Discover Gingerly: Introducing Ed From Space

Per fan di Jeff Buckley, John Mayer e Radiohead.

Federica Carlino
listengingerly
5 min readSep 26, 2018

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Ed From Space — Eduardo Kirschbaum

Se usate Spotify di frequente, probabilmente saprete cosa fa la playlist Discover Weekly. Ogni 7 giorni, l’algoritmo del servizio di streaming invia a ogni suo utente una selezione di canzoni in linea con gli ascolti precedenti. Una bella idea, no? Se non fosse che, essendo l’opera di un computer, raramente trova tracce che possano piacere a quegli ascoltatori che ogni giorno esplorano alla ricerca di cose nuove, senza chiudersi nei limiti di un solo genere. A volte però ci prende. Ad esempio, la scorsa settimana, tra una marea di standard jazz inflazionati e cantautori che avevo già avuto il piacere di sentire distrattamente, c’era un ragazzo con una bellissima voce su un groove molto funky, che mi ha fatto ascoltare con attenzione.

Quell’artista era Ed From Space, nome d’arte di Eduardo Kirschbaum, con il quale ho fatto una piccola chiacchierata via Facebook, in cui mi ha raccontato come è passato dal praticare un malsano tipo di headbanging (che non aveva nulla a che fare con la musica metal) all’avviare una promettente carriera da musicista.

Come al solito, premete play prima di leggere la sua storia.

You can also read this interview in English, if you like.

Eduardo Kirschbaum’s EP “From Space, Butterflies!”, released in 2016

Quanti anni hai?
— Ne ho 22.

Da dove vieni e dove vivi al momento?
— Sono nato a Miami, in Florida, ma sono cresciuto e ho vissuto tutta la mia vita a Lima, in Perù. Al momento vivo a New York, dopo essermi laureato al Berklee College of Music in Contemporary Writing & Production and Performance.

Come e quando hai iniziato a suonare?
— È una storia buffa. Da bambino avevo l’abitudine di sbattere la testa contro i muri. Per aiutarmi a smettere, mia madre mi ha fatto seguire una terapia psicomotoria e delle lezioni di cajon peruviano. Mia nonna suonava il piano, prima che io nascessi, e quando ha smesso il suo pianoforte è arrivato a casa mia. Mi piaceva il suono e nei dieci minuti finali di ogni lezione di cajon, chiedevo al mio insegnante di suonare per me ed insegnarmi qualcosa. Avevo 7 anni, e due anni dopo ho iniziato seriamente a prendere lezioni di piano. Poi sono passato alla chitarra, al basso, alle lezioni di canto e allo scrivere musica mia. Volevo suonare tutti questi strumenti perché li avevo sentiti nella musica che mi piaceva e volevo capire davvero e immergermi in quel fantastico universo parallelo.

E che musica ascoltavi?
—Non so se ricordo con precisione cosa ascoltavo. Solo la radio e le colonne sonore dei videogiochi a cui giocavo, specialmente The Legend of Zelda! Mia madre amava la musica classica all’epoca, quindi forse anche un po’ di quella. Poi ho scoperto i Pink Floyd, Jimi Hendrix e dopo ancora John Mayer, che mi ha avvicinato al mondo della chitarra.

Nel 2016 hai registrato e pubblicato un EP intitolato “From Space, Butterflies”. Quanto ti ci è voluto per scriverlo e come hai conosciuto il co-autore e produttore David Chang?
— In realtà ho iniziato a scrivere alcune di quelle canzoni nel 2014. Dato che non avevo mai registrato un album prima di allora, in pratica ho messo insieme un po’ di idee vecchie con delle cose nuove. “Leave It Alone” e “Light” sono state scritte appositamente per l’album, alla fine del 2015. Ho incontrato David all’inizio del 2014 grazie ad un’amica comune, la sassofonista Carolina Araoz, che ci ha presentato perché io stavo cercando un produttore che mi aiutasse a pubblicare la mia musica. Lui mi ha completamente cambiato e mi ha aiutato a crescere in modo incommensurabile. Fare musica con lui è stata un’esperienza catartica. In alcuni casi mi ha fatto più da psicologo che da produttore.

Leggendo i testi delle canzoni, sembra che tu l’abbia scritto in un periodo difficile. Cosa ti ha ispirato?
—Stavo attraversando un periodo di cambiamenti, dovevo trasferirmi in un nuovo paese per studiare. Ero diventato più sensibile al mio ambiente, specialmente alle relazioni con la mia famiglia. Alcune situazioni hanno generato in me dei sentimenti molto profondi e intricati, che per me erano come spine conficcate, che ancora dovevo riuscire a togliermi di dosso.

Di cosa parla “Blue Blood”?
—Difficile da spiegare! Quella canzone non racconta necessariamente una storia, né viene da esperienze concrete. È più che altro una memoria di alcune emozioni che mi hanno colpito all’inizio del 2014. Ricordo che in un primo momento non sentivo molto: ero internamente apatico e avevo praticamente ibernato la mia vita. Parla di quel periodo della mia vita.

Perché hai deciso di usare lo pseudonimo Ed From Space?
— Amo la concezione dello spazio e sento che alcuni elementi della mia musica sono in un certo senso ispirati da quell’immaginario. È da lì che ho dato il titolo al mio EP. Quando ho formato un gruppo al Berklee, l’ho chiamato Ed & The Space Butterflies, perché suonavamo le tracce del mio progetto. Poi la musica ha iniziato a cambiare e un giorno il batterista mi ha raccontato la storia di un ragazzo che conosceva, che veniva chiamato dal padre “tizio (non ricordo il nome) dallo spazio”. Il resto è piuttosto ovvio.

Il tuo ultimo singolo si chiama “Mating Ritual” ed è più funky della tua precedente pubblicazione. Sarà quello il sound del tuo nuovo progetto?
— Sì! Ho deciso che voglio suonare musica che sia non solo sincera e autentica, ma che faccia anche bene alle ossa e faccia venire voglia di ballare!

Quando uscirà?
—Al momento lo sto registrando e spero che esca nei primi mesi del 2019.

È auto-prodotto o sei sotto etichetta?
—È auto-prodotto, ma ho l’onore di lavorare con un piccolo meraviglioso team di persone che mi stanno aiutando a realizzarlo.

A quali artisti paragoneresti la tua musica?
— Amo i Radiohead e D’Angelo. Non so se posso paragonarmi a loro, dato che devo ancora fare tanta strada, ma prendo molto da entrambi.

Io ho immediatamente sentito nella tua musica una somiglianza con il modo di cantare e di scrivere di Jeff Buckley e il sound della chitarra di John Mayer, oltre alle sperimentazioni dei Radiohead, che hai giustamente citato. Ti piacciono anche loro?
—Sono decisamente un fan della loro musica! John Mayer mi ha insegnato tanto su come suonare la chitarra e come scrivere, e John Buckley è fottutamente mitico!

Se la tua musica potesse essere sincronizzata in un famoso film di un noto regista, quale vorresti che fosse?
— Anche se non credo che la musica che ho pubblicato possa andare bene con lo stile dei registi che amo, mi piacerebbe comporre musica originale (un’altra delle mie passioni) per i film di Denis Villenueve, Richard Linklater and Guillermo del Toro!

Ultima domanda. Mi puoi suggerire altri due artisti nuovi da ascoltare?
— Te ne dico tre!
1. Números Primos
2. Assassin of Youth
3. AJNA

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Federica Carlino
listengingerly

freelance music journalist and passionate music supervisor