Discover Gingerly: Neal Sawyer e la purezza della vulnerabilità

Per fan di Iron & Wine, Leonard Cohen e Nick Cave.

Federica Carlino
listengingerly
12 min readJul 25, 2019

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PH by Charlotte Tarbuck

Qualche tempo fa, sulla pagina Instagram di Listen Gingerly, mi è arrivato un messaggio. Era di Neal Sawyer, un artista emergente che mi chiedeva di ascoltare il suo album e di fargli semplicemente sapere cosa ne pensassi. Se già il titolo, Ballads of the Mortal, mi aveva colpito, il resto è stata una piacevolissima scoperta folk, che vi presento oggi con questa lunga intervista. Ma prima, come sempre, cliccate play e ascoltate attentamente.

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- Come hai iniziato a suonare e a comporre musica?

Per quanto riesca a ricordare, sono sempre stato circondato da musica. Mi hanno fatto ascoltare Led Zeppelin e Smiths, tra gli altri, sin dai miei primi anni di vita. Mi è stato detto da una fonte autorevole che il mio nome viene da Neil Young.

Quando ero piccolo c’era un pianoforte a casa, che ancora si trova lì. Nessuno lo suonava, ma era come un invito aperto. Mio nonno era un bravissimo pianista e nel mio sangue scorre un’eredità musicale fortissima. Un Natale mio fratello ha ricevuto una chitarra elettrica e un amplificatore ed io lo guardavo estasiato. Potrei aver avuto delle furtive opportunità di provarla davanti allo specchio e di pizzicare una corda quando avevo 11 anni. Mi ha sempre attirato, la chitarra. Mi sembrava una cosa da ribelle. All’età di 12 anni ho assistito al mio primo concerto, gli Oasis, alla NIA di Birmingham. E forse è stata quella la svolta decisiva.

All’epoca ero molto concentrato sul calcio, giocavo anche ad un livello abbastanza alto, ma dopo essermi fatto male al ginocchio ho iniziato a studiare chitarra sui libri, provando a suonare sui CD e quando sono riuscito a fare un’intera canzone ho gioito come un calciatore. Da quel momento in poi ho iniziato a scrivere e ad aggiungere sempre più accordi nella mia armeria. Ho scritto la mia prima canzone a 15 anni, si intitolava Tomorrow is my Destiny ed era estremamente mediocre. Da allora, prendendo coscienza della mia evoluzione come cantautore, ho scritto centinaia di canzoni. Scrivere è diventata una parte della mia vita quotidiana. Ho capito che, in qualsiasi circostanza, mi metterò sempre a scrivere. Qualche anno fa ho preso anche lezioni di piano, che hanno migliorato di molto la mia comprensione musicale e quel pianoforte di cui sopra adesso riceve molte più attenzioni.

- “Ballads of the Mortal”, perché hai scelto questo titolo per il tuo album di debutto da solista?

A parte il fatto che mi sembra suoni bene e alcune delle canzoni ruotano attorno al concetto di mortalità, ha un significato molto più profondo. È difficile capire che siamo tutti creature mortali, però al tempo stesso se nessuno di noi è un essere divino e tutti gli esseri umani devono morire, almeno possiamo dire di appartenere tutti a questo mondo come fossimo una cosa sola. Una ballata sembra il modo giusto per parlare di sentimenti, e credo che ‘Ballads of the Mortal’ possa spiegare bene l’unità della razza umana.

- Hai iniziato la tua carriera come membro di un quartetto psycho-garage, che aveva un suono completamente diverso dal tuo progetto attuale. Come è avvenuto questo cambiamento?

Guile era per lo più un’entità live. Facevamo concerti su concerti, e io lavoravo persino in un locale per avere la possibilità di studiare gli altri gruppi e la reazione del pubblico. Andare su un palco significava attirare l’attenzione essendo d’impatto e provare a mantenere quell’immagine per tutto il set. In un certo senso, riuscirci è una forma d’arte. Quando abbiamo registrato ‘Alone on the West’ volevamo catturare quell’energia che avevamo dal vivo. Col senno di poi, suonerei solo le canzoni che funzionavano meglio dal vivo. All’inizio volevo registrare anche un secondo album dei Guile, e pensavo che ci avrebbe fatto evolvere. Ma quando alcuni membri del gruppo hanno iniziato ad andarsene, mi sono ritrovato da solo davanti ad un bivio con una serie di decisioni difficili da prendere. L’unica certezza era che avevo bisogno di fare musica. Ho ricevuto tante telefonate da altri musicisti, che mi chiedevano di continuare, ma dovevo uscire dal giro per un po’ e ho trasformato questa situazione in un’opportunità. Da musicista, dovevo imparare ad autoprodurmi per problemi di sostenibilità. Così ho iniziato a registrare un album, ma avevo così tanta nostalgia che è diventato un peso. Ho imparato a considerare ‘Alone on the West’ come un punto di riferimento da cui evolvere. Amo i Guile, non solo perché sono stati una parte importante della mia vita, ma anche perché amo la musica che abbiamo fatto. Però quando mi sono detto che avrei registrato un album da solo e che non dovevo preoccuparmi della resa dal vivo, sono riuscito a togliermi i freni inibitori che avevo. È stato un esperimento liberatorio ed eccitante al tempo stesso. Forse prima la vulnerabilità delle mie parole si nascondeva dietro al volume esagerato della musica. Ora invece volevo fossero chiare ed è stato come togliersi una maschera di dosso.

