Snapchat, mi stai simpatico

È il social del momento (da almeno 4 anni) ed è meno banale di quanto sembri

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5 min readJun 28, 2016

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Come molti 40enni ho scaricato, aperto, guardato perplesso, chiuso e disinstallato Snapchat almeno 3 volte prima di decidermi ad usarlo.
La prima volta che lo usi infatti ti appare la camera: puoi scattare o fare video. Non c’è altro, almeno finché non arrivi alla schermata dove trovi le storie di chi segui e la sezione Discovery, dove ci sono snap curati da diversi media (Mashable, National Geographic, CNN, tutti o quasi americani per ora). Le storie di chi segui e quelle dei media si presentano in maniera abbastanza simile: pochi o nessun testo, molte animazioni, icone e un certo tono informale.

Con Snapchat puoi fare foto o video, aggiungerci testi o icone animate, metterti facce con il face mapping (cioè puoi diventare un cane o un mostro che sputa fiamme — una cosa che trovo più interessante dal punto di vista tecnico che in sé, anzi la trovo alquanto irritante dopo i primi 3 secondi ma ok, così è per me). Puoi seguire persone ed essere seguito. Puoi seguire celebrità o persone comuni, puoi entrare nelle vite altrui o almeno in quel simulacro di vita che quelli decidono possa essere resa pubblica (le distorsione della realtà che i social permettono sono bene o male riproducibili anche in Snapchat, ma fino a un certo punto).
Puoi infine usarlo come una chat privata. A differenza di tutti gli altri sistemi di istant messenging però i suoi messaggi si cancellano dopo essere stati letti e gli snap pubblici vengono eliminati dopo 24 ore.
Riassumendo: con Snapchat puoi scrivere privatamente ad altri, puoi pubblicare foto o video, puoi leggere o guardare storie prodotte dai media.

Perché mi piace

Si dedurrà da quanto scrivo che ora lo uso e mi diverte. In genere ho un criterio infallibile per capire se uno strumento è utile o interessante: se mi offre modi per essere creativo che non erano previsti dai suoi ideatori allora ha delle potenzialità ed esplorarlo mi interessa. Nel mio caso Snapchat mi ha liberato da una certa timidezza nel parlare ad una telecamera e dal controllo maniacale che ho per la qualità delle immagini. Quando pubblico foto o disegni voglio che siano come dico io e secondo i miei standard. Con SC non puoi editare i contenuti che pubblichi, salvo usare qualche filtro (pochi) o aggiungerci icone o testi. L’immediatezza è premiata e centrale. Quindi il pensiero che fai più spesso usandolo e pubblicandoci qualcosa, prima di pigiare il tasto SEND, è “Ma sì, chissenefrega”. Deprimente? No: liberatorio.
I profili più interessanti da seguire sono infatti quelli che hanno qualcosa da dire e lo sanno dire bene, negli 8 secondi a disposizione per ogni snap. Pochi? È la soglia di attenzione dell’homo erectus nel 2016, siamo onesti.

C’è un’altra cosa che mi piace di SC (e che spero rimanga così per sempre): le interazioni fra gli utenti non sono visibili. Uno non può sapere chi segue un altro e a malapena (ma non ho capito come si fa) può sapere quante persone lo seguano. L’unica informazione che SC fornisce è quali persone hanno visto un determinato snap. Dal punti di vista dell’engagement è la perfezione perché mette fuori gioco i millantatori del social e quelli con miliardi di follower con cui non interagiscono o che se ne fregano altamente di quanto fanno o dicono.
Me ne sono reso conto leggendo i commenti a un articolo che lamentava il fatto che SC è troppo evanescente e che, non permanendo i contenuti, non permette di costruire un’immagine di sé e di comunicarla efficacemente. Per molti versi SC è un’araba fenice della comunicazione che risorge ogni 24 ore dalle proprie ceneri. Di quanto è stato 24 ore prima resta solo un’ombra e un ricordo (ma resta, e non è un argomento marginale). Chi se ne lamenta dice appunto che “Così non riesce a trovare e a parlare con il proprio pubblico” e stiamo parlando di individui, non di televisioni o radio o della Coca Cola. Di persone che parlano come fossero degli editori, impersonali e distanti, che parlano da un pulpito. Amichevolmente: tranquilli ragazzi, tornate fra di noi.

Al di là della libertà espressiva che concede, SC libera anche dalla tirannia dei numeri di follower con cui molti hanno costruito fortune negli anni passati, esibendo numeri importanti in termini assoluti e spesso inconsistenti nella realtà. Se devi venderti a scopi pubblicitari su SC (e intendiamoci, non c’è niente di male) i numeri che puoi esibire sono solo quelli di chi effettivamente visualizza quanto mostri. Cosa che si può fare anche con Facebook o Twitter, d’accordo, ma che si guardano bene dal fare quelli che tendono a mostrare una forza che realmente non hanno (sì, li digerisco malissimo i suddetti).

Supremazia del concetto di permanenza latente della memoria

(è un titolo bello e basta, significa solo che di SC resta la memoria e l’impressione, mentre i contenuti evaporano)
L’argomento più forte contro SC è, appunto, che non resta traccia di quanto viene pubblicato. Ho come l’impressione che per molti (bene o male sempre gli stessi di prima) questo significhi che non possono così erigere l’ennesimo monumento al loro ego ipertrofico. Quello che invece resta è la memoria di quanto hai visto, il modo di comunicare delle persone. Il “tone of voice”, come direbbe qualcuno. Il modo in cui parli o fai foto o fai video, quelli restano, eccome. Magari come un alone, un profumo, ma restano.

Se non riesci a lasciare alcun ricordo o alcuna visione di vita o anche una semplice immagine di te, magari impressa impalpabilmente su qualche retina, non puoi prendertela con Snapchat. Forse non hai niente da dire o quel che dici è simile a quel che dicono altre migliaia di persone quindi, alla fine, inutile e superfluo. Il che vale anche per me e per tutti, certo. Solo che adesso non c’è altro di cui parlare se non ciò che pensiamo e non i numeri immaginari e cabalistici, le portate, le impressions e gli influencer e tutta la fuffa social di cui si può sinceramente e finalmente fare a meno.

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Martino Pietropoli
L’Indice Totale

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com