The Crown, non un’agiografia

La mia storia di amore e disillusione con la monarchia

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5 min readNov 22, 2016

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Ho iniziato a guardare The Crown su Netflix con nessuna aspettativa particolare, se non forse quella di annoiarmi. Non mi interessa molto la Monarchia Inglese, penso che abbia occupato anche troppo spazio sui media e comunque abbia impegnato troppo del mio tempo. Ma volevo darle un’altra chance, o semplicemente ho iniziato a guardare The Crown e non ho più smesso.

The Crown è la storia della regina Elisabetta, in carica da 500 anni circa, o comunque da tutta la mia vita (e anche prima, se è per questo). Voglio dire: per chi è della mia generazione “La Regina” ed Elisabetta sono termini intercambiabili. La Regina è l’incarnazione delle nostre favole da bambini, quando lei prima era principessa e sposa il principe e muore il vecchio re saggio e loro gli succedono e sono ovviamente bravissimi giustissimi e ississimi.

Il Re e la Regina erano come i nostri migliori e più bravi compagni di classe: buoni, giusti, ricchi e attenti ai più deboli e pure simpatici e comprensivi quando serviva. Solo che i nostri compagni di classe più bravi (almeno quelli che non erano infami e non passavano i compiti) non governavano su alcun regno che non fosse la loro cameretta.

Insomma: re e regine erano il meglio dello spirito umano sublimato e astratto, perché in realtà non esistevano.

A parte Elisabetta.
In un regno nemmeno tanto lontano e che esisteva sulle carte geografiche appese nelle nostre classi, c’era un luogo mitico chiamato Gran Bretagna o più semplicemente “Inghilterra” in cui c’erano ancora un re e una regina. O meglio: una regina, perché era lei la più potente e quella che contava, il marito non era re e non si sapeva perché. Era scemo forse? Lo scoprimmo poi.
Le favole avevano smesso di essere tali e diventavano cronaca.

Io e la monarchia non ci siamo più frequentati per anni, anche se lei non lo sapeva. Aveva altro a cui pensare: principesse schiantate in un sottopasso parigino, adulteri, seconde nozze, figli e nipoti scapestrati. I libri della mia infanzia erano diventati un rotocalco scandalistico e forse non gliel’ho mai perdonato.

(sto parlando solo della monarchia e per niente di The Crown)
(pazienza)

Comunque: con questo spirito ho affrontato The Crown. E mi sono dovuto ricredere.

Una biopic sulla monarchia è ad altissimo rischio agiografia o anche il suo opposto. Potrebbe trattenere così a stento il disprezzo dei suoi autori per l’istituzione monarchica da essere persino ingiusta nella ricostruzione storica. Ma non è il caso di The Crown che è stupefacentemente ben fatto, pure nel trattamento fotografico che ha qualcosa di sbiadito tanto da farti pensare di guardare vecchie diapositive trovate in garage ma non tanto da risultare stucchevole. Non si tratta di un viraggio che asfalta qualsiasi sfumatura e spessore dell’immagine, ma che invece crea benissimo l’illusione di un’atmosfera.
Ed è così ben fatta al punto da non cedere ad alcun compiacimento verso la biografia di questi notevoli personaggi. Non inventa per esempio situazioni o dialoghi che sembrano impossibili. È lieve nel descrivere la vita privata della famiglia reale — pur descrivendola in ogni suo snodo significativo. Voglio dire: ci sono dialoghi fra Elisabetta e il marito Filippo chiaramente inventati ma pur tuttavia credibili. Loro non parlano come un codice miniato del 300, loro dicono anche qualche parolaccia, loro sono animati da passioni e sentimenti.

Essi vivono, essi sono come noi.

Ma in questo sarebbe ancora un’agiografia no? Un po’ più sottile e intelligente ma pur sempre un’agiografia.

Invece la scrittura di The Crown ha un’impaginazione completamente diversa e si concentra quel tanto che è giusto sulle vicende personali e molto di più su quelle politiche: i rapporti della regina con Winston Churchill (un monumentale, perfetto, sublime John Lithgow), i rapporti con la sorella Margaret (proiettati comunque sullo sfondo sociale e politico), l’amore tenero per il padre da cui eredita l’acume e la passione politica, e anche e non ultimo la relazione con Filippo, sempre descritto dalla letteratura come un amabile idiota e che invece è ritratto come un padre attento e un buon marito (e buon consigliere).

The Crown è un’opera che non a caso prende il nome da un’istituzione e dall’astrazione che la rappresenta e non dalla regina stessa. Non si chiama “The Queen” perché non parla di una donna ma di una corona e di cosa significa portarla in testa.

Elisabetta ripete spesso quello che le ha insegnato la nonna: che compito di una regina è dare il silenzio per permettere agli altri di brillare. E quando la sorella Margaret la accusa di non far brillare la monarchia lei replica “Esatto, la monarchia deve brillare, non il monarca”.

Questa interpretazione mi ha riconciliato con l’immagine che avevo da piccolo di re e regine (verso i quali, ammetto, non avevo più dedicato alcuna attenzione per decenni): persone privilegiate che vivono in una condizione di totale scollamento dalla realtà e che godono di poteri e ricchezze che non hanno meritato se non per il fatto di essere nati da quei genitori. Che a loro volta erano nati da altri genitori ecc. ecc.

Quando Elisabetta diventa regina abdica simbolicamente al suo ruolo privato. In quanto regina non deve avere opinioni, non deve orientare nessuno, non deve influenzare il popolo, i politici, la chiesa. Nessuno. Il suo ruolo è quello di essere l’incarnazione della silenziosa immutabilità in un flusso storico in cui tutto cambia: scoppiano guerre, crisi economiche, si avvicendano governi, i costumi si rivoluzionano.

Ma la Regina resta sempre la Regina. La monarchia è un monolite che non viene scalfito dal mutare della realtà. La Monarchia è irreale.

Per essere tale la regina deve imparare a diventare distante, irreale appunto. Perché il suo ruolo è quello di essere un faro, una certezza. E questo spiega il distacco che lei ha sempre manifestato in pubblico, rotto solo da alcuni rari sorrisi a mezza bocca, da qualche cappellino vezzoso o dai suoi abiti che coprono tutto l’offerta del catalogo Pantone. Lei comunica così: con i colori e con minimi gesti perché il suo è un alfabeto ridotto all’essenziale e quindi spesso incomprensibile.

The Crown non racconta più di tanto la vita privata della famiglia Windsor. Usa elementi privati per contestualizzare ma riesce invece a rendere più umana una figura di donna, cosa rarissima ormai, che considera il rispetto di un’istituzione e del suo simbolo — la corona appunto — come un’espressione suprema di civiltà. E che è al servizio del suo popolo proprio indossandola.

The Crown è la storia di una corona che indossata trasforma un essere umano. La Regina non brilla per la corona che ha in testa: è la corona a brillare e questa è la sua storia.

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Martino Pietropoli
L’Indice Totale

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com