1. Welcome to Lebanon!

Fabrizio Napoli
Live, Love, Beirut
Published in
2 min readApr 14, 2013

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Non passano più di tre minuti dal ritorno in vita del mio telefono nell’aeroporto di Beirut che il Ministero del Turismo libanese mi recapita un gioioso SMS: «Benvenuto in Libano!».

Prendo subito confidenza con questo mantra dell'identità libanese che si è imposto come l'unico credibile collante istituzionale in un territorio sempre pronto ad accogliere esodi, fughe individuali e progetti di popolo e nazione di vario tipo. Se scorri l'elenco dei quartieri su una mappa della città affollata di nomi arabi, francesi e inglesi ti rendi conto che un pur vasto impegno linguistico non riesce a dar conto delle varie appartenenze della città.

Guide turistiche e cartine a parte, cosa tiene uniti Cristiano-Maroniti, Musulmani Sciiti e Sunniti, Drusi, Armeni ortodossi, protestanti e cristiani, Greci Ortodossi e Melchiti, Palestinesi, Cattolici, Curdi, Siriani e dio sa chissà chi altro?

“Welcome to Lebanon” è un jingle ripetuto da molti libanesi, al primo approccio con il visitatore, con una spontaneità che fa crollare qualsiasi ipotesi – pure plausibile – di un'accurata elaborazione di questo saluto ad opera di astuti copywriter di uno studio pubblicitario.

No, non si tratta di una etichetta appiccicata a questa complessità dal Ministero del Turismo. Non è “La grande Mela”, né la “Swinging London”. L'orgoglio di appartenere ad un territorio, prima che ad una fragile idea di nazione, e di celebrare questo senso di appartenenza con un'esplosione di cordialità immediata è solo apparentemente inspiegabile. Il Libano in cui ti danno il benvenuto è il rifugio dal naufragio della storia di molti, la terra dove si è approdati dopo persecuzioni, lotte, fughe e vicende tutte affidate ai racconti personali più che ad epiche ufficiali. È un pezzo di suolo che trasuda di senso di salvezza e speranza, una cornice ancora vergine della storia dove tutto sarà ancora possibile.

Come non sentire la necessità di un benvenuto al prossimo visitatore? Un saluto che si trasforma subito in augurio e promessa di risorgimento e vita.

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