Sono stato 48 ore in Clubhouse

Com’è il nuovo social di cui tutti parlano (e questo articolo andrà riletto fra un anno)

L’Indice Totale
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6 min readFeb 1, 2021

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Non percepivo questo entusiasmo per un nuovo social network da anni, forse da Snapchat (c’ho messo un paio di minuti a ricordarmi come si chiama, interessante): Clubhouse è la novità di cui tutti parlano questa settimana, e per la visione ombelicale che abbiamo nei tempi correnti, pare che ne parliamo da mesi. Allora riporto le cose alla giusta dimensione:

In Italia se ne parla da 7 giorni, negli US forse da 3 settimane. Azzardo, non credo molto di più.
Giorni insomma, non mesi o anni.

Cos’è, per chi ancora non lo sapesse

Clubhouse è un’app — per ora solo per iPhone — che permette di parlare in stanze a tema (rooms). Per ora è solo a invito e quindi devi conoscere qualcuno che ti ci fa entrare con un sms (si usa quindi il proprio numero di cellulare).

I temi sono i più vari, ogni utente può iniziarne una, ogni stanza ha un moderatore che dà la parola a chi alza la mano (cioè schiaccia il tasto “alza la mano”) che da quel momento in poi diventa uno speaker che può salire sul palco virtuale e parlare. Dove resta se si comporta bene e dice cose in linea con quelle stabilite dal moderatore, che può cacciarlo via (cioè togliergli la voce). Poco democratico? Direi che di democrazia e opinioni espresse senza competenza e con troppa libertà in questi anni ne abbiamo già fatto indigestione e poi no, non è un parlamento, è giusto che chi modera possa togliere la voce (“Uh, antidemocratico, buuu” — chissenefrega)

Ho frequentato una decina di stanze, in una sola sono intervenuto su invito del moderatore (l’amico roccorossitto) e nelle altre ho ascoltato e basta.

La struttura della conversazione è radicalmente diversa da qualsiasi altra si svolga su altre piattaforme e per un semplice motivo: è moderata. Inoltre:

  • è solo vocale (puoi solo parlare, non esiste chat testuale né messaggistica privata, almeno per ora)
  • è sorprendentemente serena ed educata — ma di certo degenererà, l’essere umano sa toccare vette abissali di idiozia e di perversione
  • si parla uno alla volta e non ci si può sovrapporre, se per caso uno interrompe un altro o un’altra chiede scusa. Sembra di essere in un club molto elegante e a modo. Ma forse sono capitato in stanze civili, ci sarà modo per far collassare con calma e metodo un sistema che ora pare idilliaco da tanto funziona bene.

Che discussioni si fanno

Di qualsiasi tipo: io ne ho seguite di cucina, su Instagram, su marketing hacks, su milionari (o sedicenti tali) che parlavano di come spendere un milione di dollari. In una stanza aspettavano la room di Elon Musk (da lui annunciata su Twitter) come se aspettassero il Messia, iniziando a parlarne in 1300 persone 8 ore prima che Elon andasse live (mentre scrivo non è ancora successo, se mai succederà: il messia si manifesterà entro qualche ora, se si manifesterà). La creatività è senza limiti e quindi alcune discussioni sono futili e inutili, altre molto interessanti.

Perché è diverso dagli altri social network

Per prima cosa, ed è ovvio, è perché è solo audio. Non ci scrivi, non ci pubblichi video. La tua faccia o il tuo seguito altrove (su altre piattaforme) non conta niente. Se non hai già un nome di qualche rilievo pubblico parti da zero e con strumenti e potenzialità diverse che altrove: conta solo quello che dici e pensi. Il che non toglie che puoi anche ascoltare e basta, senza cercare alcun riscontro personale. Perché in verità di discussioni interessanti e fatte da persone competenti che normalmente potresti sentire parlare solo in conferenze o in eventi specifici ce ne sono molte. L’aspetto che ti sorprende da subito è la soglia di accesso molto bassa: nella prima room in cui sono entrato (3 giorni fa, sembrano 3 anni fa) c’era Luca Bizzarri che parlava molto rilassato con altre persone amiche. Io ho ascoltato.

In Clubhouse non ti devi mostrare, non devi fingere. Eppure è ancora più spietato perché, come dice Gianmarco Altieri, per interagire ed “esserci” devi essere ben apparecchiato nella testa. Devi pensare bene ed esprimerti meglio, con una certa eleganza estetica.

