Perché Anderson .Paak è uno degli artisti più influenti di questo momento.

Otto motivi per cui dovreste sentire Anderson .Paak e la sua band dal vivo.

Federica Carlino
listengingerly
4 min readMar 26, 2019

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Ci ho pensato dalle undici e mezza di ieri sera e per tutta la giornata di oggi: ho ripercorso mentalmente il concerto di Anderson .Paak and the Free Nationals al Fabrique di Milano, cercando di mettere in ordine gli elementi che mi avevano colpito di più e quelli che, invece, mi avevano fatto storcere il naso. Ho riletto gli appunti, riguardato i video e le foto e ascoltato le impressioni di altre persone. Poi mi sono detta: “che senso ha scrivere la recensione di una performance, se di critiche ne trovo esclusivamente all’ambiente in cui è stata fatta?”. Così, invece di redigere un noiosissimo resoconto pieno zeppo di aggettivi entusiastici o una cronaca minuto per minuto della serata, ho deciso di riassumere le mie impressioni in un elenco esortativo in otto punti, indirizzato a chi ancora non lo conosce e anche a chi, invece, si è chiesto cosa lo distingua da altri artisti della stessa scena.

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1. Le sue canzoni sono piccole lezioni di storia della musica.
Pur restando saldamente ancorato alle sue esperienze personali, come tanti colleghi Anderson .Paak ha attinto dai suoi album preferiti per creare un suo sound definito. Se scomponeste un suo brano, come ad esempio “6 Summers”, ci trovereste dentro l’onestà dei testi blues, l’efficacia di un ritornello pop, la ritmica in primo piano del funk, la ricerca di profondità sonora del prog, l’annebbiamento dello psych rock, le rime ironiche e precise al secondo del migliore rap d’annata e i cambi armonici del jazz. Tutto questo, in una sola canzone.

2. È una delle poche voci riconoscibili attualmente presenti sul mercato musicale mondiale.
A differenza di altri artisti del momento, Anderson .Paak non ha bisogno di effetti per rendere la sua voce più distintiva o calda. È naturalmente così, e la usa pure con la giusta intensità a seconda dell’ambiente o del testo che sta interpretando, senza mai esagerare o risultare caricaturale.

3. È un musicista e un performer eccezionale.
Il suo percorso musicale può essere riassunto così, a grandissime linee: ha iniziato suonando la batteria in chiesa, per cui è diventato un maestro di transizioni, pause, dinamiche, tempo, armonia e lavoro di squadra. Ha ascoltato 2pac, Radiohead, Aretha Franklin, Stevie Wonder, D’Angelo, J Dilla, i Beatles, Sa-ra: artisti di generi ed estrazioni diverse, che gli hanno dato un’immagine della musica più eterogenea e ad ampio raggio. Si è messo a scrivere canzoni sue, prima con lo pseudonimo di Breezy Lovejoy, e poi, quando si è sentito pronto per raccontare davvero di sé, ha debuttato con il suo nome di battesimo, con quel punto prima di Paak che simboleggia l’attenzione ai dettagli. Ha prodotto le canzoni di altri (come Watsky), imparando a dosare i suoni e a mettere in risalto le qualità di chi li genera. È diventato più sicuro di sé a colpi di concerti d’apertura, esibizioni da emergente in festival in giro per il mondo e collaborazioni eccezionali. E ora mette tutto questo bagaglio di esperienze nei suoi concerti ed è ogni volta più spettacolare.

4. È meticoloso, ma profondamente istintivo.
Non c’è tecnica, esibizionismo o artificiosità nel suo modo di suonare, muoversi sul palco e cantare. Certo, ha acquisito sicurezza col tempo, come qualsiasi comune mortale, e a poco a poco è diventato impeccabile, ma senza snaturarsi o perdere personalità.

5. Sta influenzando tantissimi musicisti.
Ieri sera a sentirlo c’erano Willie Peyote, Salmo, Dardust e Mahmood. Quattro artisti che in modi diversi stanno costruendo dei tasselli importanti per ridare un’identità alla musica italiana e che hanno attinto in modo più o meno evidente dallo stile e dalle intenzioni sonore di Venice, Malibu o Oxnard.

6. Anche in un locale dall’acustica carente, riesce a dare un suono compatto.
Il Fabrique è un locale inadatto alla musica dal vivo: il suono rimbalza su tutte le pareti senza una direzione precisa, per cui i bassi sono pompatissimi e tutte le altre frequenze si confondono tra di loro. Ma quando un gruppo è ben equilibrato, anche in una situazione scomoda come questa raggiunge l’obiettivo.

7. È uno spettacolo pensato nei minimi dettagli.
Della musica abbiamo parlato già: poi ci sono le luci, le posizioni sul palco, i vestiti, le coreografie e le interazioni con il pubblico a metterla ancora più in risalto. Per citare solo un elemento di grande effetto: la batteria al centro di tutto, che irradia la stanza riflettendo le luci sul palco.

8. Sostiene in prima persona gli artisti che ama.
Durante i concerti, dà spazio ai Free National e dedica parte della scaletta ad un tributo all’amico Mac Miller, facendo riascoltare la sua voce al pubblico e sponsorizzando il suo ultimo album, Swimming (il più sottovalutato del 2018) su tutti i suoi canali social. Lo fa per dare al suo pubblico la possibilità di conoscere nuova musica, ma anche per far capire meglio chi lo influenza e lo ispira personalmente.

Questo è Anderson .Paak. Ora non perdete altro tempo, ascoltatelo attentamente e segnate in agenda l’uscita del suo nuovo album, Ventura, il 12 aprile.

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Federica Carlino
listengingerly

freelance music journalist and passionate music supervisor