- Come sono nate le canzoni?

Di solito le mie canzoni iniziano a prendere forma con una chitarra acustica o un piano e una melodia. Poi provo a sperimentare. Ad esempio ho appena iniziato a scrivere al piano, per cui è tutta un’altra libertà. Alcune canzoni sono istintive, altre sono atti d’amore. Una volta che la canzone è finita, lavoro sulla struttura e le dinamiche, che se necessario metto giù alla batteria. Da qui posso iniziare a decorare con la chitarra, che ancora mi affascina molto. A volte, quando mi sembra di aver esplorato tutte le porte possibili, scopro una nuova accordatura o un pedale e mi si apre un nuovo mondo di opportunità. Poi inizio l’eccitante processo di abbellimento, inserendo altri strumenti o effetti. Comunque non c’è una formula concreta e ci sono delle eccezioni a questa routine.

- Hai detto che sperimentato e regredendo chiunque può raggiungere la verità assoluta. Tu credi di averla raggiunta?

Per quanto mi piaccia dire che il processo di registrazione di ‘Ballads of the Mortal’ sia stato solo puro divertimento, in realtà è stato anche estenuante e mentalmente sfibrante. Una delle più grandi difficoltà del lavorare da solo è l’insicurezza. Magari un giorno mi innamoravo di una registrazione e il giorno dopo riascoltandola la sentivo completamente diversa. È una sfida, separare l’ansia dalla realtà. Mi sono affidato alla filosofia e ho sentito una frase simile in un podcast. Nel mio scenario, quello di un musicista, la verità assoluta è ascoltare una delle mie creazioni e sapere che è in quel determinato momento è il meglio che io possa umanamente raggiungere. Ho dovuto fare dei passi indietro e provare nuovi approcci facendo tantissime registrazioni e nuovi mix. Pensavo di poter ottenere un altro 25% dalle mie canzoni e il pezzo finale verso la verità assoluta l’ho raggiunto grazie a Gareth Rogers. È stato molto diretto con me. Mi ha detto: questo album deve essere ascoltato. Non devi registrare altro, ha solo bisogno di un buon mix. Quando mi ha inviato i mix, ho capito che era completo e che avevo raggiunto la verità assoluta.

Potresti scrivermi qualcosa per ogni traccia (come un aneddoto, un ricordo intimo o qualsiasi cosa tu creda le persone debbano sapere)?

Thank the Lord for the Music

I miei genitori mi hanno regalato una cigar box guitar per Natale e mi ha accompagnato per tutte le registrazioni. Qualche giorno dopo Natale, ricordo che mi ero chiuso al freddo a suonare. Mi riscaldavo con una stufa, che però faceva troppo rumore per poter essere usata durante le registrazioni. La traccia su cui avevo iniziato a lavorare non funzionava bene, per cui mi sono rilassato un po’ suonando il mio nuovo giocattolino, la cigar box, davanti alla stufa. Forse la stufa mi ha sciolto le mani perché è uscito fuori un riff groovoso e una melodia. L’ispirazione doveva solo trovare una direzione per rappresentare bene la mia idea. Mi è sembrata molto gospel e blueseggiante,, per cui ho usato degli handclap e foot stomps su dei ciocchi di legni. Per registrare i foot stomps, la mattina mi svegliavo e decidevo quale stivali avrebbe reso meglio sul legno. Credo ci siano tre diverse accordature di chitarra su questa traccia. Fino all’ultimo pensavo che la traccia d’apertura sarebbe stata una canzone chiamata ‘Bring Back The Apocalypse’, quando ho provato a missare l’album da solo. La decisione di togliere ‘Thank the Lord for the Music’ era dovuta in parte al fatto che non riuscivo a missarla. Poi Gareth Rogers ha preso le redini e ho potuto reinserirla come traccia d’apertura. Mi sembra che sia ben allineata con il resto dell’album: il testo è simbolico, resiliente e vagamente positivo.