La differenza sostanziale è che permette un utilizzo passivo. Per capirci: leggere il feed di Twitter o di Facebook — anche senza scriverci niente e senza interagire— è un’esperienza passiva con una componente attiva (devi leggere, quindi sei obbligato a tenere in mano il cellulare e scorrere la timeline) mentre in Clubhouse puoi anche solo ascoltare facendo dell’altro. Io per esempio l’ho usato ascoltando molte discussioni cucinando o correndo. Il cellulare stava in tasca e io facevo altre cose.

È un po’ come ascoltare una radio in cui parlano e basta ma di cui decidi tu il palinsesto.

Fare una sola cosa, farla bene

Per certi versi Clubhouse accoglie una tendenza che mi auguro diventi sempre più forte nei tempi a venire: quella di fare una sola cosa e farla bene. L’esperienza su altre piattaforme si fraziona fra contenuti diversi fra di loro: video, testi, immagini, pubblicità. Ci sono molto rumore e disturbo.

Quella in Clubhouse — almeno per ora — è molto circoscritta e definita e permette una focalizzazione migliore. Al suo interno puoi fare solo una cosa, o meglio due: puoi parlare o ascoltare.

Chi c’è (per ora)

Quando e se riesci a entrarci ci trovi alcune celebrità che da sempre vengono arruolate nelle nuove app per trascinarci dentro altri utenti normali e creare interesse attorno alla novità. Il fatto che ci siano celebrità e che interagiscano e parlino in maniera molto rilassata (come Bizzarri, poco sopra) è dovuta anche a un fatto tecnico: le discussioni non vengono registrate per motivi di privacy, quindi ci si sente in un certo senso protetti, specie se sei una personalità che deve stare attento a tutto ciò che dice.

Poi ci sono gli early adopter. Che, parlando di mondo digitale, in genere sono persone che lavorano già da quelle parti: influencer, marketer, geek vari. Di loro non ho potuto non notare le bio dettagliatissime che, considerando la giovane età media degli stessi, stupivano perché gli mancava solo di essere stati presidenti degli USA per almeno due mandati. Ma questa è solo una nota divertente.

Diciamo che attorno a questi nuovi strumenti digitali si forma subito un interesse quasi ossessivo di quelli che individuavano subito una nuova preda. Ci sono room in cui si parla di come crescere (in termini di seguito e popolarità) su Clubhouse. Moderate da gente che ci sta da 4 giorni. Evidentemente l’anzianità là si misura in ore e c’è già chi è pronto a scrivere guide e dispensare consigli.

È interessante notare come questa fauna non manchi mai: la considero un’espressione di quelli che studiano i sistemi e le loro debolezze per fotterli, non per produrre qualità. Son quelli che ti dicono come ottenere like su Instagram o seguito nella tua pagina di Facebook sfruttando i vulnus dei sistemi invece che facendo qualcosa di bello. Ma questa è una nota personale e polemica, o personalmente polemica.

Ne parleremo ancora fra un mese?

E chi lo sa. Già ne stiamo parlando come se esistesse da mesi e in verità, come dicevo all’inizio, “sta succedendo” da pochissimi giorni.

Per ora posso solo dire che, scegliendo con cura e in base agli interessi le discussioni, l’ho usata con piacere e giovamento. Ho imparato cose nuove e immagino che tante altre se ne possano imparare. Clubhouse Italia ha già un palinsesto giornaliero e non è escluso che possa strutturarsi come un insieme di emittenti che raccolgono personalità capaci e competenti che parlano di qualsiasi argomento, secondo una programmazione puntigliosa e completa.

Una specie di insieme di radio tematiche in cui gli ascoltatori possono intervenire diventando a loro volta speaker, se ammessi a parlare.

Le potenzialità commerciali ci sono: prima o poi verrà introdotta una forma di monetizzazione, anche se gli ideatori escludono quella della pubblicità, che del resto sarebbe quasi impossibile da implementare in una piattaforma che prevede un flusso ininterrotto di parole (interrompi una discussione con uno spot? Non mi pare fattibile). Più probabile che facciano pagare una sottoscrizione o che rendano alcune stanze (strutturate in club veri e propri) a pagamento. Per certe tematiche che richiedono competenze specifiche e che si strutturano come servizi di consulenza veri e propri non è escluso che succederà così, anzi è quasi logico.

Per tutto il resto: ne parliamo su Clubhouse, dove in verità non parlo. Ascolto, per ora. Poi, fra 2 giorni o 2 ore, chissà. Magari me ne sarò già scordato.

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Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com