l’Eurovision. A Vienna, per dire, anche le maniglie delle porte dei ristoranti ti ricordavano che eri dentro l’Europa canora con gente che andava in giro sventolando la propria bandiera fiera di esserci. Il clima è davvero quello degli Europei di calcio ma senza tensione o bottigliate. Al massimo le diverse tifoserie si scambiano sorrisi e strofe di canzoni.
Sarebbe bello un giorno ospitare l’Eurovision Song Contest, portare questo linguaggio anche qui, facendo entusiasmare il pubblico per la musica, togliendo la puzza sotto il naso a chi ce l’ha, per godersi una settimana di uno spettacolo che nulla ha da invidiare al calcio. E per imparare a familiarizzare con l’Europa, passando per ritornelli facili e fanta-teorie geopolitiche degne di un Risiko dove si piazzano microfonini e 12 punti e non carrarmati.
In fondo quelle che si sentono all’Eurovision potrebbero non essere solo canzonette.

Consigli per i più snob
Ascoltatevi le canzoni della lettone Aminata e del belga Loïc Nottet, loro per questa edizione hanno giocato davvero un altro campionato. Se invece volete trovare nuovi pezzi da cantare col telefono della doccia, il mio gusto suggerisce, oltre al vincitore: gli estoni Elina Born & Stig Rästa, la pandorona serba Bojana Stamenov, la Marilyn russa Polina Gagarina, i lituani Monika Linkyte e Vaidas Baumila (tra i miei preferiti), Mørland & Debrah Scarlett, la slovena Maraaya e il più dance di tutti, l’israeliano Nadav Guedj con il pezzissimo Golden Boy: in questo caso impossibile stare fermi.

Questo il canale ufficiale di Youtube in cui poter spulciare tra le esibizioni. Potrebbe esserci il vostro nuovo cantante preferito.

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Giorgia Olivieri
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Giornalista, scrive quello che vede come se fosse al bancone del bar. Marchigiana, vive a Bologna da troppo tempo.