“When the battle line is drawn

I will stay with love

And there will be no rifles in my kingdom come

So thank the Lord for the music

The Devil for your guns”

The Ballad of the Mortal

‘The Ballad of the Mortal’ è stata la prima traccia che ho finito dell’album. L’avevo provata a proporre al mio gruppo all’epoca, ma non ne erano entusiasti. Inizialmente avevo pensato ad una cosa alla Tarantino, un brano country infuso di psichedelia. Mi è servita come idea per darmi una direzione e ascoltando la colonna sonora di Django Unchained ho provato a imitare quella sensazione usando il tremolo, le percussioni e le catene. Il solo mi sembrava un buon gancio. Da lì ho provato a spostarmi sul manico come fosse una chitarra convenzionale, ma privilegiando le ripetizioni, perché mi sembravano ipnotiche. Poi con il mio amico Nick Tittley ho finito la traccia. Era tardi, forse erano le 4 del mattino, quando gli ho detto che avevo bisogno di un riff per l’intro. Lui ha preso la chitarra e il mio riff che ha suonato è quello che sentite adesso. Gli ho chiesto di suonarlo per ottave, cosa che ha fatto senza problemi, e quei riff sono rimasti inalterati.

Shadows

A volte scrivere viene di getto. Per ‘Shadows’ è stato così, l’ho scritta in circa mezz’ora. Mi sono svegliato, ho preso la chitarra e la canzone è arrivata, quasi come se fossi in estasi. Non avevo un tema su cui scrivere il testo. Col senno di poi, è un pezzo brutalmente onesto, che ha origine dalla mia disperazione e dalla fede, e allo stesso tempo è anche una malinconica previsione di speranza. Mi sentivo solo, in quel momento, e scrivere è stata una sorta di autoterapia. Spero che i miei momenti bui servano a consolare altre persone che stanno vivendo le mie stesse emozioni.

Misty Clouds of Midnight

Dopo ‘Shadows’ volevo comporre una traccia in scala maggiore e ‘Misty Clouds of Midnight’ è stata perfetta. È diretta e allegra. Volevo che la slide guitar risuonasse al punto da generare un feedback, per cui gli amplificatori dovevano essere tutti a volumi alti. Ho un amplificatore vintage 1972 OR80 che ad alto volume è una bellezza. Poi ho unito le chitarre al banjo, che sapevo suonare poco. Di recente ho fatto pulizia sul computer e ho trovato cento take diverse di quell’apertura con la chitarra acustica. Naturalmente alla fine ho scelto la prima take. A volte devi provare tanto per poi tornare all’inizio.

Revival Blues

‘Revival Blues’ è venuta fuori osservando un incrocio a Clarksdale, nel Mississippi. La leggenda vuole che Robert Johnson, aspirando a diventare il più grande chitarrista nella storia dell’umanità, abbia incontrato Satana a questo incrocio e gli abbia offerto la sua anima in cambio di un talento straordinario. Pensavo al suo Revival, il seme ha germogliato e l’ho fatto crescere. Nello stesso viaggio ho visto Mavis Staples in concerto, uno dei miei preferiti, e mi ha ispirato a creare qualcosa che avesse un sentore di gospel. Mi sarebbe piaciuto avere un coro su questa traccia, ma non è stato economicamente e tecnicamente possibile.

Tending to Tears

‘Tending to Tears’ era una bozza per il secondo album dei Guile, l’avevamo anche suonata dal vivo. L’ho stravolta per poi rimetterla insieme. Per me è frustrante quando una canzone suonata dal vivo non viene registrata in alta qualtià, per cui volevo includerla. La lead guitar, e il solo in particolare, mi sono stati ispirati dai Byrds.

No Silence

Questa è la traccia più vecchia dell’album. L’ho scritta a vent’anni, quando stavo iniziando a sperimentare sulle accordature aperte. Anche questa l’avevamo suonata con i Guile, e credo che questa sia la traccia su cui stavo lavorando quando mi sono entrati i ladri a casa. Passavo molte notti nel mio garage per registrare e quella sera ero riuscito a convincere la mia ragazza ad accompagnarmi. Non voleva, per via dei ragni e del freddo. Ad ogni take sentivo dei battiti e non capivo da dove provenissero. È andata avanti così per ore. Quando sono uscito, ho trovato tre ladri sul tetto, che sembrava più scioccati di me. Gli ho chiesto cosa stessero facendo e mi hanno risposto “siamo della polizia”. Piuttosto strano, considerando che avevano dei martelli e dei piedi di porco. Fortunatamente non volevano prendere il mio amato amplificatore, gli interessava la lead. Ma non c’era nessuna lead sul tetto del garage. Da allora la mia ragazza non è più tornata e purtroppo quel garage non c’è più, è stato demolito.

Keep on Killing

Credo che questa sarebbe perfetta come colonna sonora. È molto cinematografica e d’atmosfera. Mi piace la parte di pianoforte, è molto alla Nick Cave. Dal punto di vista del testo è molto discorsiva e immaginifica. Credo sia stata la prima traccia che la 66 Music ha ascoltato, e grazie a questa ho firmato un accordo di sync con loro.

Love Don’t Hold Me Back

Come per ‘Shadows’, questa è stata una traccia molto istintiva, l’ho completata in pochissimo tempo. Stavo ascoltato gli Eels, che usano spesso un capotasto. L’ho scritta in una sorta di trance e quando l’ho riascoltata ho provato a decifrarne il significato. Inizialmente il ritornello era “Lord, don’t hold me back”. Poi ho tolto “Lord” e l’ho sostituita con “love” e tutto quello che il mio subconscio stava cercando di nascondermi, è diventato cristallino. Ho ascoltato questa canzone tantissime volte e ancora adesso mi viene la pelle d’oca, non invecchia mai. Quando l’ho riascoltata la prima volta dopo aver registrato le chitarre, mi sono alzato di scatto preso dalla sorpresa e ho rotto il jack delle cuffie. Ancora devo ripararlo.

Bible Belt

Stavo percorrendo la cosiddetta ‘Bible Belt’ in America con un amico. Lui era in viaggio di lavoro, per cui l’ho accompagnato e ho alloggiato nei suoi stessi alberghi. Una sera eravamo diretti in un paesino sperduto in Arkansas. Ero ad un punto nella mia vita in cui non potevo pensare di stare senza alcol, per cui siamo tornati verso il Missouri. Lì ho provato per la prima volta un liquore prodotto clandestinamente. Il mio amico Blake Bennett, che ha assistito ad alcune delle sessioni di registrazione, ha portato una bottiglia per festeggiare, quando ho registrato questa. La canzone è una metaforica luce alla fine del tunnel. Rappresenta l’idea di lasciarsi alle spalle il passato e vivere bene il proprio presente.

Long Way Back to Memphis

L’ispirazione per ‘Long Way Back to Memphis’ mi è venuta sempre durante il mio primo viaggio negli Stati Uniti. Il mio migliore amico viveva a Memphis all’epoca. Andarlo a trovare è stato come rinascere, mentalmente e artisticamente parlando. Avevo comprato una chitarra dal chitarrista di Jerry Lee Lewis, che mi ha gentilmente regalato una custodia per il viaggio. Il volo di ritorno faceva scalo da Memphis a Minneapolis, da Minneapolis ad Amsterdam e da lì fino a Birmingham, in Inghilterra. C’era la neve alta a Minneapolis quando siamo atterrati — era dicembre — mi dispiaceva lasciare gli States, però volevo anche tornare a casa. Appena sono atterrato ho scritto ‘Long Way Back to Memphis’ sul mio taccuino. La chitarra era seduta accanto a me. Mi è sembrata perfetta fin dall’inizio. Quando sono tornato in Inghilterra, appena ho avuto occasione, ho usato la chitarra per scrivere la melodia per il testo che avevo scritto in viaggio.

- Puoi consigliarmi tre artisti emergenti che ritieni degni di essere ascoltati attentamente?

Velvet Tides. C’è mio cugino nel gruppo, ma non sono di parte. Hanno registrato due singoli, l’ultimo si intitola ‘Lost in Motion’. Sono shoegaze con una grande attenzione per i dettagli. Puntano in alto!

‘Delta Mainline’. Quando suonavo nei Guile, andavamo in tour e condividevamo spesso le nostre date con loro. Li adoravo e continuo a farlo. Hanno pubblicato da poco un nuovo album, dal titolo ‘Bel Avenir’, che secondo me è un capolavoro. Qualsiasi cosa pubblichino è speciale ed è una conferma del loro talento innato e del lavoro duro. Sono stato fortunato a poterlo ascoltare prima che uscisse. Una traccia in particolare, ‘Mountain Music’, mi ha preso subito.

Poi c’è un gruppo di nome Float Like a Buffalo, di Denver, Colorado. Una sera per caso mi sono messo a chiacchierare con il frontman, Cory, in un bar. Sono musicisti professionisti, di genere diverso rispetto agli altri due artisti che ho menzionato, ma il loro talento è indiscutibile. Sono stato felice di ascoltarli nel locale più bello che io abbia mai visto, il Red Rocks Amphitheatre in Colorado.

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Federica Carlino
listengingerly

freelance music journalist and passionate music supervisor